LUCIO ZANIBONI

LA POESIA DI LUCIO  ZANIBONI “ORECCHIO COSMICO DELLE OSCILLAZIONI DEL CUORE”

LUCIO ZANIBONI è nato a Modena. Vive a Lecco. Ha insegnato in scuole di vario ordine e grado. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia che hanno avuto, tra gli altri, prefatori Bellezza, Cappi, Esposito, Lanza, Manacorda, Martelli, Martellini, Moretti, Pazzi, Piromalli, Rea, Ruffilli, Sanesi, Sozzi, Spagnuolo, Squarotti, Ulivi, Valli, ecc.  Segnalato al Premio Internazionale Montalpe, ha vinto diversi Premi, tra cui due volte il Premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Collabora a giornali e Riviste. Ha curato sette Antologie, comprendenti la maggior parte delle più importanti voci poetiche contemporanee, con l’ultima delle quali “La poesia del Terzo Millennio” sono state presentate due Tesi alla Facoltà di Lettere e Filosofia.

È stato tradotto in francese, inglese, greco, spagnolo, portoghese, cinese e albanese. Inserito nella Storia della Letteratura Italiana-Il Secondo Novecento, 1993 e in vari repertori. È tra gli autori di Poeti Latini tradotti da Scrittori Contemporanei (Bompiani,1993) italiani.

È inserito in varie antologie. In scuole di ogni ordine traccia più visibile e vera percorsa dalla poesia di Lucio Zaniboni può essere individuata nella perimetrazione del sublime che consente al poeta  di proseguire  nei confronti della tradizione, non come mimesi del già consunto artificio ritmico, strofico e nematicamente occultato come oggetto di analisi, ma occorre, invece, individuare sotto la dinamica variazione formale, la peculiarità tematica corrispondente ad un modello di società e di vita settentrionale, economica- mente connotata e gravitante attorno al triangolo industriale che, con la promozione dei meccanismi produttivi e consumistici, è sfociata in  prospettive di modelli comportamentali e in parametri  nuovi di gusto estetico, influenzati da inedite proposte di poesia, oscillanti tra le connotazioni timbriche lombarde e il caotico pullulare di sperimentazioni linguistiche, spesso arrotolate in un breve arco temporale e trascinate sul binario morto di un angusto tramonto. Lucio Zaniboni, che nella sua lunga attività creativa di poeta si è costantemente saputo mantenere distante tra le due estremità di tanto non sempre qualificante fermento, ma si è sapientemente collocato equidistante dagli opposti estremismi , da una parte con cauta sorveglianza della liricità, dall’altra riuscendo, con inapparenti accostamenti  linguistici, densi di pregnanti potenzialità liriche, a scongiurare  la fluente illusione del canto.

Ciò gli ha consentito di alimentare una visione poetica autonoma dagli esibizionismi narcisistici o le talvolta arroganti prevaricazioni  delle mode correntizie, ma, sulle ben salde radici di un intramontabile pentagramma di risonanza classica, ha avanzato a far risuonare limpidamente  i toni  più trasparenti della potenza armoniosa della sua ispirazione, con lo scarto della banalità di una comune gestualità, di detriti turpitudinosi interiori, di torpori ideali e culturali di una società plagiata dalla egoistica cupidigia di beni effimeri e di un egoismo esasperato e crudele, e con il profondo anelito di decifrare le artificiose contraddizioni e le antinomie sovrastrutturali dell’essere, per far rigermogliare i fiori del bene accarezzati con l’immarcescibile splendore policromatico e inebriante di soave profumo.

