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Freedom’s Wall The brick remembers the heat of the sun, the spray of paint, the songs begun in the shadow of a changing street. But iron gates are cold and deep, and words of stone are hard to keep when the morning air is filled with retreat. Freedom is a bird that refuses to nest, it lives in the heart, and put to the test, it flies where the iron cannot meet.

Il muro della libertà (Traduzione Italiana) Il mattone ricorda il calore del sole, lo spruzzo di vernice, le canzoni iniziate all’ombra di una strada che cambia. Ma i cancelli di ferro sono freddi e profondi, e le parole di pietra sono difficili da mantenere quando l’aria del mattino è piena di ritirata. La libertà è un uccello che si rifiuta di nidificare, vive nel cuore e, messa alla prova, vola dove il ferro non può arrivare.

La cronaca torinese di questi giorni è dominata dallo sgombero dello storico centro sociale Askatasuna, un evento che segna la fine di un’epoca durata quasi trent’anni. Occupato dal 1996 in un ex asilo di corso Regina Margherita, il centro è stato per decenni il cuore pulsante dell’antagonismo torinese e del movimento No Tav. I versi scelti evocano proprio quella “libertà” (significato del nome basco) che gli occupanti hanno cercato di costruire tra mura autogestite, ma che oggi si scontra con la durezza della legge e dei “cancelli di ferro”. Lo sgombero del dicembre 2025, ordinato dopo i recenti disordini e l’assalto alla sede de “La Stampa”, chiude un capitolo di fortissima tensione politica tra l’amministrazione comunale e i movimenti radicali.

L’analisi di questo momento storico non può prescindere dal contrasto tra la funzione sociale dichiarata dal centro e i problemi di ordine pubblico che lo hanno spesso circondato. Se per molti Askatasuna era un presidio di cultura alternativa e mutualismo nel quartiere Vanchiglia — ospitando intellettuali come Alessandro Barbero e Zerocalcare — per le istituzioni e il Ministero dell’Interno era diventato un “focolaio di violenza” non più tollerabile. La “ritirata” citata nella poesia rappresenta visivamente lo sgombero forzato, ma lascia aperta la questione su dove si sposterà ora quel desiderio di “libertà che si rifiuta di nidificare” e che ha animato generazioni di militanti.

Il blitz delle forze dell’ordine, con idranti e strade bloccate, ha trasformato Torino in un set di alta tensione, confermando come la gestione degli spazi occupati resti uno dei nodi più complessi della politica urbana. Mentre il governo parla di un “segnale chiaro contro lo squadrismo”, i sostenitori del centro vedono nell’operazione un tentativo di soffocare il dissenso, specialmente quello legato alle recenti proteste pro-Palestina. In questo scontro frontale, la parola “Askatasuna” smette di essere solo un nome per diventare il simbolo di una frattura insanabile tra l’ordine costituito e l’autonomia radicale.

In conclusione, lo sgombero di Askatasuna rappresenta un punto di non ritorno per i movimenti sociali italiani. La sfida per il futuro di Torino sarà capire se lo spazio fisico potrà essere riqualificato senza cancellare la memoria delle istanze sociali che lo hanno abitato, o se la fine di questa occupazione darà vita a nuove e più imprevedibili forme di protesta. La “libertà”, come suggerisce la poesia, non si ferma davanti a un muro abbattuto, ma continua a cercare nuovi cieli in cui volare.

Biografia dell’autore Askatasuna non ha un singolo autore, ma è un collettivo nato nel 1996 a Torino all’interno dell’area dell’Autonomia Contropotere. Per quasi trent’anni, i suoi militanti hanno promosso attività che spaziano dal sostegno al movimento No Tav alla creazione di spazi di aggregazione sociale, concerti e dibattiti politici. Il centro è diventato un’icona della sinistra radicale europea, mantenendo legami profondi con la causa basca (da cui deriva il nome) e le lotte per i diritti alla casa e al lavoro.

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