RECENSIONE:

“Uno sguardo dal ponte” fu scritta da Arthur Miller nel 1955 come atto unico ispirato a un tragico fatto di cronaca accaduto anni prima e riguardante una famiglia di immigrati italiani nella Brooklyn degli anni cinquanta. L’accaduto esercitò nello scrittore un fascino particolare per la “sua monolitica perfezione” (cfr prefazione dell’autore al libro “Teatro” di Arthur Miller, Ediz. Einaudi, 1959, pag. 58 e seguente) da spingerlo a trarne un testo teatrale. “Se questa storia era accaduta, e se non avevo potuto dimenticarla in tanti anni, essa doveva avere per me un qualche significato e potevo scrivere ciò ch’era accaduto e perché era accaduta; e del significato che ciò aveva per me, descrivere quel tanto di cui mi rendevo conto” (cfr testo citato). La prima rappresentazione avvenne nello stesso anno al Coronet Theatre di Broadway riportando uno scarso successo che Miller attribuì alla povertà dell’impianto scenografico e al fatto che il lavoro fosse stato preceduto da un’altra sua opera, “Ricordo di due lunedì”, nella quale uno degli interpreti principali aveva recitato male a causa di un attacco di panico tanto da deludere il pubblico che non si entusiasmò per la rappresentazione successiva. Questo episodio spinse Miller a riscrivere il testo dilatandolo in due atti e tale fu rappresentato l’anno successivo con la regia di Peter Brook e una ricca scenografia al New Watergate Theatre di Londra, guadagnandosi un’ottima accoglienza da parte di pubblico e critica.

Massimo Popolizio, dopo il felice debutto al Teatro Argentina di Roma, porta al Teatro Strehler la sua personale messa in scena del dramma, attenendosi con fedeltà alla seconda e definitiva stesura dell’autore ma realizzata in un atto unico, conferendo alla rappresentazione quel mordente che l’intervallo avrebbe smorzato. Sulla scena, ad attraversarla per tutta la sua lunghezza, è posizionata in alto la campata di un ponte in ferro che con la sua grandezza sembra schiacciare metaforicamente quella sottostante costituita dall’interno di un’appartamento arredato con essenziali, grigi mobili fissi e da un tavolo e sedie che vengono spostati a vista di volta in volta nel procedere dell’azione. All’inizio un stridio di gabbiani conduce subito all’humus dell’ambiente che è quello delle vicinanze di un porto dove vengono scaricate le merci, seguito da una melodia siciliana arrangiata però secondo lo stile di Kurt Weill ma non quello del periodo americano bensì quello del periodo della sua collaborazione con Brecht e questo è una chiave di lettura su alcuni passaggi recitativi del protagonista. La storia è rivissuta in un flashback da uno dei personaggi, l’avvocato Alfieri, che agisce perlopiù sul proscenio, illuminato da una luce a occhio di bue, e ha per protagonista Eddie Carbone un immigrato dalla Sicilia che ha acquisito la cittadinanza americana per sé e per la sua famiglia costituita dalla moglie Beatrice e dalla nipote Catherine rimasta orfana dopo la morte della madre e alla quale l’uomo ha fatto da padre. I tre attendono Marco e Rodolfo, due cugini di Beatrice immigrati clandestinamente dalla Sicilia e ai quali Eddie dovrà dare ospitalità e trovare un lavoro. L’arrivo dei due, accolti da Eddie inizialmente con benevolenza, provocherà presto la sua ira quando, accortosi della simpatia che nasce tra Rodolfo e la nipote, sarà preso dai morsi della gelosia che lo condurranno verso l’aberrante azione del finale.

Massimo Popolizio nella sua regia ha voluto dare al testo un taglio cinematografico, realizzando, per sua stessa dichiarazione, “Una grande storia… raccontata come un film… ma a teatro. Con la recitazione che il teatro richiede, con i ritmi di una serie e con le musiche di un film”. E l’obiettivo viene felicemente raggiunto proprio grazie alla scelta delle canzoni degli anni cinquanta (v., tra le altre, “Paper Doll” che ha un significato particolare nell’azione) e a quella dei suoni curati da Alessandro Saviozzi, oltre al fondamentale apporto delle luci curate da Gianni Pollini, in special modo quelle indirizzate verso il fondale che assume varie cromature che vanno dal lattiginoso iniziale al violaceo, fino al lampeggiante arancione della scena dinamica che dà l’avvio alla conclusione drammatica della vicenda. Popolizio sa essere quell’Eddie dalla inconsapevole personalità contorta, divorato da una passione irrealizzabile che gli è “entrata dentro come un corpo estraneo” e che finirà per accecarlo fino al punto di compiere quell’atto finale che gli aveva fatto orrore quando a compierlo era stato un ragazzo di quattordici anni. Inizialmente uno zio generoso e affettuoso, fin troppo, che si compiace delle moine che la nipote gli rivolge e ancora ignaro della vera natura di quell’affetto; dopo, un uomo la cui mente è annebbiata dalla gelosia e che lo condurrà verso una strada senza via d’uscita. Splendida prova attoriale di quel mattatore che è, Popolizio, padrone di una recita con la cadenza siciliana, attraversa con padronanza, utilizzando corpo e voce, tutte le fasi in cui si muove il suo personaggio mettendo bene in luce la sua umana debolezza e rendendone in più punti anche una figura volutamente grottesca. Michele Nani è l’Avvocato Alfieri, molto credibile sia nei suoi discorsi rivolti al pubblico assimilabili a quello del coro del teatro greco quando racconta la tragedia che si va rappresentando alle sue spalle, sia mentre cerca di convincere Eddie a rimuovere i suoi convincimenti sbagliati fino a fargli intuire che l’interesse che prova per la nipote è un affetto di natura morbosa. Gaja Masciale è una perfetta Catherine che appare viziata e inconsapevole tentatrice, ama saltare al collo dello zio, lo vezzeggia con effusioni e carinerie e, solo alla conoscenza del giovane Rodolfo, sembra scoprire in sé stessa una sensualità che non conosceva. Valentina Sperì è Beatrice, una donna paziente che ha intuito il pericolo che Catherine potrebbe rappresentare e, nell’affermare il suo ruolo di moglie, fa pesare al marito che è da diversi mesi che lui non assolve ai suoi doveri coniugali. Oltre a Felice Montervino, Marco Maravacchio, Gabriele Brunelli e a Marco Parlà, completano eccellentemente l’affiatato cast Raffaele Esposito e Lorenzo Grilli, rispettivamente nei ruoli di Marco e Rodolfo, con una nota di merito a parte per Grilli per le sue doti di ballerino. Alla prima milanese lo spettacolo è stato accolto da calorosi e ripetuti applausi. Repliche fino al 21 maggio. Consiglio la prenotazione.

dal 9 al 21 maggio 2023

Uno sguardo dal ponte

di Arthur Miller

traduzione Masolino D’Amico

regia Massimo Popolizio

con Massimo Popolizio, Valentina Sperlì, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Maravacchio, Gabriele Brunelli, Marco Parlà

scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca

luci Gianni Pollini, suono Alessandro Saviozzi

foto Yasuko Kageyama

produzione Compagnia Umberto Orsini, Teatro di Roma – Teatro Nazionale e

Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16. Lunedì riposo.

Durata: 90 minuti senza intervallo

Prezzi: platea 33euro, balconata 26euro

Informazioni e prenotazioni 02.21126116 – www.piccoloteatro.org