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Intervista e traduzione in lingua polacca Izabella Teresa Kostka.


Wywiad i przekład z języka włoskiego Izabella Teresa Kostka.

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INTERVISTA A EMANUELE MARCUCCIO: “La gratitudine è l’antidoto al veleno dell’invidia”.

Nel panorama della letteratura italiana contemporanea, il mio interlocutore è senza dubbio una delle figure più attive, sia sul piano della scrittura (poesia, aforismi, testi teatrali) sia nel campo dell’attività artistica e culturale in senso lato. Mente poliedrica e innovativa, il cui impegno ha già lasciato un segno significativo tra le fila dei poeti italiani contemporanei viventi. Il mio ospite odierno è Emanuele Marcuccio, il quale ho invitato a questa conversazione con grande entusiasmo.

  1. I.T.K.: Buongiorno Emanuele. Sei nato in Sicilia, culla della cultura e dell’arte. A Palermo, città ricca di testimonianze dell’arte arabo-normanna e barocca. È stato questo splendore artistico e culturale a spingerti, a dedicarti alla letteratura e alla cultura? Sei nato nel 1974 e hai iniziato a scrivere poesie nel 1990. Descrivici gli inizi della tua avventura con le Muse.

E.M.: Buongiorno a te, Izabella. Innanzitutto, ti ringrazio per l’invito a questa intervista e per l’opportunità; questa è la seconda intervista bilingue che mi fanno, la prima l’ho rilasciata nel 2012 per la rivista italo-venezuelana «Suroeste» e riportava a fronte la traduzione in lingua spagnola di Claudio Emilio Pompilio Quevedo, lo stesso editore della rivista e intervistatore. Ed ecco che, a distanza di più di dieci anni, giunge la tua intervista con traduzione a fronte in lingua polacca, che, non ho potuto fare a meno di accogliere ringraziandoti ancora per l’invito.
Il mio amore per la poesia, per la letteratura e la cultura in generale è nato solo in prima media, era il 1985, ero un ragazzino di undici anni, inizierò a scrivere poesia, successivamente, a sedici anni, grazie alle lezioni di italiano, storia e geografia della professoressa che mi ha instillato anche l’amore per la lettura e la letteratura. Ricordo che prima di allora (alle elementari) non ne volevo proprio sapere di poesia (francamente, mi sembrava solo qualcosa da mandare a memoria e nulla più) né di letteratura e leggevo solo di mala voglia e soltanto i libri di testo della scuola. Come mi sbagliavo!
Negli anni, scrivendo anche aforismi e pensieri (ho iniziato nel 1991), ho molto riflettuto sul concetto di poesia, tanto che la maggior parte della mia scrittura in aforismi e pensieri verte sulla poesia arrivando a darne tante definizioni, tra cui, quella che mi è più cara è: “La poesia è anima che si fa parola” citando direttamente dalla prima raccolta aforistica del 2012, «Pensieri Minimi e Massime».
Tornando ai miei esordi con la poesia, per la precisione iniziai ad accostarmi alla sua scrittura nel settembre 1989, a quindici anni, con degli esercizi che non considero poesia, né pubblicherò mai; la prima poesia giunse solo nel 1990, in quinta ginnasiale, partecipando a un gruppo artistico nel corso delle occupazioni scolastiche, era il 20 aprile, “La scuola è in alto mare”, la stessa poesia darà l’incipit nel 2009, quasi un ventennio dopo, alla prima silloge di poesia e opera prima, «Per una strada»; ricordo che nello stesso anno, donai alla professoressa delle medie (ormai in pensione) una copia autografa del libro e non si riteneva degna della dedica.

  1. I.T.K.: Il tuo esordio poetico è avvenuto nell’agosto del 2000, quando ventidue delle tue poesie sono state pubblicate dalla casa editrice Nuovi Autori di Milano. Da allora è passato molto tempo. Il tuo approccio alla poesia è cambiato molto da quella prima pubblicazione?

E.M.: Nell’agosto del 2000 per la prima volta in un libro di autori vari compare anche il mio nome, come autore di ventidue poesie in esso antologizzate. Come già ti dissi, la prima poesia la scrissi nel 1990; all’inizio sono stato molto influenzato dai grandi poeti, come ad esempio Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi, avevo bisogno di modelli da cui partire, senza cercare di imitarli e limitandomi all’utilizzo di qualche vocabolo, successivamente, almeno a partire dal 1996 il mio stile si fa sempre più personale e questa rivisitazione dei classici va sempre più scemando, con una pausa nel 2006 quando scrissi “Dolcemente i suoi capelli…”, un mio omaggio alla grande poesia italiana dei tempi passati, scritta interamente in rima (io che normalmente non uso la rima per scrivere poesia), ispirandomi allo sfuggente volto di una ragazza che, dolcemente giocava con i suoi capelli, facendone anelli con le dita alla fermata del bus. Dal 2013, dopo alcuni esempi isolati del 2010, decido di abbandonare la punteggiatura in poesia e l’ultima parte della seconda silloge, «Anima di Poesia» uscita nel 2014, contiene anche liriche dei citati anni andando così alla ricerca dell’estrema sintesi e dell’essenzialità, con versi brevi, asciutti e lapidari, con stacchi netti in accapo e in doppio accapo, giungendo nel 2014 ad abbandonare anche l’incipit con lettera maiuscola, a conferma di ulteriore sintesi ed essenzialità, come a voler sottintendere un verso e tutti i versi precedenti in una sorta di richiamo ciclico tra explicit e incipit. Tra l’altro, prodromi di estrema sintesi sono già presenti in alcune poesie della prima silloge, «Per una strada», escludendo l’abbandono della punteggiatura; c’è, quindi, come ha già evidenziato il poeta amico e critico letterario Luciano Domenighini in un suo saggio, un’evoluzione in questo e non rivoluzione selezionando alcuni rari aspetti precedenti della mia poesia, portandoli alle estreme conseguenze e così al mio attuale modo di fare poesia, dove permangono tre punti fermi: la spontaneità, la musicalità, la fluidità del verso, e sottolineo la musicalità, anche se non utilizzo la rima, se essa raramente è presente è solo spontanea.

