INVERNO

È notte, inverno rovinoso. Un poco

sollevi le tendine, e guardi. Vibrano

i tuoi capelli selvaggi, la gioia

ti dilata improvvisa l’occhio nero;

che quello che hai veduto – era un’immagine

della fine del mondo – ti conforta

l’intimo cuore, lo fa caldo e pago.

Un uomo si avventura per un lago

di ghiaccio, sotto una lampada storta.

UMBERTO SABA, Parole 1934

Sono 9 endecasillabi, i vv. 2 e 5 sdruccioli. Un paesaggio notturno, inventato. Lirica concentrata; l’interno, una tranquilla e calma stanza di una casa borghese, è solo accennato, mentre l’esterno è descritto interamente. Poesia visionaria, allucinata; Saba, con amara e feroce ironia, pone l’Apocalisse in una città – Trieste – d’inverno. L’immagine della fine del mondo, con la terra ridotta a un lago di ghiaccio, l’ultimo uomo, il sole divenuto una lampada storta. Inquietante l’aspro e selvaggio piacere della donna, che le dilata l’occhio nero, scuro e profondo, mentre contempla la desolazione e la distruzione: l’atroce appagamento di fronte alla rovina. L’immagine della donna, personaggio intenso, violento e demoniaco, a cui si rivolge il ‘tu’ del poeta è stilizzata; la visione dura solo un attimo. Freudiana antitesi ossimorica di ripulsa e attrazione.

Parafrasi. ‘rovinoso’: terribile, tempestoso; ‘capelli selvaggi’: mossi, agitati e scomposti; ‘la gioia’: il piacere aspro e crudele; ‘che quello che hai veduto’: perché, introduce una proposizione subordinata causale; ‘l’intimo cuore’: la parte più profonda dell’animo; ‘pago’: appagato, soddisfatto; ‘lampada storta’: il sole disfatto, divenuto smorto.