Sentirsi visti o ignorati: a volte è questione di un «Mi piace»

Anche i più cauti, diffidenti e «resistenti» alla fine ci cascano ed ecco che sulla loro pagina, vengono postate «informazioni», su di sé, sui partner, sui familiari, gli amici e i nemici, schermati e protetti da un video e da una tastiera che ridefiniscono i confini del nostro mondo interiore e relazionale, seppur temporaneamente e fragilmente. 

Pubblichiamo, condividendoli, pensieri, ecografie e necrologi. 

Mostriamo le porte di casa, o i giardinetti e le scuole dove portiamo i nostri figli. Scriviamo frasi, raccontiamo vissuti, concediamo frammenti di «intimità»: a letto, in spiaggia, sotto la doccia, mentre soffiamo sulle candeline … e di socialità: una cena in pizzeria, la partecipazione a un convegno, il termine di un percorso di studi …

Questo fenomeno, ormai dilagante, ha due aspetti: quello di sicurezza, soprattutto per i minori, e quello di relazione.

Rispetto alla prima, sebbene la Polizia Postale abbia da tempo informato sui rischi del postare immagini di bambini sui social, il rischio viene massicciamente ignorato. Anzi, quando in seguito ad una catena con la quale si invitava le mamme a pubblicare le foto dei propri figli per «mostrare» la loro gioia nell’essere madri, le forze dell’ordine avvisarono della pericolosità di tale richiesta, molti genitori commentarono, proprio sui social, che ai trattava di un «esagerato allarmismo!».

Rispetto alla seconda, vi possiamo riconoscere il nostro irrinunciabile bisogno di esistere e di essere visti come genitori: pazienti, perfetti, disponibili, sorridenti, in difficoltà vittime di figli terribili che meritano qualunque punizione, oppure come partner amati, traditi, delusi, o perdutamente innamorati.

Non possiamo rinunciare a quel pollice azzurro sollevato che ci fa sentire al centro dell’attenzione, per una frazione di secondo, ma al centro.

Però essere personaggi pubblici, perché è questo che i social ci hanno dato la possibilità di diventare, ha degli aspetti negativi.

Ciò che è pubblico non si cancella. I profili vengono clonati, le foto (specie quelle dei minori) usate illegalmente, perché il nostro peggior nemico ci scruta da lontano e scopre cose che, avremmo voluto tenere «segrete» e per questo (siamo esseri contraddittori) le abbiamo postate.

Ma essere nascosti dietro un computer ci consente anche di agire quell’aggressività che nel mondo reale non usiamo e quindi cercare scontri, più che confronti, conflitti più che conversazioni. 

Osiamo dire e ribattere, ignorare e fuggire da quello non piace. Esterniamo emozioni, sentimenti, punti di vista e soprattutto giudizi, forti del controllo che abbiamo sulla relazione.

Se quell’«amico» dice e pensa cose che non mi piacciono, basta un click e scompare.

Come in un video gioco dove le vite si perdono e si riacquistano con un colpo di mouse. Via un amico, ne troveremo un altro.

Alla fine, rientrando nella statistica dei 4,6 miliardi di persone che giornalmente stanno sui social, non riusciamo a stare senza un cellulare a portata di mano e senza controllare quanti «Mi piace» e commenti sono stati lasciati sotto un post o una foto postati. 

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Sono psicologa clinica e forense. Come clinica mi occupo di consulenza e supporto psicologico sia individuale che di coppia, di psicodiagnostica, di sostegno alla genitorialità, di psico-geriatria, di orientamento scolastico e professionale. Come libera professionista in ambito giuridico e forense il mio ruolo è quello di consulente nella valutazione del danno psichico dovuto ad eventi traumatici, di valutazione delle competenze genitoriali in caso di separazione e divorzio, di mediazione familiare. Conduco inoltre laboratori di comunicazione, psicologia sociale, uso della scrittura come strumento di consapevolezza e problem solving, al fine di facilitare il superamento di criticità emotive.

Alessandria

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