In questo breve articolo vorrei presentarvi – o ripresentarvi per chi lo avesse già visto – uno dei miei ultimi quadri, “Christ’s suffering”, correlato da una breve ermeneutica dello stesso, onde evitare i frequenti fraintendimenti, vuoi in un senso, vuoi in un altro, che vengono attribuiti alle mie opere a sfondo religioso, e soprattutto alla mia interpretazione dei concetti teologici.

[Christ’s suffering – Mixed media on canvas 50 x 60 cm – 2023]

Avevo introdotto la mia opera qualche settimana fa con questa breve integrazione, che per l’appunto è stata da molti fraintesa:

“Io non sono cristiano, sono ateo, ma ho raffigurato molte volte Cristo, poiché trovo che ci siano delle simbologie universali a cui non si può restare indifferenti. Tutto sommato è stato un uomo che è morto per le proprie idee; oggi nessuno combatte per ciò in cui crede, la libertà è nella sua fase crepuscolare.

Purtroppo invece nella cultura di massa ci viene propinato esclusivamente l’aspetto altruistico del sacrificio di Cristo, con una serie di “movimenti” retrospettivi che sotto il cavallo di Troia della salvezza e della redenzione inducono alla sottomissione.”

Per la verità anche il termine ateo mi calza piuttosto stretto, poiché io in continuità con la tradizione filosofica che scruta il problema dell’”Essere” da un orizzonte panteistico, e dunque seguendo il fil rouge che congiunge il panteismo di Eraclito e la filosofia che prende le mosse dalla corrente stoica, fino a raggiungere il suo acme con autori come Bruno e Spinoza, identifico Dio, inteso come “Sostanza” – riprendendo alla lettera la terminologia spinoziana dell’”Etica” [1] –, con la natura in senso lato. Dunque con una potenza neutra – se valutata con il metro di paragone umano – ed eterna che abbraccia tutto l’essente.

Quando affermo che purtroppo la libertà è nella sua fase crepuscolare non è mia intenzione puntare il dito su singoli aspetti della nostra esistenza che potrebbero risultare tra loro eterogenei, e dunque determinati l’uno da una causa, e l’uno da talaltra, o su di un tipo peculiare di ideologia o di istituzione volta a rappresentarli.

Nello specifico di questa mia breve ermeneutica vorrei chiarire che non intendevo muovere accuse esclusivamente all’istituzione ecclesiastica come agente della privazione della libertà. Tutt’altro, al giorno d’oggi, il potere ha cambiato i suoi canali di innervazione e sempre più frequentemente si infiltra nel suo negare valore morale alla religione, creando forse un’ideologia ancor più pericolosa, pervasiva e totalitaria. Poiché il problema delle ideologie non consiste tanto nel loro contenuto ascrivibile a falsità o a verità, ma nel loro dogmatismo inappellabile, che cela inevitabilmente la volontà di potenza della sorgente da cui scaturisce una tale corrente di sapere; mutando con l’artifizio della retorica quella che i greci chiamavano “parresia”,  la quale vede come suo primo fondamento – ripercorrendone le tracce etimologiche – “la libertà di dire tutto”,  che molti autori francesi, tra cui Michel Foucault, traducono con l’espressione di “parlar franco” [2], intesa come “dire il vero” in totale libertà, e al solo fine di condurre l’ascoltatore alla verità, o meglio alla capacità di soggettivare il discorso vero.

Minima è la differenza che l’artifizio retorico venga chiamato cristianesimo, o come sempre più spesso avviene al giorno d’oggi: “scienza” o neoliberismo. I concetti, giusti o sbagliati che siano, quando risultano appositamente manipolati e incanalati in determinate direzioni, assumono una veste perniciosa per la libertà individuale.

Infine, tornando al principio della nostra questione, è indubbio che anche il messaggio di Cristo, finché è riuscito a far presa sulle masse, sia stato utilizzato per scopi ben diversi da quelli che lui si era prefissato, e tutt’ora, seppur in parte soppiantato dal mito della scienza, viene adoperato per tale scopo.

Si rende necessario riflettere, a mio avviso, non solo sull’altruismo di Cristo (che indubbiamente era parte della sua persona, ma del quale ho sempre nutrito il dubbio che potesse rappresentare realmente un segno di illuminazione)[3], ma su un punto focale del suo messaggio, che lo si può ravvisare all’interno delle domande:

“Perché è morto? Quali ne sono state le cause reali?” (Ogni domanda, se ben formulata, contiene al suo interno la risposta).[4]

Non è morto solo per altruismo, ma per la pericolosità del suo messaggio e la sua volontà di non rinnegarlo.

