Donna e poesia: Petronilla Paolini Massimi

Dopo il Rinascimento fu l’Accademia d’Arcadia a dare un nuovo respiro alla poesia europea e italiana. In questo grande fermento culturale, le donne furono delle vere e proprie protagoniste, sono ben 450 i nomi femminili a rientrare in questo movimento.

Petronilla Paolini Massimi (Tagliacozzo, 24 dicembre 1663 – Roma, 3 marzo 1726) è stata una poetessa italiana, conosciuta anche per aver denunciato nei suoi scritti la terribile condizione delle donne del suo tempo. Rimasta ancora infante orfana di padre, assassinato forse per un intrigo politico il 13 febbraio 1667, seguì la madre a Roma nel convento di Santo Spirito dove fu incredibilmente fatta sposare a 10 anni non ancora compiuti, il 9 novembre 1673, con il quarantenne Francesco Massimi, marchese romano e vice-castellano di Sant’Angelo: lo squallido matrimonio – che garantiva una protezione «eccellente» alla famiglia in cambio dei beni paterni e della serenità di Petronilla – fu reso possibile da una speciale licenza di papa Clemente X, parente dei Massimi. Quando il marito le impedì di scrivere poesia decise di lasciarlo per ritirarsi in convento, dove si dedicò agli studi. Combatté a lungo per i suoi diritti economici e per vedere i figli.

Entra in diverse accademie: la accolgono gli Insensati di Perugia, gli Infencondi e l’Arcadia a Roma, gli Intronati di Siena, gli Oscuri di Lucca, gli Immaturi di Pergola, gli Invigoriti di Foligno. Le garantiscono prestigio e fama ma anche protezione. La chiamano “la poetessa romana” nonostante le sue origini marsicane e tutti sanno chi è. Il processo e la sua audacia nel lasciare il marito hanno fatto scalpore e il mondo letterario prova simpatia per questa donna determinata che fronteggia le avversità del destino a testa alta e rivendica la sua autonomia.

Alla morte del marito, nel 1707, Petronilla poté lasciare il convento di Santo Spirito per palazzo Massimi, alla fine completamente libera di usufruire dei propri beni, di vivere con i suoi figli e di disporre della sua vita: nel 1709 volle rivedere i luoghi nativi dell’Abruzzo. Morì a Roma il 3 marzo del 1726 e fu sepolta nella chiesa di Sant’Egidio, a Trastevere, dove un piccolo monumento la ricorda ancora.

Nella sua poesia entrano riflessioni sulla condizione femminile: affronta la la discriminazione delle donne, condanna il dominio maschile, auspica l’uguaglianza tra i sessi. Non a caso è stata definita una femminista ante litteram.

Pugnar ben spesso entro il mio petto io sento

Bella speranza, e rio timore insieme;

E vorrìa l’uno eterno il mio tormento,

L’altra già spento il duol che il cuor mi preme.

Temi, quel fier mi dice: e s’io consento,

Tosto, spera, gridar s’ode la speme;

Ma se sperare io vuo’ solo un momento,

Nella stessa speranza il mio cuor teme.

Mie sventure per l’uno escono in campo,

Mia costanza per l’altra; e fan battaglia

Aspra così, che indarno io cerco scampo.

Dir non so già chi mai di lor prevaglia:

So ben, ch’or gelo, ahi lassa!, ed or’avvampo;

E sempre un rio pensier m’ange e travaglia.

*Una figura forte di donna rinascimentale, pronta a “pugnare” e a non arrendersi ad una vita di sorprusi. Manipolata fin da bambina, ricca e orfana di padre in un mondo maschilista, addirittura deve sposarsi a soli dieci anni. Nel suo piccolo mondo, come unico conforto, ha il canto, la parola che la fa volare al di là della sua realtà ma il marito anche quello vorrebbe sottrarle. Ed ecco che l’indole ribelle e la forza di quell’animo che ha conosciuto l’Oltre viene fuori e Petronilla decide di andarsene anche con il cuore spezzato dovendo lasciare i figli. Combatte, per fare valere i suoi diritti, in un’epoca in cui le donne non ne avevano. Riesce a fare conoscere il suo talento di poetessa e lì esprime tutto il suo pensiero. Solo alla morte del marito potrà ottenere giustizia ma la sua vittoria sta nei versi passati alla storia.