Avevo dimenticato che la parola rete racchiude in sé il significato di trappola o forse non ci avevo mai pensato. Pensiamo sempre di essere al di sopra delle cose, fino a quando non capitano a noi. Ormai è troppo tardi, la rete ha fatto scattare la sua trappola e io ne sono rimasta impigliata.

Chiedo aiuto? Cosa faccio? So solo che ora come ora mi vergogno tanto e raccontare tutto renderebbe ancora più vero questo squallore, palesando in un attimo il mio senso di inadeguatezza e la mia fragilità. Non so se riuscirei a resistere.

È cominciato tutto per gioco, uno sciocco passatempo per ammazzare il tempo, prima con qualche amica, poi quando il gioco cominciò a essere più serio, da sola. Mi sentivo sicura e protetta tra le quattro mura della mia camera; ma poi da cosa dovevo proteggermi? Da un mondo virtuale così lontano dalla realtà? Tanto lontano da non poterla mai incrociare la realtà. Anche in quel caso mi sbagliavo, come mi sbagliavo ogni volta che ascoltavo sbuffando le raccomandazioni di mia madre, raccontandomi che in fondo erano esagerazioni frutto dell’ansia genitoriale e che io ero una ragazza matura e prudente, di gran lunga molto di più dei miei coetanei. Forse per questo ho solo un paio di amiche e la maggior parte del gruppo mi ignora; dai miei compagni non mi sento capita, anzi mi sento proprio esclusa a volte. Io invece avevo una maledetta voglia di essere ascoltata da qualcuno, che non fosse uno dei miei genitori.

Io desideravo una comprensione intima che potesse andare oltre le cose che si dicono in famiglia. Con Marco credevo di averla trovata, e per niente al mondo ci avrei rinunciato.

Ma era solo una bella illusione, l’idealizzata rappresentazione dell’ennesima storia distorta del web. Il suo profilo su Instagram mostrava un ragazzo alto e bruno, con la passione del calcio e della chitarra. Cominciammo a scriverci in direct: fu lui a contattarmi per primo, scrivendomi che era rimasto colpito dal mio sguardo e dalle frasi che postavo. Sul momento rimasi perplessa, ma poi andai a guardare il suo account.  Anche se non volevo ammetterlo, quei complimenti mi eccitarono, e ancor di più guardando le sue foto. Maturità, prudenza… in un attimo erano volate via dalla finestra. Mai e poi mai mi passò per la testa che Marco, potesse non essere Marco. Lo scrivevo in ogni momento libero e lui magicamente era sempre là pronto a rispondermi.

Era presente, mi capiva, potevo confidargli tutto senza timore, non mi giudicava mai, sì perché alla fine le nostre conversazioni diventarono sempre più a sfondo sessuale. Iniziò a parlarmi delle sue fantasie e mi chiese di parlargli delle mie: non mi spaventai, ormai si era conquistato del tutto la mia fiducia, in fondo era stato lui il primo a mettersi completamente a nudo, pensai. Che stupida! E che rabbia mi fa ripensarci, più verso me stessa che verso lui a volte.

Poi mi convinse a scambiarci foto, senza volto si raccomandò, solo le parti intime, così non ci metteremo in pericolo facendoci riconoscere, diceva. Aveva proprio il tono dell’adolescente spaventato, come lo ero io e gli diedi fiducia ancora una volta. Iniziarono le richieste per incontrarci di persona, e allo stesso tempo cominciò l’ansia e la contentezza. Mi anticipò che non era così giovane come mi aveva fatto credere, solo qualche anno in più a quelli dichiarati, ma quelli ormai erano dettagli per due anime affini come le nostre, mi disse. Io pensai che avesse ragione, che lui era il primo con cui davvero mi sentivo me stessa, mi faceva sentire grande e sicura, una sensazione che mi piaceva tanto.

Perché avrei dovuto rinunciarci per una banale questione di età. Alla fine mi disse che ne aveva venticinque, ma con me si trovava bene perché ero molto più matura per la mia età e neanche lui voleva rinunciare a me solo perché avevo sedici anni. Mi decisi a conoscerlo. Ci demmo appuntamento in un centro commerciale molto frequentato. Mi si avvicinò lui chiamandomi per nome: Lidia. Non l’avrei mai riconosciuto, non aveva niente a che fare con le foto del profilo che avevo visto su Instagram. Era un uomo di più di trent’anni credo; mi disse che aveva usato il profilo di uno dei ragazzi che allenava perché voleva assolutamente conoscermi, e più mi scriveva più capiva quanto gli piacessi. Io, ormai soggiogata da quell’uomo che mi disse di chiamarsi Paolo, non feci una piega e in silenzio lo seguì. Mi portò in una camera di un alberghetto di terza categoria, e lì gli permisi di fare di me tutto quel che voleva, convinta che lo volessi anch’io.

Solo ora capisco che non lo volevo affatto, che mi stava usando come uno straccio per pulirsi le mani. Quelle mani viscide che si impossessarono del mio corpo, dopo che lui si era impossessato già della mia anima ingenua e indifesa. Da quel giorno è sparito, così come l’account che aveva usato; alla disperazione per averlo perso, solo in un secondo momento si unì la consapevolezza di quel che mi era realmente successo. Ero stato uno dei tanti pesci caduti nella rete di pescatori luridi e senza scrupoli, che non perdono tempo a sbranarti, masticarti e sputarti via.

Mi faceva sentire speciale, facendomi dimenticare le persone che sono speciali per me ogni giorno e per le quali sono veramente importante. Dovevo parlare di più con i miei genitori, avrebbero saputo aprirmi gli occhi, ma non l’ho fatto e ne ho pagato le conseguenze. Una parte di me pensa addirittura che mi sta bene, che me la sono cercata. Ma non è così. L’unica cosa da cercare è sempre e comunque l’aiuto delle persone reali e affidabili che abbiamo vicino. E ora, anche se mi costerà tanto, se il maggior danno è fatto, devo gridare il mio s.o.s. affinché mi soccorrano, prima che cada in qualcosa ancora di peggio. AIUTO!