Il figlio di Dio, che predica la verità di un amore universale in grado di congiungere ogni uomo e di porlo in una condizione di reciproca uguaglianza, in quanto ognuno di noi, proprio come lui, è figlio di Dio. E se alla parola Dio sostituiamo la parola “natura” (“Deus sive natura” scriveva Spinoza nella sua Etica more geometrico demonstrata) [5], le cose risultano effettivamente così.

Quale ne è la conseguenza?

Che non esistono rapporti gerarchici, che non sussiste legittimazione di ordine naturale, inappellabile, per cui un individuo debba essere assoggettato ad un altro, ma tutt’al più che possa esservi, tra chi ha raggiunto e proferisce al prossimo la verità e chi ne è ancora alla ricerca, un rapporto fondato sull’autorevolezza, e non sull’autoritarismo.

Se affrontiamo il problema sotto questa ottica, che ovviamente non esaurisce l’argomento della “parola rivelata”, possiamo scorgere tutta l’eversività del personaggio di Cristo e la necessità di metterlo a tacere. Ma si può intravedere altresì l’assurdità delle gerarchie ecclesiastiche, dei loro poteri e dell’applicazione di essi nei rapporti con i suoi seguaci, fondati prevalentemente sull’etica di una colpa da espiare, o di precetti da seguire per timore di una punizione divina incarnata nelle autorità clericali.

Cristo intendeva rivoluzionare – anche se in realtà molti suoi concetti erano già presenti nel pensiero degli antichi Greci e in quelli del periodo ellenistico –, e ogni rivoluzione porta il seme della ribellione, poiché è dal “No” a “qualcosa”, e dal “Si” a “qualcos’altro”, che sorge la possibilità di rivoluzionare le cose.

Ritengo che sulla capacità dimostrata da Cristo di dire “No”, di non piegarsi, sulla ribellione come primo atto di libertà e come agente propiziatore della rivoluzione[6], non venga mai posto adeguatamente l’accento, e non credo che ciò sia frutto del caso. [7]

La mia rappresentazione pittorica – volutamente enfatizzata a dismisura –, della sofferenza di Cristo, non si proponeva di essere né un atto sacrilego motivato dal desiderio di oltraggiarne la figura, né come è stato scritto da taluni tra i commenti, una mia manifestazione di fede religiosa. Si trattava semplicemente della volontà di focalizzare l’attenzione sulla sofferenza da lui patita durante la crocifissione. Sul suo sguardo stravolto, sull’espressione dilaniata dal dolore, ma al tempo stesso ferma e risoluta, volta a trattenere a sé, a denti stretti, la fede nelle sue idee e la volontà di non rinnegarle.

Non è mia intenzione dubitare, o negare che vi sia del bene anche nella chiesa intesa come istituzione, ma ritengo che l’uomo abbia la necessità di andare “oltre”, di uscire dalla “casa di Dio”, e di scoprire ciò che realmente rende esso stesso divino. Solo così potrà porre le  fondamenta in pietra su cui erigere il proprio tempio.

Note bibliografiche:

[1]Per quanto attiene al termine sostanza rimando a B.Spinoza: “Etica” – I parte, e all’uso che ne viene fatto durante tutta l’opera.

[2] Michel Foucault: “L’ermeneutica del soggetto “ – Corso al collège de France (1981/82) – edizione Feltrinelli.

[3] Su questo punto sarebbe utile fare un’indagine incrociata avvalendosi di una corretta analitica etico/esistenzialista, unita al metodo psicoanalitico per verificare se possa trattarsi di altruismo o di qualche riflessione verso l’interno dell’aggressività in senso masochistico.

[4] In concordanza con le teorizzazioni di Martin Heidegger in “Essere e tempo” (1927)

 [5] B.Spinoza: “Etica” – IV parte.

[6] Faccio riferimento ai termini << ribellione>> e<< rivoluzione>>  in un accezione simile a quella contenuta nell’opera “Dogmi gregari e rivoluzionari” di Erich Fromm (1972) e in molte altre sue opere.

[7] Per i rapporti tra religione, potere ed etica, trovo illuminante le teorizzazioni contenute nel “Trattato teologico-politico” di B.Spinoza.