UN’INVIDIA

La sorte di un vecchio puparo

per la poca giornata che m’avanza

a bramare ritorno.

La sua voce di tufo,

il berretto col fiocco vagabondo,

i gesti saraceni.

E la lettiga che va nella notte,

tutta pennacchi, tutta burrasca,

più valorosa del carro dell’Orsa,

fra siepi di briganti addormentati.

GESUALDO BUFALINO

Questa breve poesia fa parte della raccolta “L’amaro miele”, pubblicata da Einaudi nel 1982 e nel 1996. Sono tre strofe, due terzine e una quartina, di versi di varia lunghezza; ho contato: 1 novenario, 5 endecasillabi, 3 settenari, 1 decasillabo. Siamo in Sicilia; Bufalino ricorda, invidiandolo, il puparo, il burattinaio che muoveva le marionette nel suo teatrino, e vorrebbe tornare all’amata Sicilia, per il poco tempo che gli resta da vivere. La voce del puparo è roca e grigia come il tufo, indossa un berretto col fiocco, i suoi gesti sono quelli degli arabi che occuparono la Sicilia per secoli nel Medioevo. Il carro del puparo, con i suoi pennacchi di penne colorate, si muove nella notte, anche quando infuria il maltempo, più coraggioso del carro dell’Orsa, in mezzo a siepi di briganti addormentati.

Questa poesia è un sogno, e un ricordo affettuoso e nostalgico dell’infanzia e della giovinezza del poeta. Protagonista il puparo, personaggio della commedia dell’arte fin dal ‘600/’700, la cui presenza era frequente allora, e il cui mestiere si tramandava di padre in figlio; oggi, credo, scomparso.