editorialeCon l’arrivo di settembre ritornano a popolarsi le città, riprendono le consuetudini abituali mentre lentamente la calura soffocante lascia il posto a più miti temperature e a venticelli gradevoli. Intanto, si preannunciano novità, si programma l’adozione di varie misure, tante intese a contenere la violenza dilagante, soprattutto nelle periferie e nei quartieri degradati dove i giovani sembra abbiano voluto riportare in vita i protagonisti della Gioventù bruciata degli anni Cinquanta. Comunque se ne parla, sempre, in TV e ovunque. Nei programmi radiofonici e televisivi si susseguono dibattiti focosi che, anche durante l’estate, hanno visto i personaggi pubblici in maniche di camicia e madidi di sudore, polemizzare su eventuali e necessari provvedimenti per arginare episodi di violenza sempre più efferata e inumana. Tanto è stato l’impeto delle discussioni che qualcuno è andato anche oltre, pensando bene di pontificare su questioni di moralità, mirate a colpevolizzare in modo subliminale e discriminatorio atteggiamenti femminili ritenuti poco responsabili e non consoni agli stereotipi che alcuni uomini vorrebbero continuare a imporre. Dinanzi a tutto questo, dopo un’iniziale ripugnanza per frasi che definirei oltraggiose, ho pensato che, ogni tanto, gli uomini dovrebbero provare a essere donne, a immedesimarsi nella condizione di vivere con una Spada di Damocle puntata su ogni atto o parola che compiono. Dovrebbero provare, come donne, a sentirsi giudicati per un abito o un comportamento che, nel mondo maschile, non ha presupposti e, pertanto, non esiste. Un uomo che può uscire a qualunque ora, vestito come gli pare, cosa proverebbe, da donna, a sentire la paura di percorrere una strada al buio, di essere vittima di sguardi irriverenti e frasi ammiccanti? Cosa proverebbe un uomo, in un corpo di donna, se non potesse rincasare a qualunque ora o esercitare qualsiasi professione, senza la paura di essere minacciato e insultato? È facile parlare quando il problema riguarda le donne, da sempre abituate a ruoli secondari, relegate da compagni e fratelli a vivere nell’ombra e a non poter esercitare ruoli pubblici o professioni di consolidata preminenza maschile. Mi rendo conto che secoli di dibattiti, di lotte e di rivendicazioni di diritti, di tentativi di indipendenza, seppur abbiano migliorato in qualche modo la condizione sociale e professionale delle donne, non sono riusciti, tuttavia, a smantellare definitivamente pregiudizi incancreniti e discriminatori. E, in sostanza, gli stessi pregiudizi sono alla base delle considerazioni scellerate di uomini che si permettono il lusso di sentenziare sulla moralità, sui costumi e sui comportamenti di una donna. Bisogna imparare che, quando una donna decide di essere se stessa, di fare delle scelte di qualunque genere, di dire “NO” e di non chinare il capo sottomettendosi al “maschio predominante”, è perché vuole essere veramente libera. Accadono quotidianamente stupri che violano la libertà, anche non manifesti come nel caso di violenza fisica, ma sotterranei, continui e soffocanti che logorano nel profondo e annientano la volontà. Se gli uomini riuscissero a capire l’universo femminile forse sarebbero veramente uomini, persone in grado di conoscere l’altro, di entrare in empatia e quindi comprendere. Molto importante è il compito che dovrebbe fare la scuola, la famiglia, la società tutta che continua, invece, a proporre ideali estetici di presunta perfezione fisica esponendo il corpo della donna al giudizio e ai commenti. Tanto ci sarebbe ancora da dire, ma torneremo sicuramente a parlare di questo tema sulle pagine della nostra rivista, perché oggi, più che mai, è importante prendere consapevolezza che un atteggiamento più maturo da parte di tutti non può che giovare alla costruzione di una società migliore. Nella speranza che si possa sempre continuare a essere liberi di manifestare le proprie opinioni e i propri punti di vista, invito anche i nostri lettori a esprimere le loro considerazioni, scrivendo nei commenti oppure alla redazione della rivista. cultura.oltre@libero.it
Maria Rosaria Teni

Ciò che indossavo

Era questo:
a partire dall’alto
una maglietta bianca
di cotone
a manica corta
e girocollo

Questa era infilata
in una gonna di jeans
(anche quella di cotone)
che finiva appena sopra le ginocchia
e con una cintura in vita

Sotto tutto questo
c’era un reggiseno di cotone bianco
e mutande bianche
(anche se probabilmente non abbinate)

Ai miei piedi
scarpe da tennis bianche
il tipo di scarpe con cui giochi a tennis

e per finire
orecchini d’argento e lucidalabbra.

Questo è ciò che indossavo
quel giorno
quella notte
il quattro di luglio
del 1987.

Potreste chiedervi
perché è importante
o perché io mi ricordi
ogni capo di abbigliamento
con questa precisione

Vedete
mi hanno fatto questa domanda
molte volte
l’ho ricordato
molte volte
questa domanda
questa risposta
questi dettagli.

Ma la mia risposta
così attesa
così prevista
sembra piatta in qualche modo
visto il resto dei dettagli

di quella notte
durante la quale
ad un certo punto sono stata violentata.

E mi chiedo
quale risposta
quali dettagli
vi darebbero conforto
potrebbero darvi conforto
a voi
miei inquirenti

cercate conforto
laddove
ahimé
nessun conforto
può essere trovato.

Se solo fosse così semplice
se solo potessimo
mettere fine allo stupro
semplicemente cambiandoci d’abito

Ricordo anche
che cosa lui stesse indossando
quella notte
anche se
è vero
nessuno
me l’ha mai chiesto.

Mary Simmerling