Il capolavoro di Chaplin

Mentre le armate nazi-fasciste si lanciavano alla conquista dell’Europa (e intenzionalmente del mondo), Charlie Chaplin girava Il grande dittatore, il suo capolavoro assoluto. In esso, com’è noto, il grande regista e attore inglese interpreta due ruoli: quello del dittatore di Tomania Hynkel – alleato del dittatore di Batalia (Bacteria nell’edizione originale), Bonito Napoloni – e quello di un barbiere ebreo. Due personaggi antitetici eppure con lo stesso volto. L’uomo può essere allo stesso tempo carnefice e vittima, sembrava voler dire. Nella potente scena finale si assiste a un esilarante scambio d’identità degno della fantasia di Carlo Goldoni: mentre Hynkel, travestito da cacciatore di anatre, viene scambiato dai suoi militari per il barbiere ebreo e quindi arrestato, questi, evaso dal campo di concentramento, con l’aiuto dell’ufficiale Schultz – a cui il barbiere aveva salvato la vita in una precedente guerra – riesce a far credere di essere Hynkel. Ed è così che, in perfetta uniforme, invece che il previsto discorso del dittatore davanti al popolo dell’Ostria conquistata, il barbiere ebreo lancerà al mondo e alla sua amata, che ne riconosce la voce, un proclama d’amore, di libertà, uguaglianza e solidarietà tra gli uomini.

“Mi dispiace, ma io non voglio fare l’Imperatore: non è il mio mestiere; non voglio governare né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti, se possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca, è sufficiente per tutti noi; la vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca fra le cose più abbiette. Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici; l’avidità ci ha resi duri e cattivi; pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità; più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto…”