Leonardo si accorse che era tornata in cucina e sentì le due sorelle rimettere in ordine un attimo prima che la madre uscisse dallo studio. Chiuse la porta a chiave senza fare rumore, ma rimase a origliare. «Leonardo?» sentì chiedere, «Ancora niente» la voce di Rosa sembrava distratta, la scuola di recitazione funzionava, «ma sono dieci giorni che non mangia con noi, domani finisce la scuola, che fa, sta chiuso dentro fino a settembre?» si lamentò. Viola intervenne polemica, «non ti sembra un paradosso, mamma? Gli avete proibito qualunque cosa e ora ti lamenti perché non vuole vedervi?», Leonardo la immaginò sfidarla come quando decise che sarebbe partita per Londra, anche senza permesso. Ascoltò avvicinarsi una serie di passi lungo il corridoio e poi sobbalzò improvviso, quando sentì bussare con impeto alla porta. Indietreggiò spaventato, «apri Leonardo, è ora che parliamo», ruggì sua madre come una leonessa nella savana, «sei in ritardo di dieci giorni, ormai è tardi», la maniglia si abbassò più volte e si sentì bussare ancora, «è importante, capisci che è una cosa seria?», la voce controllata non lo convinse, sua madre non voleva ascoltare, pretendeva di avere ragione su di lui. Si distese sul letto con i suoi fogli. Ormai restavano poche righe dell’ultima lettera, aveva tradotto quasi tutto. «Chiedi a Don Fabio, gli piace tanto farsi gli affari tuoi» rispose petulante. La risposta la mandò su tutte le furie, perse la pazienza e iniziò a inveire contro Amedeo e i suoi traffici illeciti, gridò che era un bambino ingenuo e capriccioso e non ottenendo risultati, se ne andò a passo svelto. Leonardo avvertì il cuore battere all’impazzata e la testa pulsare, ingoiò la saliva, strozzò un singhiozzo che saliva in gola e tornò a guardare la scrittura ivoriana. Si aspettava che anche suo padre quella sera, andasse alla porta a minacciarlo, ma non si fece neppure sentire. Era passata l’alba, quando piegò le tre lettere insieme alla traduzione in francese e a altre due lettere, le nascose dentro lo zaino di scuola e uscì dalla stanza. Suo padre, già in giacca e cravatta, lo guardò come se avesse visto un alieno e sua madre esclamò allarmata, vedendolo smunto e triste. «Hai fame?» implorò quasi, rinunciando a chiudere i bottoni dei polsini, «mangio a scuola» e si diresse alla porta. «Leonardo!», la voce baritonale di suo padre vibrò e fu come se l’aria tremasse, «stiamo facendo tutto questo per il tuo bene, un giorno capirai», dichiarò come se fosse un verdetto di accusa, Leonardo lo guardò negli occhi, provò la tecnica di Yannick e rispose come si sentiva, «un giorno ti renderai conto che hai sbagliato a tenermi nascosta la verità». Poi uscì, lasciandolo sbigottito. Entrò in cartoleria e chiese una busta, scrisse l’indirizzo e chiese se la posta per l’estero partiva da lì. «Dalla a me», lo incitò le signora, «le lettere per l’Africa e il Medioriente le ritirano oggi dalla sede centrale, ne ho altre da consegnare», guardò curiosa l’indirizzo, «Costa d’Avorio? Prima di due mesi non arriva, va bene lo stesso?», Leonardo sorrise leggero, aveva una speranza.