  1. I.T.K.: Parlando con te, trovo quasi impossibile elencare tutti i tuoi volumi e le varie pubblicazioni. Da giugno 2010 a dicembre 2023, hai curato diciotto libri, tra raccolte di poesie, antologie e saggi dedicati alla critica letteraria per opere di altri autori. Puoi raccontarci di più di questi tuoi successi?

E.M.: Sono autore di cinque libri usciti tra il 2009 e il 2024 (due sillogi di poesia, due raccolte di pensieri e aforismi e uno di teatro in versi) e quando nel giugno del 2010 avevo al mio attivo soltanto un libro, la silloge di poesia, «Per una strada», ecco che la poetessa amica, scrittrice e infaticabile promotrice culturale Gioia Lomasti mi invitava a collaborare con lei nella cura editoriale di libri di poesia; dapprima, con la sua preziosa guida giungo a curare tre sillogi di poesia ma, poi, dal 2012 procedo anche da solo, in seguito con case editrici diverse curando anche due libri di narrativa e saggi di critica letteraria a opere di terzi, giungendo nel dicembre 2023 alla cura di diciotto libri in totale. Tra questi, non posso non ricordare i due che ho curato per la cara e compianta amica Lucia Bonanni, poetessa, critico letterario e saggista, che ci ha lasciato il 9 luglio del 2024: la monografia, Linee esegetiche attorno all’opera narrativa di Lorenzo Spurio del 2019 e la raccolta saggistica, Saggi scelti. I Classici del 2021; prossimamente uscirà postuma la sua terza silloge di poesia, sempre con la mia cura editoriale e il mio quinto libro uscito nel novembre 2024, «Lo stupore e la meraviglia. Aforismi e pensieri», che riporta anche un suo saggio di postfazione, non potevo che dedicarlo alla sua cara memoria.

  1. I.T.K.: Sei un aforista, poeta, redattore di prestigiose riviste e giurato in numerosi concorsi letterari. Vorrei parlare di una forma che hai ridefinito e che, grazie a te, è diventata disciplina di un importante concorso di poesia per diverse edizioni. Mi riferisco al dittico poetico a due voci: una composizione composta da due poesie di autori diversi, scritte anche in epoche diverse, ma collegate da una sorta di corrispondenza empatica. Puoi parlarcene?

E.M.: Teorizzando il dittico poetico a due voci ho operato una sorta di perfezionamento, una rivisitazione del dittico poetico propriamente detto e solitamente scritto da un solo autore, mentre la mia idea di dittico prevede che gli autori siano due con due distinte poesie scritte indipendentemente, anche in tempi diversi, che si scoprano essere accomunate dal medesimo tema in una sorta di corrispondenza empatica. L’idea è nata il 9 maggio 2010, quando lessi su Facebook “Vita parallela” della poetessa amica Silvia Calzolari, ecco che lo stesso giorno scrissi “Telepresenza”, poesia che tratta dei rapporti amicali virtuali che possono nascere online, che, poi, è lo stesso tema affrontato nella citata poesia della Calzolari. In “Telepresenza”, con felice metafora e servendomi di una sineddoche definisco il computer, “foglio di vetro impazzito”, “impazzito”, per il folle e frenetico mondo di internet, in cui è presente tutto il bene e tutto il male, sta a noi scegliere la parte migliore. Così, in seguito nacquero tanti altri dittici poetici a due voci, con poesie scritte in tempi diversi e dove ho lasciato che una mia poesia fosse preceduta, faccia eco, quella di un altro poeta o poetessa, già compagni di viaggio sul “foglio di vetro” individuando non solo corrispondenze di temi ma anche sonore ed emozionali, corrispondenze di significanti, affinità elettive poetiche, fino ad arrivare al marzo 2013 quando ho avviato il progetto editoriale di un’antologia di questi dittici, è nata così la non solita serie antologica, il progetto di poesia “Dipthycha”, che ha visto la pubblicazione, tra il settembre 2013 e il dicembre 2022, di quattro volumi a mia cura, la partecipazione complessiva di quarantadue voci poetiche contemporanee italiane e l’inserimento come sottosezione di partecipazione per due edizioni consecutive, la decima e l’undicesima svoltesi tra il 2021 e il 2023, nel Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, ideato e presieduto dal poeta amico e critico letterario Lorenzo Spurio, con il quale collaboro dal luglio 2011; tra l’altro, lo stesso Spurio è anche autore della monografia sulla mia attività letteraria e traduttore in lingua spagnola del ciclo di quattro poesie dedicate a Federico García Lorca, che scrissi tra il 1997 e il 2000.
Tornando al dittico a due voci inserito come sottosezione di partecipazione del premio “L’arte in versi”, non posso qui non ricordare la grande soddisfazione che ho avuto quando nel verbale di giuria dell’undicesima edizione lessi che veniva assegnato per la sezione “L” un terzo premio a due poeti, Eugenio Griffoni e Giulia Bologna, partecipanti con un dittico a due voci, i quali, non avevano mai partecipato a un volume di “Dipthycha” né io conoscevo e sono stato ben felice di poter scrivere io stesso la motivazione al dittico a due voci premiato. Purtroppo, per motivi organizzativi a partire dalla dodicesima edizione è stata eliminata l’intera sezione di sperimentazioni poetiche che, oltre al dittico a due voci, comprendeva anche la ‘corto poesia’ teorizzata dai poeti Antonio Barracato e Dorothea Matranga e la poesia dinanimista teorizzata dal poeta amico Zairo Ferrante.

  1. I.T.K.: Esatto, “Dipthycha” è una pubblicazione molto interessante e ambiziosa, uscita già in numerosi volumi, a cui hai invitato i più stimati e validi poeti italiani contemporanei. Hai anche proposto un formato allargato, cioè un trittico per tre voci poetiche. Cosa ti guida nella selezione degli autori? L’istinto oppure l’analisi approfondita dei testi?

