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Ci sono testi che non consolano, ma formano. “Sull’amore” è uno di questi: una voce che non promette riparo, ma verità.

Commento introduttivo
Pier Carlo Lava

Tra le pagine più alte e riconoscibili de Il Profeta (1923), Sull’amore occupa un posto centrale perché smonta ogni idea romantica e rassicurante dell’amare. Khalil Gibran non parla dell’amore come rifugio emotivo, ma come forza necessaria e inevitabile, capace di elevare e insieme di ferire. È un testo che non chiede consenso, ma disponibilità: chi legge è chiamato a scegliere se restare alla superficie o lasciarsi trasformare.

L’amore, per Gibran, è una potenza che non si lascia addomesticare. Non protegge l’io, lo attraversa. Non si piega ai desideri umani, ma li purifica. In questo discorso di Almustafa, la parola poetica assume il tono della rivelazione: ogni immagine è una soglia, ogni metafora un passaggio obbligato verso una forma più autentica dell’essere.

Di seguito il testo integrale, nella traduzione italiana più diffusa, fedele allo spirito originario dell’opera.


Sull’amore
Khalil Gibran – da “Il Profeta” (1923)

Allora disse Almitra: Parlaci dell’Amore.
Ed egli alzò il capo e guardò la folla, e scese il silenzio su di essa. E con voce possente disse:

Quando l’amore vi chiama, seguitelo,
anche se le sue vie sono aspre e ripide.
E quando le sue ali vi avvolgono, cedetegli,
anche se la spada nascosta tra le sue penne può ferirvi.
E quando vi parla, credetegli,
anche se la sua voce può infrangere i vostri sogni
come il vento del nord devasta il giardino.

Poiché come l’amore vi incorona, così vi crocifigge.
Come è per la vostra crescita, così è per la vostra potatura.
Come sale fino alla vostra altezza
e accarezza i vostri rami più teneri che tremano al sole,
così discende fino alle vostre radici
e le scuote nel loro attaccamento alla terra.

Come covoni di grano vi raccoglie a sé.
Vi trebbia per rendervi nudi.
Vi vaglia per liberarvi delle vostre bucce.
Vi macina fino al candore.
Vi impasta finché diventate docili;
e poi vi consegna al suo sacro fuoco,
perché diventiate pane sacro per il sacro banchetto di Dio.

Tutte queste cose l’amore farà di voi
affinché possiate conoscere i segreti del vostro cuore
e, in questa conoscenza, diventare un frammento del cuore della Vita.

Ma se, nella vostra paura, cercaste solo la pace dell’amore
e il piacere dell’amore,
allora sarebbe meglio per voi coprire la vostra nudità
e uscire dall’aia dell’amore,
per entrare nel mondo senza stagioni,
dove riderete, ma non di tutta la vostra risata,
e piangerete, ma non di tutte le vostre lacrime.

L’amore non dà nulla se non se stesso
e non prende nulla se non da se stesso.
L’amore non possiede e non vuole essere posseduto,
poiché l’amore basta all’amore.

Quando amate, non dite: “Dio è nel mio cuore”,
ma piuttosto: “Io sono nel cuore di Dio”.
E non pensate di poter dirigere il corso dell’amore,
poiché l’amore, se vi trova degni, dirige il vostro corso.

L’amore non ha altro desiderio che compiere se stesso.
Ma se amate e dovete avere dei desideri,
siano questi i vostri desideri:
sciogliervi ed essere come un ruscello che canta la sua melodia alla notte;
conoscere il dolore di troppa tenerezza;
essere feriti dalla vostra stessa comprensione dell’amore
e sanguinare volontariamente e con gioia.

Svegliarvi all’alba con un cuore alato
e rendere grazie per un altro giorno d’amore;
riposare nell’ora del meriggio
e meditare l’estasi dell’amore;
ritornare a casa al tramonto con gratitudine;
e poi addormentarvi con una preghiera per l’amato nel cuore
e un canto di lode sulle labbra.


Questo testo è costruito come una liturgia laica. Le immagini della trebbiatura, della macina, del fuoco sacro parlano di spoliazione necessaria: per amare davvero occorre perdere ciò che è superfluo, le difese, le maschere. L’amore, in Gibran, non è mai quiete: è processo, è trasformazione continua.

Dal punto di vista letterario, Sull’amore dialoga con la mistica sufi di Rumi, con il Cantico dei Cantici, con la spiritualità simbolica di Tagore, ma anche con una visione moderna dell’individuo, vicino a certo pensiero europeo del primo Novecento. Come in Rainer Maria Rilke, l’amore non è fusione comoda, ma compito difficile, esercizio di verità.

In un’epoca che tende a ridurre l’amore a consumo emotivo o a sicurezza affettiva, Gibran propone una visione radicale: amare significa accettare di essere cambiati. Non c’è promessa di felicità, ma una possibilità più alta: diventare parte del cuore stesso della vita.

Ed è forse per questo che Sull’amore continua a essere letto, condiviso, citato. Perché dice ciò che non sempre vogliamo ascoltare, ma che riconosciamo come vero.


Geo
Khalil Gibran nacque nel 1883 a Bsharri, in Libano, e visse tra il Medio Oriente e gli Stati Uniti, soprattutto a Boston e New York. Poeta, pittore e pensatore, seppe unire tradizione orientale, simbolismo occidentale e spiritualità universale, creando un linguaggio accessibile e profondo. Il Profeta, pubblicato nel 1923, è uno dei libri più letti e tradotti del Novecento. Alessandria today continua a proporre questi testi come spazi di riflessione contemporanea, dove la parola poetica resta viva e necessaria.

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