Nel dicotomico scontro vita-morte, attraverso un metaforico incipit di sapiente compostezza, il poeta Zaniboni dà vita a una lirica che nasce da un bisogno intimo di tornare a navigare nel mare della vita, sempre più esposta alle bizzarrie di un vento imponderabile. Attraverso rievocazioni nostalgiche di sentimenti puri e volti cari, similitudini e sinestesie si alternano abilmente, in equilibrio con l’adozione di metonimie e sinestesie che conferiscono dignità classica a versi che sfiorano la sfera del metafisico, nella ricerca di un inconoscibile approdo finale.[ Maria Rosaria Teni]

Una nebbia fitta avvolgeva lo scafo,

senza possibilità di orizzonte,

né voli di gabbiani sopra il ponte:

forte era l’abbrivio,

le onde già squassavano le vele

e pareva vicino il momento fatale.

Infezione ed emorragia all’intestino,

stavano negando la navigazione.

Come avviene quando il maestrale cede

e una bonaccia tiene fermo il legno,

il sangue si è arrestato

e fra le nuvole apparso è il sereno.

Dio mio, pensavo, come sarà l’approdo?

Avrò la forza di fissarLo in volto,

se più del sole che abbatte gli occhi,

è la potenza del Suo Fuoco?

Sarà a fianco mio fratello che, bambino,

mi teneva per mano a evitarmi inciampi

nel cammino?

Mi soccorrerà mia madre, standomi vicino

o mio padre, dicendo: “È una scappatella”.

Il mio approdo sarà un giorno di festa

o un castigo, senza possibile perdono?

Ora il veliero sta riprendendo fiato,

gonfie vele danno navigazione,

la nebbia si dirada e il mare a poco a poco,

riacquista il suo colore blu.

Coraggio, continuiamo giorno dopo giorno,

annotando al diario di bordo ogni evento,

gli occhi alle stelle nelle notti di cielo,

pregando che il vento non laceri le vele.

Lucio Zaniboni

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