E.M.: Prima di parlare del trittico poetico a tre voci, aggiungo che dal secondo volume di “Dipthycha” uscito nel 2015, sono arrivati anche i dittici a due voci senza una mia poesia.
Il trittico poetico a tre voci è nato nell’agosto 2016, anche su suggerimento dei poeti amici Lorenzo Spurio e Luigi Pio Carmina, come naturale evoluzione del dittico poetico a due voci e vede la sua comparsa nel quarto volume del progetto “Dipthycha” uscito nel dicembre 2022. Sulla falsariga del dittico poetico a due voci, con tale trittico abbiamo tre autori diversi, ognuno con tre distinte poesie, ciononostante, non è mia intenzione in futuro individuare, proporre polittici “a più voci”, in quanto, con la triade (tesi-antitesi-sintesi) si realizza la perfetta “trittica” corrispondenza, non è necessario andare oltre, si creerebbe solo una inutile dispersione del flusso poetico, e con il quarto volume sono arrivati anche i trittici a tre voci senza una mia poesia.
Rispondo adesso all’ultima parte della tua domanda. Nella selezione degli autori, per far sì che io individui, ci sia un dittico poetico a due voci, innanzitutto parto dal tema comune alle due poesie in attenta lettura, tuttavia, non posso basarmi solo su questo, sarebbe troppo facile e anche banale: bisogna che ciascun autore della rispettiva poesia esprima un proprio modo di fare poesia, non devono esserci tentativi di imitazione reciproca, infine, la seconda poesia del dittico deve essere in qualche modo un’ideale risposta alla prima attraverso una sorta di continuum per analogie, corrispondenze sonore o emozionali, di significanza, di empatia, di poetica affinità elettiva. Dal secondo volume in poi sono arrivate anche proposte di dittici a due voci da parte di alcuni degli autori partecipanti, che ho selezionato dopo attenta lettura.

  1. I.T.K.: Nell’aprile 2016 hai completato il tuo dramma epico in versi liberi, Ingólf Arnarson, in un prologo e cinque atti, un’opera storico-fantastica ambientata nel Medioevo islandese (IX secolo d.C.). Iniziato nel maggio 1990, il dramma è stato completato dopo numerose revisioni, interruzioni (sette anni in totale) e modifiche. È stato pubblicato nell’agosto 2017 da Le Mezzelane Casa Editrice, una casa editrice marchigiana. È un’opera incredibile che, nella mia mente, evoca scene fiabesche e quasi cinematografiche di famose saghe epiche adattate per il grande schermo. Da dove è nata questa idea e come l’hai sviluppata?

E.M.: Ti ringrazio per l’apprezzamento di questa mia opera poetica e teatrale in un prologo e cinque atti, di argomento storico-fantastico e di ambientazione islandese, alla cui stesura lavorai ben diciannove anni, tolti i sette non continuativi di interruzione, praticamente l’opera di una vita.
Fin da quattordicenne, dal 1988, dopo la scoperta di meravigliose immagini paesaggistiche islandesi nell’enciclopedia acquistai una guida ai Paesi nordici (in realtà cercavo un libro sull’Islanda, al massimo una guida turistica), poi, in biblioteca, lessi l’interessante racconto ottocentesco di Natale Nogaret, Viaggio nell’interno dell’Islanda, però, la scintilla, l’ispirazione per scrivere quello che in seguito sarebbe diventato il dramma epico in versi liberi, arrivò nel 1989, in quinta ginnasiale, affascinato dalle immagini di una brochure turistica inglese dell’Islanda, Around Iceland, ricevuta in regalo, dove lessi per la prima volta del leggendario Ingólfur Arnarson, primo colonizzatore permanente dell’Islanda, diventato, poi, l’eroe eponimo del dramma in versi liberi, dove scelsi, anche su suggerimento del filologo germanista Dario Giansanti, di utilizzare la lezione onomastica dell’islandese antico “Ingólf”. Continuando a essere affascinato da quei paesaggi, pur vedendoli solo in fotografia, in quell’opuscolo turistico inglese, che conservo gelosamente, tra ottobre di quell’anno e marzo del 1990, abbozzai in prosa quello che diventerà il primo atto del futuro dramma in versi ambientato in Islanda e, dal 28 maggio 1990 (quando da poco avevo iniziato a scrivere poesia) partì la trasposizione in versi del primo atto aggiungendo alla fine il prologo, in seguito, dal secondo atto, continuai a scriverlo direttamente in versi. Ovviamente, l’opera in fase di scrittura ha subito vari ripensamenti e successive modifiche formali giungendo a completarla solo il 19 aprile 2016, con un totale di 2380 versi, cesellando il verso, sempre alla ricerca della migliore musicalità e fluidità nel ritmo, nella cadenza e alla lettura. Versi liberi e non certo anarchici, versi di varia lunghezza, sorretti da una diversa metrica, costituita non dal numero delle sillabe o dalla rima ma da assonanze, consonanze, figure di suono e dalle necessarie figure retoriche. E se nella mia poesia, dal gennaio 2013 ho abbandonato la punteggiatura, sempre alla ricerca di una maggiore sintesi ed essenzialità, nella poesia del dramma non mi è stato possibile farlo, in quanto dovendo seguire una trama, dovetti fare una deroga.

  1. I.T.K.: Sei un artista molto attivo nonché eccezionalmente aperto alla collaborazione e alle nuove tendenze. Nel 2014 hai aderito al movimento artistico del Metateismo, fondato dal pittore Davide Foschi, e successivamente a quello dell’Empatismo, fondato dalla poetessa Giusy Tolomeo. Puoi spiegarne i principi? Non temi che l’appartenenza a qualche corrente artistica possa limitare, in qualche modo, la tua creatività indipendente?

