SCOPRIRE IL SUONO

 · di Rebecca Lena 

Eccolo il suono, emerso come una sveglia nel sonno. Vedo una grigia infamiliarità notturna là fuori, oltre i vetri. Non ricordo nemmeno chi sono e perché, le due note poco distanti – tono, semitono – di consistenza ferrosa, mi assimilano in un flusso senza identità.

Mi desto ancora un po’ e non posso crederci: è una melodia terrificante. Non comprendo la sua origine, è pacata attraverso il vetro, ma grida, bellissima. Riconosco due note che non combaciano, ma che strappano il vuoto. Sono bloccata, non muovo un muscolo: assorbo quelle grida meravigliose che sradicano la patina del vuoto. 

D’un tratto ricordo chi sono e dove mi trovo, ma divengono informazioni del tutto insignificanti. Mi proietto su una traiettoria d’origine. Cosa può essere, un braccio meccanico? Un macchinario inconsapevole? Un treno merci che frena? 

Non è un’illusione, ne sono certa, potrei registrarlo. Sono pronta ad afferrare il telefono ma le forze nel corpo mi mancano, come se il muscolo centrale dell’azione avesse deciso al posto mio di interpretare quell’esperienza solo nell’essere – inerme, immobile, sublimata dal suono – e mai più nell’avere.

Ho deciso di imprimerlo sul timpano della mia memoria, nessun surrogato digitale inutile, ma l’effetto dell’onda sul mio corpo ruvido e tangibile. 

È un attrito elettromagnetico, un velo di fuoco bianco senza calore che rimescola i nostri respiri, ovunque, mentre viviamo assopiti. Ci amalgama alla superficie dello spazio, sulla densità del tempo, attraversa le nostre membra e non ci accorgiamo mai di vibrare anche noi, all’unisono. Ci affidiamo inconsapevolmente a quel suono – ormai parte stessa del fruscio dei pensieri – per potenziare la coscienza stessa di esistere. 

Esisto perché ascolto il ronzio, senza conoscere la sua esistenza. (E sono due le note, come un respiro.)

Stanotte sono desta, non mi inganno, quella frequenza si è rivelata: chiara. D’un tratto mi vedo, ci vedo tutti quanti, scossi dall’invisibile microtremolio che sorregge la vita. Lentamente lo dipano dalla massa fitta che compone il silenzio. Sono un piccolo fuoco – incredulo – nel porto.


volantino vuoto

Racconti della Controra

Questi testi nascono a partire da ricordi, pagine di diario, foglie, foto e ossa, raccolti sulla spiaggia di Schiapparo (Gargano), “la spiaggia del Sub-Uranio”, foce della Controra. La Controra è il momento in cui il sole è talmente alto da far evaporare tutte le ombre. (Potremmo credere di essere morti?). L’aria è così afosa, pesante, e non resta che sdraiarsi immobili per combattere la calura. Questa paralisi è il fulcro delle mie storie: il Dubbio.

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