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In questo contributo il lettore è invitato a scoprire una lirica appartata di Vittorio Alfieri, dove l’energia morale del poeta si concentra in un esercizio severo di verità e autocoscienza.
Pier Carlo Lava

Quando si pensa a Vittorio Alfieri, la memoria corre immediatamente al tragediografo titanico, all’uomo del gesto assoluto e dell’indipendenza feroce. Eppure, accanto alle grandi tragedie e ai sonetti più noti, esistono testi brevi e intensi che rivelano un Alfieri più intimo, quasi ascetico, impegnato in un dialogo rigoroso con se stesso. Sublime specchio di veraci detti appartiene a questa zona meno esplorata della sua poesia.

Qui il poeta si confronta con la scrittura come strumento di verità. La poesia non è ornamento, ma specchio morale, luogo in cui l’io si riflette senza attenuanti. Alfieri non cerca consolazione né indulgenza: cerca chiarezza, anche quando è dolorosa.

Sublime specchio di veraci detti
Vittorio Alfieri

Sublime specchio di veraci detti,
mostrami al vivo il mio pensier qual è;
fa ch’io mi vegga intero, e non m’inganni
l’ombra fallace che m’avvolge il cor.

Né lode io chieggo, né pietà mi giova:
ver me ritorni ogni mia voce ardente;
e s’empio errore o vil paura io scorgo,
me stesso accusi, e non l’altrui rigor.

Così temprato il cor, l’alma rinforzi,
né tema il vero, né lo sfugga mai;
ché sol chi guarda in sé, senza menzogna,
può dirsi libero, e non servo ancor.

La poesia si muove come un esercizio etico, più che lirico. Il lessico è netto, privo di ambiguità; il tono è solenne ma controllato. Alfieri affida al verso il compito che altrove riserva alla tragedia: formare un uomo libero, capace di guardarsi senza autoinganni.

Il “sublime specchio” è la parola poetica stessa, che riflette non ciò che consola, ma ciò che smaschera. In questo senso Alfieri anticipa una linea di pensiero che attraverserà la modernità, da Leopardi fino a Nietzsche, dove la verità non è mai pacifica, ma necessaria.

Non c’è spazio per il sentimento elegiaco o per la malinconia. Qui domina la disciplina interiore, la convinzione che la libertà passi attraverso la conoscenza di sé. È una poesia severa, forse scomoda, ma proprio per questo profondamente attuale, in un tempo che spesso confonde sincerità e compiacimento.

Vittorio Alfieri, nato ad Asti nel 1749 e morto a Firenze nel 1803, è stato uno dei grandi protagonisti del passaggio dall’Illuminismo al Romanticismo italiano. La sua opera, animata da un’idea assoluta di libertà, trova nei sonetti meno noti uno spazio di riflessione privata che completa e approfondisce il volto pubblico del poeta.

Geo
Vittorio Alfieri nacque ad Asti, in Piemonte, e visse tra Torino, Firenze e l’Europa del suo tempo. La sua poesia nasce da un’esigenza morale che travalica i luoghi e parla a ogni epoca. Alessandria today propone questa lettura per continuare la riscoperta dei classici, mettendo in luce le loro voci più rigorose e meno celebrative.

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