E.M.: Ho aderito a questi movimenti culturali nel 2014, in quanto in essi vi ho riconosciuto la mia concezione di poesia, in qualche modo ero già un metateista e un empatista e non lo sapevo. Il Metateismo, fondato dal pittore amico e artista Davide Foschi nel 2013, in sintesi, cerca di portare allo scoperto quella scintilla di divino che è nell’uomo attraverso l’ispirazione, sia poetica che letteraria in senso lato, che artistica e culturale in generale non accettando il nichilismo e il relativismo imperante; ringrazio ancora per la pubblicazione di una mia poesia nel catalogo del Metateismo, edito nel 2015 per i tipi di Giorgio Mondadori, giudicando anche la mia poesia rappresentativa del movimento, insieme a quella di altri poeti come Fabio Amato (purtroppo, non più tra noi), Emanuele Martinuzzi e Maria Luisa Mazzarini. Nello stesso anno arrivò a sorpresa anche un “Riconoscimento speciale all’Autore” (fuori concorso), al Premio Internazionale Arte e Letteratura 2015 – Scrittori e Artisti del Nuovo Rinascimento (Area Letteraria – Sezione Poesia edita e inedita in lingua italiana), organizzato dallo stesso movimento.
Quanto al movimento dell’Empatismo, del quale sono tra i cofondatori avendo stilato, su invito della stessa fondatrice, la poetessa amica e scrittrice Giusy Tolomeo, il manifesto del movimento in dieci sintetici capoversi; in sintesi, l’Empatismo propugna una rinascita della forma di comunicazione emotiva ed empatica per eccellenza, della forma verbale più profonda mai creata dall’uomo che è la poesia, che rifiuta ogni forma di volgarità o turpiloquio in essa ritenendo tali forme segno di poca creatività per esprimere rabbia e quant’altro, rifiutando altresì ogni espressione di bestemmia o blasfemia in poesia, come forma di rispetto verso ogni credo religioso. Infine, a titolo esemplificativo, riporto il decimo capoverso del manifesto dell’Empatismo: «Noi poeti empatisti, come dice la radice del nostro nome, vogliamo immedesimarci in ogni vita, vivendo mille vite in una. Vogliamo che il lettore si riconosca nella nostra poesia e, per comunicazione empatica, senta la sua voce, la ascolti guidandolo all’emozione».

  1. I.T.K.: Sei stato, e sei tuttora, un apprezzato giurato in molti concorsi letterari. È un ruolo molto responsabile e impegnativo, poiché valutare il lavoro altrui richiede notevole intuito, conoscenza, onestà e sensibilità. È anche un ruolo un po’ “ingrato”, poiché i perdenti spesso incolpano i giurati per la mancanza di obiettività, per le scelte “amichevoli” e così via. Cosa ne pensi? Ti sei mai trovato in una situazione problematica durante la tua carriera di giurato?

E.M.: Attualmente sono membro di giuria solo nel Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” giunto alla tredicesima edizione e lo sono fin dalla prima bandita nel 2012; ho iniziato con questo premio di poesia la mia carriera di giurato, successivamente, sono arrivate collaborazioni come membro di giuria in altri concorsi letterari, come per esempio la giuria in lingua italiana della prima edizione del “Bilingue Internazionale TraccePerLaMeta” già nel 2013, dove ho valutato anche racconti e saggi brevi, o le tre edizioni de “Gli Autori dell’Anno” svoltesi tra il 2014 e il 2017, dove ho valutato anche racconti. Indubbiamente, nel mio compito di giurato trovo maggiori difficoltà quando devo valutare un elaborato in concorso con un voto che non raggiunge la sufficienza, tuttavia, per onestà intellettuale non si può fare altrimenti.

  1. I.T.K.: Nel tuo lavoro di poeta, artista e curatore editoriale, hai avuto e continui ad avere l’opportunità di collaborare con personaggi di spicco del mondo della cultura. So per esperienza che, purtroppo, anche in questo campo, problemi di rivalità e invidia (malsana) si fanno profondamente sentire. Che ne pensi? Come affronti le potenziali manifestazioni di cattiveria derivanti dalla comune gelosia umana?

E.M.: Posso solo dire che chi prova invidia dimostra il proprio fallimento e ha rinnegato l’uomo nella sua unicità e irripetibilità; non posso che provare una grande compassione, queste persone, purtroppo, trascinano la propria vita e, citando un mio aforisma “la gratitudine è l’antidoto al veleno dell’invidia”.

  1. I.T.K.: Torquato Tasso disse: “Nessuno merita il nome di Creatore, tranne Dio e il poeta”. Ora ti farò una domanda molto personale. Come poeta, ti senti un prescelto con una missione da compiere e meritevole di ammirazione, o, al contrario, ti consideri un semplice sacerdote dell’arte, dedito a servire in nome della parola per la gloria della Musa?

E.M.: Mi considero un semplice amante della poesia, intesa nella sua più ampia accezione, non solo quella legata ai versi ma a tutte le arti in genere, anche nello sguardo semplice ammirando un tramonto può esserci poesia, un dono ricevuto da Dio per essere consolato nelle offese della vita.

Italia, novembre 2025

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Wywiad z Emanuele Marcuccio : „Wdzięczność jest antidotum na truciznę zazdrości”.

W panoramie współczesnej literatury włoskiej jest to z pewnością jedna z bardziej aktywnych postaci zarówno pod względem pisarstwa(poezje, aforyzmy, teksty teatralne), jak i w dziedzinie szeroko pojętej działalności artystycznej. Umysł wielobarwny i innowacyjny, który swym zaangażowaniem odcisnął już dużo piętno wśród szeregów żyjących współczesnych poetów włoskich. Moim dzisiejszym gościem jest Emanuele Marcuccio, którego zaprosiłam do rozmowy naprawdę z wielkim entuzjazmem.

  1. I.T.K.: Witaj Emanuele. Urodziłeś się na Sycylii, w kolebce kultury i sztuki. W Palermo, mieście bogatym w świadectwo kultury arabsko – normańskiej i barokowej. Czy to właśnie ten ogrom piękna i historii, które Ciebie otaczały od dziecka spowodowały, że poświęciłeś się literaturze i kulturze? Urodziłeś się w 1974 roku, a zacząłeś pisać wiersze w 1990 roku, opowiedz nam o początkach twej przygody z Muzami.

