A Natale la realtà sembra assottigliarsi e lasciare spazio al possibile. In che modo questo periodo dell’anno influenza il tuo modo di osservare l’invisibile?
Ti devo dire la verità che proprio qualche giorno fa mi sono reso conto che nei miei libri non c’è mai il Natale. Possono esserci libri ambientati da febbraio a settembre, o anche a dicembre, ma senza mai un particolare focus sulla festività, ragion per cui sicuramente nel prossimo mi produrrò a immaginare un Natale letterario zucchiano. In generale però l’influenza del periodo sulla mia capacità di osservazione è importante, perché in questo periodo le maschere di chi finge sono ancora più sigillate, mentre chi vive per davvero a volte sa dare al periodo festivo un’umanità alla quale non saprei arrivare.
Nei tuoi libri spesso ciò che non si vede è più potente di ciò che appare. Qual è il “dettaglio nascosto” del Natale che secondo te meriterebbe più attenzione?
Sicuramente nei miei libri parlano molto più i silenzi dei dialoghi, come ha detto di recente un moderatore al riguardo di Prigionieri del nostro destino. Il dettaglio nascosto del Natale da riscoprire è l’importanza di saper accettare chi abbiamo accanto, una circostanza non facile al di là delle frasi fatte sul periodo delle festività. Non è un volersi bene a forza, ma un capirsi, un riflettersi, e di conseguenza un condividere percorsi diversi.
Se potessi raccontare il Natale da un punto di vista inaspettato – un’ombra, un ricordo, un oggetto dimenticato – quale voce sceglieresti e perché?
Bella domanda, visto che non ci ho ancora pensato. Però sicuramente mi immagino già che non sarà la voce principale a dare risalto al Natale, perché sarebbe un po’ derivativo dei mille romance e film dedicati al tema. Allo stesso tempo anche la chiave del Natale Malvagio, del ribaltamento dell’iconografia, è qualcosa che ho già metabolizzato e che non ho intenzione di rispolverare in un testo a breve. Penso sarà un comprimario a parlare del Natale, da una prospettiva classica ma partendo da un ricordo ‘invisibile’.
Cosa resta, secondo te, dell’invisibile quando il frastuono delle feste si spegne? È un’eco che si indebolisce o un varco che, anzi, si apre?
L’invisibile regna durante le feste, ma davanti al programma libero della quotidianità si disperde in mille punti distinti. Torna la vita sotto controllo, o forse, paradossalmente, finisce il controllo del freno a mano dato dal contingentamento festivo. Ecco perché non mi è mai venuto spontaneo narrare le mie solitudini malinconiche in un contesto che potenzialmente potrebbe renderle insostenibili. Ma ora mi stai facendo partire una scena molto ben precisa…
Le festività spesso riaccendono memorie che non sapevamo di conservare. Qual è il ricordo natalizio che, da scrittore, ti ha insegnato qualcosa sull’umanità nascosta delle persone?
Ricordo di aver acquistato per le feste un libro che non vedevo l’ora di leggere, ‘Omicidio a Capodanno’, copertina rossa natalizia, perché allora ancora mi trastullavo con i gialli in un tempo libero che era dieci volte quello di adesso. Fu una delusione cocente, un libro piatto che era stato presentato come un perfetto regalo natalizio. Fu quella la prima spia ad accendersi. Si può essere ingenui, speranzosi, fiduciosi nel prossimo, ma l’umanità non ha nei suoi scopi la felicità del prossimo.
Da cronista dell’invisibile, cosa vorresti che i lettori “vedessero” davvero in questo periodo, al di là delle luci e delle tradizioni?
Vorrei che vedessero che la situazione a cui siamo arrivati, con guerre che partono senza giustificazione e vengono fermate da trattati commerciali, rappresenta il fallimento totale non solo della struttura politica a stati della Terra, ma anche della società contemporanea che di fatto non progredisce da decenni per proteggere gli interessi più disparati. C’è ancora gente che si scandalizza per la libertà espressiva pubblica, mentre in privato non si giudica nemmeno il serial killer. Siamo maschere di carnevale, anche a Natale, magari in posa davanti all’albero.
Se il Natale fosse un personaggio dei tuoi racconti, quale ruolo avrebbe: il custode di una rivelazione, o il complice di un mistero più grande?
