“La pelle non dimentica ciò che il cuore ha provato. E ogni carezza è una lettera scritta nel linguaggio dell’anima.”
Così scrive Marguerite Yourcenar, e Anaïs Nin le fa eco dicendo che:
“Le carezze sono le parole che la pelle ha scelto per raccontare ciò che il cuore non sa dire.”
Due affermazioni che sembrano svelare un segreto antico, una verità profonda nascosta nel tessuto stesso del nostro corpo e le emozioni che lo abitano.
Mi chiedo spesso, come scrittrice, psicologa, ma soprattutto donna, perché siano quasi esclusivamente le donne a formulare queste scoperte. Forse perché nelle donne, più che negli uomini, esiste l’abitudine a percepire quel dialogo silenzioso della pelle, a cogliere la musica delicata delle carezze che parlano senza usare parole. Forse è perché la nostra esperienza è plasmata da gesti che non si spiegano, ma si sentono: un tocco che consola, una mano che sfiora, un abbraccio che dice “sono qui”.
Le donne sono state storicamente custodi di questa intimità, interpreti sensibili di ogni vibrazione sottile, e capaci di tradurre ciò che il cuore sente ma che la bocca fatica ad esprimere. La pelle allora diventa un diario vivo, che non si cancella col tempo ma incide le emozioni, le memorie, le ferite e le guarigioni. Nel tocco c’è una lingua primordiale che trasforma il sentimento in presenza, la paura in fiducia, il silenzio in comunicazione.
Non è un caso che la nostra cultura abbia affidato a loro il compito di accarezzare, di restare, di curare senza bisogno di spiegazioni, perché nelle carezze si nasconde ciò che le parole non riescono a dire e che solo la pelle sa raccontare.
E forse… questa è la ragione per cui queste grandi verità affiorano di più con voci femminili: perché attraverso la pelle, le donne raccontano quello che l’anima non smette mai di sussurrare.

LA PELLE LO SA
Era sera, odorava di pioggia lontana e di parole non dette. Lei lo guardava, come un paesaggio che si conosce a memoria ma che ogni volta sorprende. Lui era lì, seduto, con le mani che non sapevano dove posarsi, come se anche il gesto più semplice fosse una dichiarazione di guerra.
Lei si avvicinò. Un abbraccio. Un gesto che per lei era casa. Ma il suo corpo, il suo, era un ospite scomodo. Rigidità, esitazione, quel modo sottile di voler tornare indietro, di rientrare nel suo guscio.
Lei non disse nulla. Non subito. Ma lo sentì. Lo sentì come il vento che cambia direzione.
Poi, con un sorriso di gioco e verità, ruppe il silenzio.
- Lo sai che la pelle parla?
Lui sbuffò pensando: “Eccola. Parte con le sue teorie da strega moderna.”
- Non sono teorie. La pelle sa quando un abbraccio è un ponte e quando invece è una dogana. E il tuo, tesoro, era pieno di controlli.
Lui si strinse nelle spalle.
- Non siamo tutti uguali, non è facile per me. Ma mi fido di te.
Lei si sedette accanto, gli occhi che cercavano i suoi.
- Davvero ti fidi? Però non ti lasci andare. Hai la scorza dura… No, non voglio scalfirla. Stai sereno. Vorrei che tu la lasciassi cadere da solo.
- Non è così semplice. Non sono come te. Tu tocchi, accarezzi, ti muovi come se il mondo fosse fatto di velluto.
Lei rise piano.
- Il mondo è fatto di pelle. E la pelle è memoria. Cambia ogni pochi giorni, lo sai? Eppure conserva tutto. Le carezze, le ferite, i silenzi. Ogni cellula, prima di morire, lascia un messaggio alla successiva: ‘Attenta, qui abbiamo sofferto.’
Lui la guardò, finalmente.
- E quindi? Dovrei abbracciarti per guarire?
- Oh no per carità, non ho la pretesa di guarire nessuno, solo ricorderesti al tuo corpo che non tutto fa male. Che ci sono mani che non feriscono. Voci che accarezzano e respiri… Già respiri che si sincronizzano.
- Parli come se fossimo tamburi tribali.
- E perché no? Lo siamo. Pulsar a pulsar. Il ritmo del cuore, il ritmo del respiro. E quando ci fermiamo, quando smettiamo di guardarci, di toccarci, di respirare insieme… allora sì che diventiamo ambigui. Sospesi. E Soli.
Lui distolse lo sguardo, ma pensò ad alta voce:
- Ho paura. Di perdermi. Di non sapere chi sono se mi lascio andare.
Con molta dolcezza e allungando gli occhi al suo sguardo gli prese le mani e disse:
- Certo, ti perderai. Ma solo per ritrovarti. Ed io sono qui, per ricordarti che sei fatto anche di luce. Non solo di difese.
Un silenzio denso come miele si posò tra loro.
- Su, ce la puoi fare… Trenta secondi.
Disse lei.
- Un abbraccio stretto. E il corpo comincia a produrre ossitocina. Non è magia. È biologia poetica. È il modo in cui siamo stati progettati per sentirci, e amarci.
Lui la strinse, piano, in un primo momento. Poi più forte. E qualcosa, dentro, cominciò a cedere.
Lei sorrise.
- Vedi? Il sistema non scherza.
Lui sospirò.
- Devo reimparare a essere umano? Dici?
Lei lo guardò.
- Dico che siamo in due. Ma io ho iniziato da te.
Parola di Creativa
©Cinzia Rota. Milano, 04/10/2025
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Immagine di fantasia ma evocativa dei contenuti dell’articolo generata con IA
Bellissime parole