E.M.: Dzień dobry, Izabello. Przede wszystkim dziękuję za zaproszenie i za możliwość udzielenia wywiadu. To mój drugi dwujęzyczny wywiad. Pierwszy odbył się w 2012 roku dla włosko-wenezuelskiego magazynu „Suroeste”, a jego hiszpańskie tłumaczenie opublikował Claudio Emilio Pompilio Quevedo, redaktor i autor wywiadu. A teraz, ponad dziesięć lat później, oto Twój wywiad z polskim tłumaczeniem na następnej stronie. Nie mogłem się powstrzymać, żeby go nie przyjąć i ponownie dziękuję za zaproszenie.
Moja miłość do poezji, literatury i kultury w ogóle zaczęła się w szóstej klasie, w 1985 roku. Miałem wtedy jedenaście lat. Zacząłem pisać wiersze później, w wieku szesnastu lat, dzięki lekcjom włoskiego, historii i geografii moja nauczycielka zaszczepiła we mnie również miłość do czytania i literatury. Pamiętam, że wcześniej (w szkole podstawowej) w ogóle nie interesowałem się poezją (szczerze mówiąc, wydawała mi się czymś do zapamiętania i niczym więcej) ani literaturą, a czytałem niechętnie i tylko ze szkolnych podręczników. Jakże się myliłem!
Przez lata, pisząc aforyzmy i przemyślenia (zacząłem w 1991 roku), wiele zastanawiałem się nad pojęciem poezji, do tego stopnia, że większość moich aforyzmów i przemyśleń koncentruje się właśnie na poezji, co zaowocowało wieloma definicjami, w tym tą, którą cenię najbardziej: „Poezja to dusza, która staje się słowami”, cytując bezpośrednio z mojego pierwszego zbioru aforyzmów „Pensieri Minimi e Massime”, opublikowanego w 2012 roku.

Wracając do moich początków z poezją, to zacząłem się do niej zbliżać we wrześniu 1989 roku, w wieku piętnastu lat, z ćwiczeniami, których nie uważam za wiersze i których nigdy nie opublikuję. Mój pierwszy wiersz powstał dopiero w 1990 roku, w piątej klasie, kiedy brałem udział w zajęciach koła artystycznego podczas okupacji szkolnej. Było to 20 kwietnia: „Szkoła jest na pełnym morzu”. Ten sam wiersz stał się incipitem w 2009 roku, prawie dwadzieścia lat później, mojego pierwszego zbioru wierszy i debiutanckiego utworu „Wzdłuż drogi”. Pamiętam, że w tym samym roku dałem mojej nauczycielce ze szkoły średniej (obecnie na emeryturze) egzemplarz książki z autografem, a ona nie uznawała się za godną dedykacji.

  1. I.T.K. : Twój debiut poetycki miał miejsce w sierpniu 2000, w którym to 22 twoje wiersze opublikowane zostały przez wydawnictwo Editrice Nuovi Autori z Mediolanu. Od tego momentu upłynęło wiele czasu, czy twoje podejście do poezji bardzo zmieniło się od tej pierwszej publikacji?

E.M.: W sierpniu 2000 roku moje nazwisko pojawiło się po raz pierwszy w książce kolektywnej, jako autora dwudziestu dwóch wierszy z antologii. Jak już wspomniałem, swój pierwszy wiersz napisałem w 1990 roku. Początkowo duży wpływ na mnie mieli wielcy poeci, tacy jak Ugo Foscolo i Giacomo Leopardi. Potrzebowałem wzorców, od których mógłbym zacząć, nie próbując ich naśladować i ograniczając się do kilku słów. Później, przynajmniej od 1996 roku, mój styl stawał się coraz bardziej osobisty, a to powracanie do klasyki stopniowo zanikało, z przerwą w 2006 roku, kiedy napisałem „Dolcemente i suoi capelli…”, hołd dla wielkiej włoskiej poezji przeszłości, napisany w całości rymami (zwykle nie używam rymów do pisania wierszy), zainspirowany ulotną twarzą dziewczyny, która słodko bawiła się włosami, robiąc z nich pierścionki na palcach na przystanku autobusowym. Od 2013 roku, po kilku odosobnionych przykładach z 2010 roku, postanowiłem zrezygnować z interpunkcji w poezji. Ostatnia część mojego drugiego tomiku „Anima di Poesia / Dusza poetycka”, wydanego w 2014 roku, również zawiera lirykę z tamtych lat, dążąc w ten sposób do skrajnej syntezy i esencjonalności, z krótkimi, suchymi i lapidarnymi wersami, z wyraźnymi przerwami w łamaniu wersu i nawet podwójnymi przerwami w łamaniu wersu. W 2014 roku zrezygnowałem nawet z kapitalizowanego incipitu, co dodatkowo potwierdza moją syntezę i esencjonalność, jakby implikując wers i wszystkie wersy poprzedzające w swego rodzaju cyklicznym odniesieniu między wyrazem wyraźnym a incipitem. Co więcej, oznaki skrajnej syntezy są już obecne w niektórych wierszach z mojego pierwszego tomiku „Per una strada / Wzdłuż drogi”, mimo że zrezygnowałem z interpunkcji. Jak już mój przyjaciel poeta i krytyk literacki Luciano Domenighini podkreślił w jednym ze swoich esejów, mamy tu do czynienia z ewolucją, a nie rewolucją. Wybrałem pewne rzadkie, wcześniejsze aspekty mojej poezji, doprowadziłem je do skrajności i w ten sposób do obecnego sposobu pisania poezji, w którym pozostają trzy stałe punkty: spontaniczność, muzykalność, płynność wiersza, i podkreślam muzykalność, nawet jeśli nie używam rymów; jeśli są one rzadko obecne, to są tylko spontaniczne.

  1. I.T.K.: Rozmawiając z Tobą jestem wręcz w kłopotliwej sytuacji, by wymienić wszystkie twoje zbiory literackie i różnorodne publikacje. Od czerwca 2010 roku do grudnia 2023 wydałeś 18 książek, w tym zbiory poetyckie, antologie i eseje poświęcone krytyce literackiej dzieł innych autorów. Możesz przybliżyć nam te swoje osiągnięcia?