Nell’attraversamento di un circa un secolo, Il poeta Zaniboni non ha mai avvertito dentro la sua anima alcun attrito di certezze assolute, né il sotterraneo scricchiolare di arpeggi soavi, senza distrarsi mai da deragliamenti realistici, perché la sua poesia è stata sempre la spina dorsale genetica del suo agire e del suo poetare, invulnerabile alle seduzioni fallaci e sconvolgenti del canto delle Sirene  ammaliatrici, e non necessita di teorie scientifiche o lascive, né di individuare oscuri interstizi della psiche, perché essa è un solido organismo con radici inestirpabili nel suo cuore e nei suoi circuiti intellettivi, interconnessi da una incrollabile certezza di una vita interpretata e vissuta come dono supremo e, pertanto, pone in grado il poeta di colloquiare con le cose e con se stesso, senza rimandi, senza allusioni o mistificazioni, ma stimolando a rivisitare la propria esistenza anche il lettore, che spesso si sottrae a proiettare sullo schermo la propria nudità, per cui l’uomo moderno è riluttante e diventa problematico per il poeta convincerlo, suscitando, perciò, odio e amore, che spingono il poeta, di fronte a tanta miope  resistenza, a mutare forma, per rendere meno renitente il fruitore.

Ma l’effetto si svilisce e l’attimo fuggente della fruizione esegetica si vanifica nella voragine del nulla. Ma il quadrante etico del poeta-missionario non subisce deformazioni, e il lettore può abbandonarsi alla lettura, consapevole che non potrà naufragare, perché l’”artiere” possiede la piena consapevolezza della sua missione di “salvezza”, perché a lui sono stati forniti dalla natura materiali da usare oculatamente, facendoli diventare punto d’incontro tra suoni, significati, immagini e comportamenti. Alla fine, Zaniboni, con un filo di impercettibile ironia e senza invettive, riesce a mantenersi fedele al suo modello originario di poetica, ma senza che il suo poetare diventi monocorde e iterativo, perché la poesia di Zaniboni, che va autorevolmente annoverato tra i fari luminosi della poesia attuale, si adorna frequentemente di fluidità, sia quando osserva aspetti e forme banali del quotidiano, sia quando il suo sguardo si muove a ventaglio sulle cose apparentemente insignificanti, sia quando si sofferma a fotografare e endoscopizzare gli innumerevoli volti della realtà o le indecrittabili e misteriose bellezze dell’universo.

Le su opere poetiche rivelano un eccezionale equilibrio compositivo e stilistico, inconfondibile anche per l’uso rarefatto della punteggiatura, le variazioni di collocazione delle cesure, di un ben pausato tra verso o frammento di verso e spazio bianco sulla pagina, che non ha solo funzione tipografica, ma condensa dovizia di suggestioni emotive, sociali e civili.

Si veda la raccolta “Interno e finestra” (La Vallisa,1987). Qui la vita diventa poesia e si riveste prevalentemente del monologo interiore, per rappresentare l’interrotto fluire della realtà, che non rasenta mai alcuna forma di pessimismo cosmico, ma risulta pigmentata di innesti lirici, concise immagini simboliche, osservazione dello stupefacente e dell’arcano, senza mai eccedere in sciabordamenti del significante.

Al centro del labirinto di lessemi, stilemi, figure retoriche e mormorio verbale, s’innalza e domina il proscenio della poesia la pisside aurea di Dio.  Si intersecano giochi di rime interne, assonanze e allusioni che riconfermano la voce limpida di un poeta, colto e raffinato nel suo intenso tirocinio di ricerca poetica. In “Crittografia Termale”, il titolo rivela  due contrapposti versanti di significato: Il linguistico e il termale, la delicata grazia della registrazione e il sotterraneo abbandono sentimentale, che allontana il poeta dal rischio del coinvolgimento.

Il filo del racconto si distende in parabole, l’imprevedibile emergere della malinconia è sfumato dal velame ironico e  bloccato nel lacerto di un attimo e le assonanze interne ottundono l’ammiccante gorgheggio  sperimentale.

Molto opportuna ci sembra riportare una perspicace osservazione di Roberto Sanesi sulla tecnica elaborativa di Zaniboni: “anche se il risultato secco e ragionato di Zaniboni indica una matrice lombarda, l’avventura descrittiva e lacustre esposta in una antologia e quella più eccentrica e libera testimoniata in alcuni poeti è in direzione concettuale e tormentata. Una malinconia ironica, non facile, costituisce una sorta di viatico verso un’accettazione fra scettica e allegra della morte.