Sicuramente avrebbe un ruolo simbolico, visto il numero impressionante di gente che lo glorifica come il periodo più bello dell’anno. Potrebbe simboleggiare il ritorno di qualcosa che si conosce bene, sempre uguale a se stesso, come un ex compagno di scuola che non invecchia. Dovresti smettere di farmi domande così alte però perché poi mi costringi a riflettere sui massimi sistemi e ne esce una nuova stagione di romanzi firmati Lorenzo Zucchi.
La percezione del tempo cambia durante le feste. Ti capita di usarlo come espediente narrativo per portare il lettore in territori più sottili e meno tangibili?
L’ho fatto di recente con un altro periodo non di festa ma in cui la percezione del tempo aveva perso ogni valore: la prima pandemia, ossia il lockdown. Devo dire che l’esperimento del lasciar trascendere liberamente la trama narrata dalla realtà alla dimensione onirica o immaginata ha ricevuto più consensi di quanti me ne sarei immaginati. Le feste natalizie sono narrate in un paio di miei libri inediti, anche senza il loro giorno più famoso, e l’atmosfera è sempre quella di trepida attesa per qualcosa che non si può ancora immaginare bene.
Per molti il Natale è anche una stagione di attesa. Qual è l’attesa più interessante da raccontare secondo te: quella per un ritorno, per una verità o per un nuovo inizio?
Eccoci, ho anticipato la prossima domanda. Del ritorno sistematico ho già parlato, introducendolo come personaggio-Natale. La verità purtroppo interessa davvero a poche persone, anche a quelle che si professano religiose. Sarebbe bello invece che il periodo di Natale si trasformasse in una serie di riflessioni personali sul proprio io e su come migliorarlo senza snaturarlo. Il nuovo inizio è dato dal Capodanno, la festa in maschera per eccellenza, che profuma di nuovo inizio ma spesso finisce per essere il solito sballo occasionale lungo una lunga linea piatta.
C’è un fenomeno invisibile – emotivo, umano, o perfino “altro” – che secondo te si manifesta più facilmente in questo periodo dell’anno? Ti va di raccontarlo?
La mia percezione sensoriale è abbastanza limitata. Dovrei diventare un cronista del Natale invisibile per saperlo con certezza, però credo che il più grande fenomeno del periodo sia quello di ignorare volutamente o senza malizia la caratteristica prima dell’uomo, cioè la sua caducità in primis e la sua mortalità in seconda battuta. Ci sembra sempre tutto così infinito in quei giorni da dare fiato alla speranza che sarà così per sempre. Credo sia una reazione molto umana e comprensibile, ma in fondo qualche giorno con il cervello staccato dalle preoccupazioni non fa male a nessuno.
11. Quando scrivi, quali elementi ti aiutano a dare forma all’invisibile senza svelarlo del tutto? Nel Natale trovi un alleato o una distrazione?
Sicuramente i discorsi da bar, le scene dei film, i frammenti di conversazioni telefoniche, le frasi affettate delle pause caffè e dei pranzi di lavoro, in questo il mio vivere la metropoli milanese aiuta tantissimo. Ancora una volta non posso rispondere perché non ho mai introdotto il Natale, ma narrativamente sarebbe sicuramente un grande alleato per la quantità di frasi fatte che scandagliano l’invisibile senza spoilerarlo direttamente. Dal punto di vista compositivo è una distrazione perché in quei giorni non scrivo.
12. Che augurio faresti ai tuoi lettori attraverso lo sguardo di un narratore abituato a cogliere ciò che sfugge ai più?
Il primo augurio che faccio ai miei lettori e al pubblico in genere è quello di capire che persone sono. Poi auguro loro di avere la forza di essere loro stessi, qualunque sia stata la risposta alla prima domanda. C’è un sommerso infinito di non allineamenti che non osano mettere la freccia per non perdere la scia, ma questa è anche la prima causa per cui il mondo va male. Non siamo quello che ci dicono di essere, nonostante tanti ancora si sforzino di accomodare i desideri di una società che di fatto intende solo tenerli sotto chiave. Fatevi domande, anche quelle che non siete in grado di confessarvi. Poi, vi assicuro, starete meglio.