E.M.: Jestem autorem pięciu książek wydanych w latach 2009–2024 (dwa tomiki poezji, dwa tomiki myśli i aforyzmów oraz jeden tomik poezji dramatycznej). W czerwcu 2010 roku, mając na koncie tylko jedną książkę, tomik poezji „Per una strada / Wzdłuż drogi”, moja przyjaciółka, poetka, pisarka i niestrudzona promotorka kultury Gioia Lomasti zaprosiła mnie do współpracy przy redakcji tomików poetyckich. Początkowo, dzięki jej nieocenionemu wsparciu, zredagowałem trzy zbiory poezji, ale od 2012 roku pracowałem również samodzielnie. Później współpracowałem z różnymi wydawnictwami, redagując również dwa tomiki beletrystyki i zająłem się także krytyką literacką dzieł innych autorów. Do grudnia 2023 roku zredagowałem w sumie osiemnaście książek. Wśród nich nie sposób nie wspomnieć o dwóch, które zredagowałem dla mojej drogiej i nieżyjącej już przyjaciółki Lucii Bonanni, poetki, krytyczki literackiej i eseistki, która zmarła 9 lipca 2024 roku: monografii „Linee esegetiche intorno all’opera narrativa di Lorenzo Spurio” (Wiersze egzegetyczne wokół twórczości narracyjnej Lorenza Spurio) z 2019 roku oraz zbioru esejów „Saggi scelte. I Classici” (Wybrane eseje. Klasycy) z 2021 roku. Jej trzeci tomik poezji wkrótce ukaże się pośmiertnie, ponownie pod moim kierownictwem redakcyjnym. Moja piąta książka, „Lo stupore e la meraviglia. Aforismi e pensieri / Zdziwienie i oczarowanie. Aforyzmy i myśli”, wydana w listopadzie 2024 roku, która zawiera również jej posłowie, mogła być dedykowana wyłącznie jej drogiej pamięci.

  1. I.T.K. : Jesteś aforystą, poetą, redaktorem rubryk w prestiżowych czasopismach i jurorem w bardzo wielu konkursach literackich. Tu chciałabym porozmawiać o jednej z form, którą zdefiniowałeś na nowo i , dzięki tobie, stała się ona przez parę edycji jedną z dyscyplin w ważnym konkursie poetyckim. Mówię o dyptyku poetyckim na dwa głosy – kompozycji złożonej z dwóch wierszy różnych autorów, napisanych nawet w różnych czasach, ale połączonych pewnym rodzajem korespondencji empatycznej. Możesz nam o tym opowiedzieć?

E.M.: Teoretyzując dwugłosowy dyptyk poetycki, dokonałem swoistego udoskonalenia, ponownego przyjrzenia się właściwemu dyptykowi poetyckiemu, zazwyczaj pisanemu przez jednego autora. Moja koncepcja dyptyku zakłada jednak sytuację, w której dwóch autorów, z dwoma odrębnymi wierszami napisanymi niezależnie, nawet w różnym czasie, odkrywa, że łączy ich ten sam temat w swego rodzaju empatycznej korespondencji. Pomysł narodził się 9 maja 2010 roku, kiedy przeczytałem na Facebooku wiersz „Vita parallela” mojej przyjaciółki, poetki Silvii Calzolari. Tego samego dnia napisałem „Telepresenza / Teleobecność”, wiersz traktujący o wirtualnych przyjaźniach, które mogą rozwijać się online – co jest przecież tym samym tematem, który porusza wspomniany wiersz Calzolari. W „Teleobecności”, posługując się trafną metaforą i synekdochą, definiuję komputer jako „szaloną taflę szkła”, „szaleńczy”, ponieważ w szalonym i frenetycznym świecie internetu, w którym obecne jest wszystko, co dobre, i wszystko, co złe, od nas zależy, która część zwycięży. W ten sposób powstało wiele kolejnych dwugłosowych poetyckich dyptyków, z wierszami napisanymi w różnym czasie, w których jeden z moich wierszy poprzedzał, niczym echo, wiersz innego poety lub poetki, jako towarzysze podróży po „szklanej tafli”, identyfikujący nie tylko odpowiedniki tematów, ale także dźwięków i emocji, odpowiedniki oznaczające poetyckie powinowactwa. Aż do marca 2013 roku, kiedy rozpocząłem projekt redakcyjny antologii tych dyptyków. Tak narodziła się niezwykła seria antologiczna, projekt poetycki „Dipthycha”, w ramach którego opublikowano między wrześniem 2013 a grudniem 2022 roku aż cztery tomy pod moją redakcją, w których wzięły udział łącznie czterdzieści dwa współczesne głosy poetyckie z Włoch. Formę tę włączono także jako podsekcję uczestnictwa do dwóch kolejnych edycji (dziesiątej i jedenastej, które odbyły się w latach 2021-2023) Ogólnowłoskiego Konkursu Poetyckiego „L’arte in versi / Sztuka w wersach”, której pomysłodawcą i przewodniczącym był mój przyjaciel poeta i krytyk Lorenzo Spurio, postać literacka, z którą współpracuję od lipca 2011 roku. Spurio jest również autorem monografii poświęconej mojej twórczości literackiej oraz hiszpańskim tłumaczem cyklu czterech wierszy dedykowanych Federico Garcíi Lorce, które napisałem w latach 1997-2000.
Wracając do dwugłosowego dyptyku włączonego jako podsekcja do konkursu „Sztuka w wersach”, nie mogę nie wspomnieć o wielkiej satysfakcji, którą poczułem, gdy w raporcie jury jedenastej edycji przeczytałem, że trzecią nagrodę w sekcji „L” przyznano dwóm poetom, Eugenio Griffoniemu i Giulii Bolognie. Zgłosili oni dwugłosowy dyptyk, a ja wcześniej nie brałem jeszcze udziału w pracach nad tomem „Dipthycha”, więc z radością mogłem sam napisać motywację do zwycięskiego dwugłosowego dyptyku. Niestety, z przyczyn organizacyjnych, począwszy od dwunastej edycji, cała sekcja eksperymentów poetyckich została wyeliminowana. Sekcja ta, oprócz dwugłosowego dyptyku, zawierała również „krótką poezję” teoretyzowaną przez poetów Antonia Barracato i Dorotheę Matrangę oraz poezję dynamiczną teoretyzowaną przez mojego przyjaciela poetę Zairo Ferrante.

  1. I.T.K.: No właśnie, “Dipthycha” to bardzo interesująca i ambitna publikacja, która ukazała się już w wielu wydanych tomach, do których zaprosiłeś najbardziej cenionych i wartościowy współcześnie żyjących poetów włoskich. Pojawiła się także w nich forma tryptyku na trzy głosy poetyckie. Czym kierujesz się przy doborze autorów? Instynktem czy szczegółową analizą utworów?