Alla ricerca di un’identità più profonda è la poesia del poeta In “quadricromia dell’esilio”. Si assiste ad una saltellante emergenza dal profondo, una intermittenza di viaggio nel  buio, la parola affiora con filamenti insanguinati. Il flusso mentale è perforato da “isole vaganti”, da frammenti di oggetti e di specchi, il filo delle parole lega insieme dettagli marginali in una mappa lacunosa della vita, indicativa della realtà segnata dal dissolvimento delle creature e di tutte le cose.

La poesia Di Zaniboni, apparentemente lineare, riserva inserti plurilinguistici nell’improvvisa scansione di rime e nell’improvviso rovesciamento delle funzioni logiche, il gioco dell’ironia sottile e quasi sfuggente ribalta la situazione sotto una sapiente regia, convinta che occorre parlare per invenzione, anzi, per sottrazione, per poter capire il giusto senso di una realtà crudele e feroce: “…si spalanca la grande azzurra/porta ad inghiottir la barca incauta/ e il nauta;  “I am very sorry il cristallo/di neve si è disciolto la perfetta /geometria è svanita oltre il cancello/della vita”.

Il passo lento, preciso e certosino, viene ora utilizzato, per antifrasi, a rappresentare  la terribile enigmaticità della vita. L’antifrasticità serve ancora a contrapporre la bellezza luminosa della vita a quella crittografia testuale ossessivamente presente in ogni immagine definitoria,  sempre attenta in Zaniboni.

I temi della poesia di Zaniboni tendono sempre a coinvolgere l’uomo e la società, fino alla trascendenza dell’individuo, animata da una ricerca poetica, avviata verso determinanti approdi.

La oggettiva calibratura tra orditura sintattica e fluenza del narrato si adegua morbidamente alla mutevolezza delle diverse stazioni del componimento. La linea lirico-medianica sublima gli enigmi del vivere, senza la pretesa di poterli risolvere, ma lasciando in sospeso la perplessità e la riflessione del lettore. La struttura del verso la sua complicata sensibilità contribuisce marcatamente al ritmo interno del discorso, che appare lineare e senza laceranti fratture con il mondo, ma con una sovrapposizione  densa di trasparente ansietà che lega le cose al punto di congiunzione con i sentimenti dell’uomo, dove ogni notazione diventa folgorante immagine di vita.

Una continuità che diventa aggancio indispensabile con gli affetti e con le ragioni letterarie del canto, ma discutibilmente con il destino generale dell’uomo.

Il poeta Lucio Zaniboni è un esempio di poeta che, pur puntando alto, non disdegna di colludersi con la cronaca, certo come egli appare che dai fatti minimi altri maggiori ne possono scaturire. Sì che nella mappa ideale che egli disegna, il discorso induce sempre al centro di un paese, dove l’incanto della vita e della poesia si invera con l’impeto più ampio della storia che si fa e disfà sotto i nostri occhi. E allora avviene che da questo libro nasca, per accumulo inavvertito di materiali tutti significanti, un diverso tipo di approccio con l’incanto del nostro tempo e di tutti i tempi: quella sostanza primigenia che un poeta, quando è davvero tale, deve recuperare per consegnarla alla meditazione e alla ammirata valutazione di una società intera, a un consequenziale modo di intendere non tanto e non solo la poesia quanto tutta, e tutta insieme, la vita.

Nel recentissimo “Il tempo e l’eterno” (Laterza, gennaio 2021), Lucio Zaniboni  utilizza tutte le note più limpide ad alte della sua arte poetica, già tratteggiate, per  continuare ad indagare lucidamente nel guscio delle cose e restituirci il vero senso della nostra esistenza, abbassandosi fino al volo di una mosca o al canto di un canarino, cioè fino alle microoccasioni del vivere che sono parti indispensabili della stessa vita. In ogni sua poesia si può cogliere lo stupore del sentimento di vivere: “un bocciolo di rosa nel giardino/declina bellezza. Si dilata il respiro /della luna: Al balcone della notte/m’inebrio di Profumo”. Zaniboni non ammira solo il bello della vita, nè gli può sfuggire l’insidia  del Male (che però relega in parentesi, emarginato e condannato).

