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La domanda se la coscienza sia un fenomeno quantico è uno dei dibattiti più affascinanti e controversi della scienza moderna, che coinvolge fisica quantistica, neuroscienze e filosofia della mente. Non esiste una risposta definitiva: la comunità scientifica è divisa, con teorie speculative ma intriganti da un lato, e critiche severe dall’altro. Ti spiego lo stato attuale in modo bilanciato.
Le teorie principali a favore
La più nota è la teoria Orch-OR (Orchestrated Objective Reduction), proposta dal fisico Roger Penrose (Nobel 2020) e dall’anestesista Stuart Hameroff negli anni ’90 e aggiornata nel tempo. Secondo questa:
– La coscienza non emerge solo da connessioni neuronali classiche (come in un computer tradizionale), ma da processi quantistici nei microtubuli (strutture proteiche dentro i neuroni).
– Questi microtubuli ospiterebbero superposizioni quantistiche (stati multipli simultanei) che collassano in momenti discreti di coscienza, grazie a effetti gravitazionali (objective reduction).
– Questo spiegherebbe aspetti “difficili” come il libero arbitrio, l’unità dell’esperienza cosciente e perché la coscienza non sia computabile classicamente.
Sviluppi recenti (fino al 2025):
– Esperimenti su microtubuli hanno mostrato effetti quantistici (es. superradiance e delayed luminescence influenzati da anestetici), suggerendo che gli anestetici agiscano bloccando questi processi quantistici.
– Studi del 2024-2025 (es. su anestesia e microtubuli) e ricerche su entanglement quantistico nel cervello forniscono indizi indiretti a supporto.
– Fisici italiani come Federico Faggin (inventore del microprocessore) propongono che la coscienza sia un fenomeno quantistico fondamentale, olistico e non riducibile alla fisica classica, con libero arbitrio intrinseco.
Altri approcci includono idee di entanglement quantistico per spiegare la “unità” della coscienza o risonanza con il campo quantistico del vuoto.
Le critiche principali
La maggioranza dei neuroscienziati e fisici considera queste teorie speculative e non provate:
– Il cervello è un ambiente “caldo, umido e rumoroso”: gli effetti quantistici (coerenza) decadono in frazioni di secondo (decoerenza, calcolata da Max Tegmark nel 2000), troppo velocemente per influenzare processi neuronali (che operano in millisecondi).
– Esperimenti underground (es. Gran Sasso, 2022) hanno messo in dubbio modelli gravitazionali di collasso quantistico legati alla coscienza.
– Non risolve il “hard problem” (David Chalmers): anche se ci fossero effetti quantistici, come emergerebbe l’esperienza soggettiva (qualia) da processi fisici?
– Critici come Victor Stenger o Daniel Dennett la definiscono un “mito” senza basi empiriche solide; molti vedono la coscienza come emergente da reti neuronali classiche.
Stato attuale (2025)
– Ci sono indizi sperimentali crescenti (es. effetti quantistici in biologia, come nella fotosintesi o nei microtubuli), ma niente di conclusivo per la coscienza.
– Test futuri: esperimenti su microtubuli sotto anestesia, o coupling cervello-computer quantistici (proposti da Hartmut Neven di Google Quantum AI).
– Il dibattito è vivo: alcuni vedono un “paradigm shift” in arrivo, altri ritengono inutile invocare il quantistico quando modelli classici (es. reti neurali complesse) spiegano già molto.
In sintesi: non lo sappiamo ancora. È un’ipotesi affascinante che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione della mente, ma al momento resta minoritaria e controversa. La scienza procede con esperimenti: nei prossimi anni potremmo avere risposte più chiare.
La coscienza come fenomeno quantico, una riflessione personale
A volte ho l’impressione che la coscienza non funzioni come una macchina ben oliata, ma come una nuvola di possibilità, qualcosa che esiste davvero solo quando viene osservato, sentito, attraversato. Un po’ come nel mondo quantistico, dove una particella non è lì o là finché qualcuno non guarda.
La coscienza sembra comportarsi allo stesso modo.
Finché non mi fermo, finché non porto attenzione, lei resta diffusa, latente, quasi invisibile. Poi, nel momento in cui osservo un pensiero, un ricordo, un dolore o una gioia, tutto collassa in un istante preciso, adesso. Prima era ovunque, dopo è qui.
Non è lineare, non è continua, non segue un tempo ordinato. Salta, sovrappone, ritorna. Come se dentro di noi convivessero più stati contemporaneamente: ciò che siamo stati, ciò che siamo, ciò che potremmo diventare. E basta una parola, una musica, uno sguardo per far emergere uno stato e far scomparire gli altri.
E poi c’è quell’altra cosa strana, difficilissima da spiegare: l’intuizione. Quel sapere improvviso che non passa dal ragionamento, che arriva intero, già formato. Non è sequenziale, non è logico, è simultaneo. Come se la coscienza, ogni tanto, accedesse a un livello dove le informazioni non sono distribuite nello spazio o nel tempo, ma esistono tutte insieme.
Forse la coscienza non è nel cervello come un oggetto in una scatola.
Forse il cervello è solo un interfaccia, un traduttore rozzo di qualcosa di molto più sottile. Come un vecchio ricevitore radio che cerca di captare un segnale vastissimo, e ne restituisce solo una parte, distorta, frammentata.
Se è così, allora la coscienza non nasce tutta dalla materia, ma dialoga con essa. Non è separata dal mondo, ma intrecciata. Ogni scelta, ogni attenzione, ogni atto di presenza diventa una misura, una selezione tra infinite possibilità.
E questo, se ci pensi, cambia tutto.
Perché allora essere coscienti non è solo accorgersi di esistere, ma partecipare attivamente alla forma che la realtà assume. Non siamo spettatori neutrali, siamo parte dell’esperimento.
Forse la domanda non è se la coscienza sia davvero quantica.
Forse la domanda è se siamo pronti ad accettare che non siamo mai completamente determinati, e che, in ogni istante, qualcosa di noi resta aperto, indeterminato, vivo.
Un piccolo caos luminoso, che collassa solo quando smettiamo di ascoltarlo.