E.M.: Zanim przejdę do omówienia trzygłosowego tryptyku poetyckiego, chciałbym dodać, że od czasu wydania drugiego tomu „Dipthycha”, wydanego w 2015 roku, powstały również dwugłosowe dyptyki bez żadnego z moich wierszy. Tryptyk poetycki trzygłosowy narodził się w sierpniu 2016 roku, również z inicjatywy przyjaciół poetów Lorenza Spurio i Luigiego Pio Carminy, jako naturalna ewolucja dwugłosowego dyptyku poetyckiego. Pojawia się on w czwartym tomie projektu „Dipthycha”, wydanym w grudniu 2022 roku. Podobnie jak w przypadku dwugłosowego dyptyku, tryptyk ten ma trzech różnych autorów, z których każdy ma trzy odrębne wiersze. Nie zamierzam jednak w przyszłości identyfikować ani proponować poliptyków „wielogłosowych”, ponieważ triada (teza-antyteza-synteza) osiąga idealną korespondencję „tryptykową”. Nie ma potrzeby wykraczać poza to, ponieważ doprowadziłoby to jedynie do bezsensownego rozproszenia poetyckiego toku. Wraz z czwartym tomem pojawiły się również trzygłosowe tryptyki bez jednego z moich wierszy. Teraz odpowiem na ostatnią część pytania. Wybierając autorów, aby mieć pewność, że zidentyfikuję dwugłosowy dyptyk poetycki, zaczynam od uważnej analizy wspólnego tematu obu wierszy. Nie mogę jednak polegać wyłącznie na tym, ponieważ byłoby to zbyt proste, a nawet banalne: każdy autor danego wiersza musi wyrazić swój własny sposób tworzenia poezji; nie może być prób wzajemnego naśladownictwa. Wreszcie, drugi wiersz w dyptyku musi być w jakiś sposób idealną odpowiedzią na pierwszy, poprzez swego rodzaju kontinuum analogii, dźwiękowych lub emocjonalnych odpowiedników, znaczenia, empatii i poetyckiego, dobrowolnego pokrewieństwa. Od drugiego tomu otrzymywałem również propozycje dwugłosowych dyptyków od niektórych autorów biorących udział w projekcie, z których niektóre wybrałem po uważnej lekturze.

  1. I.T.K.: W kwietniu 2016 roku ukończyłeś epicki dramat pisany wierszem wolnym „Ingólf Arnarson, ujęty w prologu i pięciu aktach”, historyczno-fantastyczne dzieło osadzone w islandzkim średniowieczu (IX wiek n.e.). Dramat rozpoczęty w maju 1990 roku, został ukończony po licznych poprawkach i przerwach (łącznie siedem lat) i zmianach. Ukazał się w sierpniu 2017 roku nakładem Le Mezzelane Casa Editrice, wydawnictwa z regionu Marche. To niesamowite dzieło, które mnie samej przywodzi na myśl baśniowe i wręcz kinematograficzne sceny ze znanych sag epickich przeniesionych na ekran. Skąd wziął się ten pomysł i jak nad nim pracowałeś?

E.M.: Dziękuję za docenienie mojego poetycko-teatralnego dzieła w prologu i pięciu aktach o tematyce historyczno-fantastycznej, którego akcja rozgrywa się na Islandii. Pracowałem nad nim przez pełne dziewiętnaście lat, nie licząc siedmiu nieciągłych przerw, to praktycznie dzieło życia. Od czternastego roku życia, w 1988 roku, po odkryciu w encyklopedii cudownych obrazów islandzkiego krajobrazu, kupiłem przewodnik po krajach nordyckich (w rzeczywistości szukałem książki o Islandii, co najwyżej przewodnika turystycznego), a następnie w bibliotece przeczytałem interesującą opowieść z XIX wieku autorstwa Natale Nogaret, “Viaggio nell’interno dell’Islanda” . Jednak sama iskra, inspiracja do napisania tego, co później stanie się epickim dramatem w wierszu wolnym, nadeszła w 1989 roku, w piątej klasie szkoły średniej,gdy zafascynowany obrazami z angielskiej broszury turystycznej Islandii, Around Iceland, otrzymanej w prezencie, przeczytałem po raz pierwszy o legendarnym Ingólfurze Arnarsonie, pierwszym stałym kolonizatorze Islandii, który później stał się tytułowym bohaterem dramatu w wierszu wolnym. Postanowiłem, zważając także na sugestię niemieckiego filologa Dario Giansantiego, wykorzystać naukę onomastyczną staroislandzkiego „Ingólf”. Wciąż zafascynowany tymi krajobrazami, mimo że widziałem je tylko na fotografiach w tej angielskiej broszurze turystycznej, którą cenię, między październikiem tego roku a marcem 1990 roku, naszkicowałem prozą to, co miało stać się pierwszym aktem przyszłego dramatu wierszowanego, którego akcja rozgrywa się na Islandii. Od 28 maja 1990 roku (kiedy dopiero zaczynałem pisać poezję) zacząłem tłumaczyć pierwszy akt na wiersz, dodając prolog na końcu. Następnie, począwszy od drugiego aktu, kontynuowałem pisanie go bezpośrednio wierszem. Oczywiście, dzieło przechodziło różne rewizje i kolejne modyfikacje formalne w trakcie pisania, ostatecznie ukończone dopiero 19 kwietnia 2016 roku, z łącznie 2380 wersami, szlifując wiersz, zawsze poszukując najlepszej muzykalności i płynności rytmu, kadencji i czytania. Wiersz wolny, z pewnością nie anarchistyczny, wersy o zmiennej długości, oparte na zróżnicowanym metrum, składające się nie z liczby sylab czy rymów, lecz z asonansów, współbrzmień, wzorów dźwiękowych i niezbędnych środków retorycznych. I o ile w mojej poezji, od stycznia 2013 roku, porzuciłem interpunkcję, stale poszukując większej syntezy i esencjonalności, o tyle w poezji dramatu nie było to możliwe, ponieważ musiałem podążać za fabułą i zrobić wyjątek.

  1. I.T.K.: Jesteś artystą bardzo czynnym i aktywnym,a przy tym wyjątkowo otwartym na współpracę i nowe nurty. W roku 2014 dołączyłeś do ruchu artystycznego “Metateismo” stworzonego przez malarza Davide Foschi, a później do “Empatyzmu” ufundowanego przez poetkę Giusy Tolomeo. Możesz nam przybliżyć ich założenia? Czy nie obawiasz się , że przynależność do jakichkolwiek prądów artystycznych może, w jakimś sensie, ograniczyć niezależną twórczość?