In questo alto sentimento della vita, c’è anche un acuto, ma sereno sentimento della morte, filologicamente cristiano, sotteso quasi in ogni poesia. Con il progredire della lettura, la dimensione della fine acquista maggiore chiarezza e intensità, fino a diventare un inno di preghiera e un momento di acquisita saggezza:”… Si spegne una vita La mente va/ai prati celesti alle rive fiorite./Una preghiera e siamo pronti al commiato./Requiescat in pace ora la campana tace”. Accanto all’ accorato commiato, si leva realisticamente l’immagine di un  accenno sociale, con la stringata chiarezza che è meritevole dei bambini affamati:”…ma le mani dei fanciulli/ che hanno fame/ e chiedono pane/punteranno l’indice/nel giorno del giudizio universale”. 

Ora Zaniboni che ha sempre tenuta contenuta la propria disperazione per lo sterminio nelle camere a gas, nel tempo dei bilanci, pur provando sentimenti di orrore, per i mostri partoriti dalla storia, non può più trattenere la condanna morale dei carnefici, spietati macellai dei fratelli, ma sulle onde del sangue vivo ancora fluente sulle colline e nei vicoli dei palazzi cittadini, trova solo le insostituibili parole di perdono cristiano, ripetendo la stessa frase ,pronunciata da cristo morente sul Golgota: “Padre perdona loro che non sanno quel che fanno. La poesia lega l’anima all’eterno, la poesia che talvolta è acre ironia, ma adoperata solo come terapia e mai come funambolismo verbale. Il senso della sua vita si misura con il metro della poesia.

Zaniboni non cessa mai di interrogarsi, cercando sempre un intimo raccordo con la genuinità dell’espressione poetica, perché il poeta cerca sempre la verità, consapevole, come agostinianamente crede che la verità è dentro di noi e soltanto attraverso il balzo dalla fatuità del quotidiano, l’uomo potrà essere dentro l’essenza celeste del significato.

Ora il poeta,(che già in un precedente volume aveva annotato appunti per un interrogativo) sente il bisogno di esprimere con inequivocabile limpidezza il complesso mondo del suo credo religioso di assoluta moralità e di fideistica alimentazione, sempre con coraggiosa fermezza per fissare le parziali risposte di un infinito interrogarsi.

Il lettore non può non sentirsi coprotagonista del sentimento della vita e della morte, non può non essere frugato all’ansia del mistero della morte e cercare forsennatamente le risposte conclusive del nostro dolorose pellegrinaggio terrestre. Il poeta cristiano ora utilizza un repertorio lessicale biblico a conferma definitiva della sua fede: “tutto passa/nel giro calcolato del mondo/tutto torna a Dio che addita/le radici della vita”. Zaniboni è stato definito un poeta totale, perché è un uomo totale che osserva con gli occhi ingenui di un fanciullo lo spettacolo del mondo e come un vecchio saggio  guarda l’immagine rasserenante della morte allegramente come una festante e cristiana vendemmia: “Si piega l’arco del giorno/aliti salgono dal lago a rinfrescare./Soave starsene all’approdo/assaporando ore di pace prima/ del plenilunio mentre la rondine/ stride e poi scompare”.

