In questo contributo Nicola F. Pomponio accompagna il lettore in un viaggio colto e insieme intimo nel cuore della cultura argentina, dove il verbo “compartir” diventa chiave di lettura di una società fondata sulla condivisione, dalla cerimonia del mate al tango come esperienza esistenziale. Una riflessione che invita a ripensare il nostro modo di stare insieme e di abitare il mondo.
Pier Carlo Lava
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Comunicato stampa: Argentina magistra vitae
BUENOS AIRES – Da tempo si è notato come ogni idioma sviluppi particolari preferenze per alcuni termini; si pensi all’uso del verbo fare (to do, non to make) in inglese o alla predilezione, tutta tedesca, rimarcata sia da Nietzsche sia da Thomas Mann, del verbo divenire (werden) o all’uso italiano di fare che spesso sopperisce a termini assenti come fare colazione o fare una doccia. Un caso analogo compare nell’uso argentino dello spagnolo “compartir“, condividere. In Argentina la condivisione sembra essere uno degli aspetti caratteristici della lingua e del comportamento di questo affascinante paese. Vorrei soffermarmi su questo dettaglio, che trovo molto significativo, senza stare a decantare le arcinote bellezze locali facilmente rintracciabili in qualsiasi buona guida turistica o blog.
Cosa si condivide? Farei due esempi e una breve nota a margine. Partiamo dal bere. La bevanda nazionale è il mate, un infuso di erba che cresce solo nel nord del paese e negli stati limitrofi. Bere il mate, quando si è in compagnia, è un’esperienza che travalica il semplice dissetarsi, ma mira a creare un gruppo, un legame, è una sorta di versione laica dell’Eucarestia. Esistono regole non scritte ma ben precise: si riempie, fino a circa due terzi, un contenitore di erba mate, si mette acqua calda e si beve da un beccuccio (la bombilla).

L’interessante è che chi prepara il tutto passa il contenitore ad una persona che, dopo aver bevuto, glielo restituisce affinché venga dato a un altro presente e così via. Tutti bevono lo stesso infuso allo stesso beccuccio nello stesso contenitore, che passa di mano in mano sempre però attraverso la mediazione di chi prepara la bevanda valutandone di volta in volta la necessità di aggiungere acqua rigorosamente calda, ma non bollente. Un modo di bere si potrebbe dire, con un termine abusato, comunitario; in effetti il “compartir” del mate crea una notevole intimità tra le persone; non a caso un amico argentino in Patagonia mi faceva notare come avesse grosse difficoltà a far accettare questa vera e propria cerimonia a persone di cultura anglosassone.
Puntualizziamo. Non emetto giudizi di valore sulle diverse culture mi limito a sottolineare le differenze riscontrabili tra un’idea di collettività, di gruppo e una valorizzazione del singolo con la relativa difesa della privacy (termine non a caso inglese); il “compartir” argentino si appella a qualcosa che lega l’individuo a un gruppo di appartenenza senza richiedere particolare conoscenza di chi ci circonda, è un’apertura all’altro basata sulla fiducia; le difficoltà riscontrate dal mio amico sottolineano semplicemente le differenze culturali. Non tutti sono disponibili a bere in questa maniera.
C’è però un altro aspetto dove il “compartir” argentino si evidenzia e regna sovrano: il tango. Solitamente si pensa, soprattutto in Europa, che il tango sia un susseguirsi di figure più o meno elaborate in cui il cavaliere invita la dama a cimentarsi. La mia impressione è diametralmente opposta: il tango è un mezzo attraverso il quale due persone, anche sconosciute, condividono un’esperienza comunicativa corporale che mira a mettere in connessione il loro intimo e non a destreggiarsi in evoluzioni proprie di altre danze (altrettanto rispettabili!).
C’è una canzone che descrive bene cosa avviene: “così si balla il tango, sentendo nel viso il sangue che sale a ogni battuta, mentre il braccio come un serpente si attorciglia alla vita quasi a spezzarla. Così si balla il tango, mescolando l’alito, chiudendo gli occhi per ascoltare meglio”. Questo è il punto: due esseri umani entrano in connessione nel breve spazio di un ballo dando vita a una coppia nel senso più profondo del termine perché condividono un’esperienza che li unisce saldamente. Ma questa unione può preannunciarsi fin dall’inizio con l’invito a ballare attraverso il semplice sguardo (la “mirada”). Visto dall’esterno ha un valore molto pregnante: improvvisamente due persone si alzano e, senza scambiarsi una parola, si dirigono verso la pista incontrandosi. Lo sguardo condiviso crea una coppia che, nel ballo, può entrare in piena sintonia. Certo, non è facile ma è il lato più interessante.
Uno sguardo, gli occhi che parlano, poi l’abbraccio (“sacro agli dei” per i tragici greci) come dono della propria intimità e infine il linguaggio del corpo modellato dalla musica. Penso non esista un modo di condividere più profondo. Ma questa condivisione, questo entrare in connessione è tutt’altro che scontato o semplice, il che spiega come spesso si prenda la scorciatoia del tecnicismo o, peggio, dell’esibizionismo. Non a caso un’italiana che ho incontrato in milonga a Buenos Aires si lamentava dicendo che gli argentini “non sanno ballare” (!??!) perché non fanno figure; diceva una cosa vera, a parte la vena di arroganza provinciale, ma il fine del tango non è la figura è “compartir” un’esperienza esistenziale.
Un’ultima annotazione. Nella Costituzione del 1853 venne abolita, senza una sanguinosa guerra civile, la schiavitù ma, cosa ancora più interessante, si stabiliva l’obiettivo di “promuovere il benessere generale e assicurare i benefici della libertà a noi, alla nostra posterità e a tutti gli uomini del mondo che vorranno abitare sul suolo argentino (todos los hombres del mundo que quieran habitar en el suelo argentino)” (premessa). Penso che abbiamo molto da imparare dal “compartir” di questa nazione.
Nicola F. Pomponio
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Geo
Il testo prende forma a Buenos Aires, cuore culturale dell’Argentina, e si estende idealmente a tutto il Paese, raccontandone una cifra antropologica profonda: la condivisione come valore linguistico, sociale ed esistenziale. Attraverso esempi emblematici come il rito del mate e il tango, l’autore restituisce uno sguardo colto e partecipe su una cultura che invita all’apertura verso l’altro. Alessandria today ospita questo contributo come riflessione culturale capace di dialogare con il presente, oltre i confini geografici.