E.M.: Dołączyłem do tych ruchów kulturalnych w 2014 roku, ponieważ rozpoznałem w nich własną koncepcję poezji. W pewnym sensie byłem już metateistą i empatą, ale nie zdawałem sobie z tego sprawy. Metateizm, założony w 2013 roku przez mojego przyjaciela, malarza i artystę Davide Foschiego, zasadniczo dąży do odkrycia boskiej iskry w ludzkości poprzez inspirację – zarówno poetycką i literacką w najszerszym sensie, jak i artystyczną i kulturową w ogóle – odrzucając panujący nihilizm i relatywizm. Po raz kolejny jestem wdzięczny za publikację jednego z moich wierszy w katalogu „Metatheism”, wydanym w 2015 roku przez Giorgio Mondadori’ego, który również uważam za reprezentatywny dla ruchu, podobnie jak wiersze innych poetów, takich jak Fabio Amato (niestety już nieżyjący), Emanuele Martinuzzi i Maria Luisa Mazzarini. W tym samym roku, niespodziewanie, „Specjalne Wyróżnienie Autorskie” (poza konkursem) dotarło także z ramienia Międzynarodowej Nagrody Sztuki i Literatury 2015 – Pisarze i Artyści Nowego Renesansu (Obszar Literacki – Sekcja Poezji Publikowanej i Niepublikowanej w języku włoskim), organizowanej przez ten sam ruch.
Jeśli chodzi o ruch Empatyzmu, którego jestem współzałożycielem, opracowując na zaproszenie samej założycielki, mojej przyjaciółk, pisarki i poetki Giusy Tolomeo, manifest ruchu w dziesięciu zwięzłych akapitach. Krótko mówiąc, Empatyzm opowiada się za odrodzeniem kwintesencji formy komunikacji emocjonalnej i empatycznej, najgłębszej formy werbalnej, jaką kiedykolwiek stworzył człowiek: poezji. Odrzuca wszelkie formy wulgaryzmów i profanacji, uznając je za oznakę braku kreatywności w wyrażaniu gniewu i tym podobnych. Odrzuca również wszelkie bluźnierstwa i przekleństwa w poezji, jako formę szacunku dla wszelkich przekonań religijnych. Na koniec, na przykład, cytuję dziesiąty akapit Manifestu Empatyzmu: „My, poeci empatyczni, jak sugeruje rdzeń naszej nazwy, pragniemy zanurzyć się w każdym życiu, przeżywając tysiąc żyć w jednym. Chcemy, aby czytelnik rozpoznał siebie w naszej poezji i poprzez empatyczną komunikację usłyszał jego głos, wsłuchał się w niego i dał się poprowadzić ku emocjom”.

  1. I.T.K.: Byłeś i jesteś cenionym jurorem w wielu konkursach literackich. To bardzo odpowiedzialna i trudna rola, gdyż ocena twórczości osób trzecich wymaga dużej wnikliwości, wiedzy, uczciwości i wrażliwości. To także trochę “niewdzięczna” rola, bo przegrani mają często pretensję do jurorów o brak obiektywizmu, układy przyjacielskie itd. Jakie jest twoje zdanie na ten temat? Czy w swojej karierze jurora znalazłeś się kiedyś w problematycznej sytuacji?

E.M.: Obecnie jestem jurorem tylko konkursu tzw. Ogólnowłoskiej Nagrody Poetyckiej „L’arte in versi / Sztuka w wersach”, która odbywa się już po raz trzynasty i tak jest od pierwszej edycji w 2012 roku. Swoją karierę jurora rozpocząłem właśnie od tej nagrody poetyckiej, a następnie zasiadałem w jury innych konkursów literackich, takich jak włoskojęzyczne jury pierwszej edycji dwujęzycznego międzynarodowego konkursu „Bilingue Internazionale TraccePerLaMeta” w 2013 roku, gdzie oceniałem również opowiadania i eseje, czy trzy edycje „Gli Autori dell’Anno / Autorzy Roku” w latach 2014–2017, gdzie również oceniałem opowiadania. Niewątpliwie, jako jurorowi jest mi ciężej, gdy muszę ocenić pracę konkursową, która nie spełnia kryteriów dopuszczających, ale z uwagi na uczciwość intelektualną nie mogę postąpić inaczej.

  1. I.T.K.: W swojej działalności poetyckiej i dziennikarsko – artystycznej miałeś i masz możliwość współpracy z wybitnymi osobistościami świata kultury. Wiem z doświadczenia, że niestety i w tej dziedzinie uczucie niezdrowej rywalizacji i zawiści często daje się głęboko odczuć. Jak się na to zapatrujesz? Jak radzisz sobie z ewentualnymi przejawami nieżyczliwości, wynikającej ze zwyczajnej, ludzkiej zazdrości?

E.M.: Mogę tylko powiedzieć, że ci, którzy odczuwają zazdrość, demonstrują własną porażkę i zaprzeczają człowieczeństwu w jego wyjątkowości. Mogę tylko odczuwać wielkie współczucie dla tych ludzi. Niestety, ci ludzie kontynuują swoje zachowanie dalej, a cytując jeden z moich aforyzmów, „wdzięczność jest antidotum na truciznę zazdrości”.

  1. I.T.K.: Torquato Tasso rzekł kiedyś: “Nikt nie zasługuje na miano Stwórcy, z wyjątkiem Boga i poety”. Zadam Ci teraz bardzo osobiste pytanie. Czy, będąc poetą, czujesz się wybrańcem i człowiekiem, który ma do spełnienia misję i zasługuje na uwielbienie czy, wręcz przeciwnie, uważasz się za kapłana sztuki oddanego służbie w imię słowa ku chwale Muzy?

E.M.: Uważam się za zwykłego miłośnika poezji, rozumianej w najszerszym sensie, nie tylko w odniesieniu do wierszy, ale do wszelkiej sztuki w ogóle. Nawet w prostym spojrzeniu podziwiającym zachód słońca może być poezja, dar otrzymany od Boga, pocieszający nas w znojach i zniewagach życia.

Włochy, listopad 2025.

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Emanuele Marcuccio

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