Fin dal titolo, si evince chiaramente il malinconico indugio sugli altalenanti pulsioni del cuore, come la fiamma tremolante nel soffiare del vento, con il ritmo oscillante del sangue nella cupola del cielo, dove occhieggia l’ultimo palpito di luce, mentre il poeta, senza accennarne il nome, invoca l’Assoluto invisibile, ma in costante ascolto, per rivolgerGli l’ultima supplica: “Ferma il tamburo/ un istante./Lasciami udir la voce/della risacca/e il grido del gabbiano/che volteggia nel cielo”. “ Fugge/.L’anima è sospiro/di ricordi./Di volti ormai scomposti, nel puzzle della mente./quando alla tua vita/ o a quelli di chi ami/ e posta una scadenza,/si ferma il tempo/ e diviene un tarlo./Allora è eterno,/fisso marmo al vento./Atroce è quel momento/ e solo Dio/può venirti incontro”.

LA  POESIA  DI  LUCIO  ZANIBONI

Un prezioso “orecchio cosmico”, teso ad interpretare i palpiti dell’alfabeto universale bisbigliante nell’anima. Poeta, critico letterario e  narratore, collaboratore di giornali e riviste e curatore di otto famose antologie critiche della migliore poesia di questi anni, ha al suo attivo la produzione personale di molte raccolte di versi, di elevata tessitura verbale e nominale, ingemmata di lessemi, stilemi, simili a rare ed equamente distribuite gemme riecheggianti e rilucenti di una rara fosforescenza lirica che si ricompone armonicamente sulla potente tastiera del pentagramma tematico, connotativo della poesia di Lucio Zaniboni di tante diversificate note musicali e strutturali, idonee a  collocarla tra le voci più alte e coinvolgente della produzione lirica degli ultimi 100 anni.     

La poesia di Zaniboni può essere definita come un invisibile “orecchio cosmico”, teso a catturare l’eco di ogni suono, i lievi bisbigli della cronaca, le veliniche immagini delle cose, i palpiti sottesi dell’alfabeto dei minimi o macroscopici eventi quotidiani in un’umile e omogenea sinfonia universale, dove la cognizione del tempo si scioglie nel naufragio della luce e il disinganno del paradosso si trasforma in sentimento ferito d’amore appena venato dal tono sottile di un’ironia disciolta e resa evanescente dal vento lieve di una misurata musicalità che fermenta in armonie omogenee tra i minuscoli spazi interni dei versi. Le sequenze del flusso poetico scivolano tra le pagine senza alcun ingorgo di termini, di suoni o di sovrastrutture elaborative che ostacolino la captazione più profonda dell’invisibile colloquio sapienziale del sentimento del poeta con i bisbigli o le onde segrete delle mille voci e delle apparente staticità delle immagini.

Da ciò discende un infrangibile rapporto dell’uomo con la natura e il vento diventa allegoria di ogni mutazione, di tragedie ambientali, di inondazioni atemporali, delle sciagure del mondo, provocate dalla scellerata, irresponsabile ed egocentrica gestione irrazionale dei fenomeni del pianeta.  

L’inesorabile ciclo del tempo, che nel risveglio delle rose rinviene il miracolo della vita e nello svanire del brivido vitale cela il rapido fluire verso nuove forme di vita, induce Zaniboni, in questo volume antologico Dissolvenze della vita ad imprimere all’apparente rastrellamento della fenomenologia botanica un nuovo respiro d’amore e nel magma del buio in agguato” riscoprire l’urgenza aghiforme del poeta, teso alla conquista di una verità assoluta, che nel poeta non si configura nella certezza degli assiomi, ma fluisce nell’attutito sfrigolare di un indefinibile senso di colpa, in un torrente di malinconia infinita che intride il cuore del poeta,  dopo l’assedio del ferale covid, che ha reso vuota la propria abitazione, dove il vuoto invade il mondo del poeta, alla cieca e tormentata ricerca della consolazione di Dio.

Un elemento simbolico centrale è rappresentato dal vento, che, nello sviluppo tematico della poetica di Zaniboni, non è solo espressione di un dato atmosferico, ma rappresenta allegoricamente ipotizzazioni di percorsi più intimi, più profondi, più interiori e ansie conturbanti di spiritualità.

