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Lava Pier Carlo

Il male è una delle domande più antiche e ostinate che l’umanità si sia posta. Da dove nasce? È una forza autonoma, un difetto dell’uomo, una necessità della storia? Ogni civiltà, ogni religione e ogni filosofia hanno cercato di rispondere a questo interrogativo, spesso senza giungere a una soluzione definitiva, ma lasciando tracce profonde nel nostro modo di pensare e di agire.
Nelle grandi religioni dualistiche, come lo Zoroastrismo, il mondo è il campo di battaglia tra due principi opposti e reali: il Bene e il Male. Questa visione ha influenzato anche il Cristianesimo, che pur affermando l’assoluta sovranità del Bene divino, riconosce l’esistenza di una forza avversa, attiva nella storia. Sant’Agostino, però, introduce una svolta decisiva: il male non è una sostanza, ma una privatio boni, una mancanza di bene. «Il male non esiste se non come assenza del bene», scrive, spostando il problema dal cosmo all’anima umana. Il male nasce quando l’uomo si allontana liberamente dal bene, quando la volontà si piega su se stessa.
Ma la modernità incrina questa spiegazione. Dopo le tragedie del Novecento, la Shoah, i totalitarismi, i genocidi, diventa sempre più difficile pensare il male solo come assenza. Hannah Arendt, osservando il processo a Eichmann, parla di banalità del male: «Il problema con Eichmann era proprio che era terribilmente normale». Il male, in questa prospettiva, non ha sempre il volto del mostro; spesso indossa quello dell’obbedienza, dell’indifferenza, della rinuncia a pensare. Non serve l’odio, basta la sospensione della coscienza.
Anche la filosofia contemporanea insiste su questo punto. Immanuel Kant parla di male radicale, radicato nella libertà umana: non siamo cattivi per ignoranza, ma perché scegliamo consapevolmente di anteporre l’interesse, il potere o la comodità al dovere morale. Il male, quindi, non è un incidente della storia, ma una possibilità sempre aperta nell’uomo. Come scrive Fëdor Dostoevskij, «la linea che separa il bene dal male non passa tra Stati o classi, ma attraversa il cuore di ogni uomo».
Eppure, se il male ha origine nella libertà, nella stessa libertà nasce anche la resistenza al male. In ogni epoca, accanto alla violenza e alla sopraffazione, emergono gesti silenziosi di opposizione: chi salva, chi cura, chi dice no. Albert Camus, riflettendo sull’assurdo e sulla sofferenza, afferma: «L’uomo è l’unica creatura che si rifiuta di essere ciò che è». È in questo rifiuto che si annida la possibilità del bene, anche quando il mondo sembra dominato dall’ingiustizia.

Le origini del male, allora, non sono solo un problema teorico. Ci riguardano da vicino, ogni giorno. Il male nasce quando smettiamo di interrogarci, quando rinunciamo alla responsabilità, quando accettiamo che “così vanno le cose”. Ma nasce anche la speranza, ogni volta che qualcuno sceglie di restare umano in un mondo disumano. Come ricordava Primo Levi, testimone estremo del Novecento: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo». Ma proprio per questo, aggiungeva implicitamente, può anche essere impedito. Sta a noi.
Geo
Il tema del Male attraversa confini, epoche e culture, ma continua a interrogare con forza anche il presente. In un tempo segnato da guerre, violenze, disuguaglianze e crisi morali, riflettere sulle origini del Male significa interrogarsi sul ruolo dell’uomo nella storia e sulla responsabilità individuale di fronte al potere, all’indifferenza e alla paura. Alessandria today, da sempre attenta alla cultura e al pensiero critico, propone questa riflessione come strumento di consapevolezza civile e umana, capace di unire filosofia, memoria storica e attualità, offrendo ai lettori non risposte definitive ma domande necessarie.