Ma il vento è anche strumento di recupero memoriale non fine a se stesso, ma come occasione di bilancio esistenziale di un passato da rivisitare con il dovuto distacco dallo scorrere degli eventi trascorsi, al setacciamento razionale di ciò che si è vissuto nel periodo della spensieratezza, ora rivisitato alla ricerca del momento in cui  è sfuggito l’”attimo fuggente” nella reminiscenza letteraria o ritrovare il vento che trascina nel mondo del mito, in quei versi in cui risultano immortali le linee tematiche della poetica zaniboniana, ma anche che attualizza il sentimento del viaggio nell’immaginario letterario, che è materializzato attraverso il treno nell’approdo alla speranza, sentimento rinato nella discesa dal treno e avviarsi all’uscita dalla stazione, andando incontro al sole, simbolo mitologico e cristologico.

L’incertezza della visione metafisica, sempre inseguita con la certezza  di un concreto abbraccio con Dio, trova sempre segni di positivo traguardo ,con lo spontaneo conforto delle ipotesi pascaliane o spinte verso la speranza con l’evocazione del prodigioso bambino: “ Io, come Pascal,/ opto per la speranza/ e non ritengo vano/fidare nel fanciullo,/ disceso sulla terra/ a porgerci la mano”

.Nella presente  raccolta antologica, i testi poetici sono attraversati, più o meno palesemente, ora per convocazione istintuale di frammenti oggettuali o per il riverbero di gesti casuali, ora mediante il recupero di emblematiche impronte memoriali, ora mediante l’incisivo pulsare del dubbio, dall’emergere della resa nell’esile percussione dell’assillo metafisico nell’alveo della terrestrità appena avvertita nel sofferto nomadismo dell’ anima. Ogni pagina, ogni nucleo tematico viene sfiorato dalla leggerezza del dettato poetico in cui si avverte la fragilità dell’io, dolente sulla soglia del mistero dell’esistenza.

Il tentativo di riordinare la storia interna ed esterna dell’uomo si risolve in una sorta di codificazione spontanea, dove una filigrana di religiosità sommersa affiora nel determinismo naturalistico individuato nell’elemento dell’“acqua” in Zaniboni, proteso alla ricerca di un ordinato percorso metafisico.

Ora,  attraverso l’inventario di fatti,di fenomeni apparentemente banali, nella ritualità iterativa della vita familiare, nel paradosso dell’interrogativo ludico, nei ritmi della vita scanditi da damine e vestiario ben delineati, in realtà il poeta sgomitola sofficemente il rosario delle catastrofiche seduzioni e degli inganni, incapsulati nelle cifre simboliche della parola che procede nella riscoperta del vero senso della vita, di fronte a cui resistono, forse come maschere inutili i semplici versi di un poeta che continua a scandire un’incomprensibile, quanto ostinata e laica preghiera.

L’epicentro del problematicismo tematico di Zaniboni oscilla nella ricognizione del reale significato della vita e della morte, ma nel suo interrogarsi sul valore dell’esistenza, tra grido, protesta e affanno, il poeta scopre la dimensione dell’inutilità di ogni ansia conoscitiva di fronte all’universo del mistero, che disvela la nudità e l’inermità dell’uomo contemporaneo, privato delle energie necessarie e delle risposte adeguate a colmare il vuoto ultrafanico, nel quale sembra inesorabile l’affondare dell’essere, ma anche l’ostinata speranza o l’illusione di avanzare verso la meta, sotto la custodia silenziosa del Padre Celeste.

La nitidezza delle strutture versificatorie e la bellezza delle figurazioni stilistico-formali, la ricchezza della rubrica lessicale, la ben articolata scansione metrica dei versi, una virtuosa  combinazione  in cui risulta appropriata la selezione tematica ed ideale, imprimono un carattere di assoluta originalità alla poesia di Lucio Zaniboni, alta  voce del parnaso del terzo millennio, poeta solido che sigla in una  corposa e preziosa produzione lirica un livello di primo piano, anzi, oserei dire, d’avanguardia, cioè una tipologia poetica che si colloca su posizioni nuove.