In una città colma del vociare quotidiano della vita, c’era una giovane donna senza nome che viveva la sua vita. Il suo volto, segnato dal peso di lotte sicuramente pesanti, ma invisibili per tutti, diventava una presenza familiare per me che mi ero preso la briga di notarla. Nel mezzo del caos della città, una grande città, lei era diventata la favorita del mio osservare attento la gente che veniva da me a prendersi un caffè, oppure un bicchiere di vino, e vedevo e notavo il suo dolore dispiegarsi sempre di più ogni giorno che passava.

Questo osservare mi faceva sentire come un’anima compassionevole, di quelle che vedi nei film in bianco e nero o leggi su libri che non vuoi mai abbandonare. Una cosa che non sapevo era che, giorno dopo giorno, ero testimone dei disperati tentativi della giovane donna di sfuggire alle grinfie di un compagno violento. Il mio locale divenne il suo rifugio mentre correva fuori dalla sua casa, cercando un luogo sicuro per ripararsi dalla tempesta implacabile che l’aspettava a casa. Il colpevole, il suo compagno, era senza volto per me, ma lasciava dentro di me una scia di certezza e terrore una volta che passai vicino alla sua casa per la prima volta e udii urla angoscianti e suppliche disperate.

Incapace di rimanere inerte, un giorno le chiesi, mentre beveva il suo bicchiere di vino rosso in silenzio o con lo sguardo che non incontrava quello di nessuno: “Oh, cosa c’è che non va qui?” Alimentato da un crescente disagio per le scuse che avevo usato con me stesso per giustificare l’aver ignorato la situazione di questa donna, decisi che il silenzio non era più un’opzione.

“Sono stanco delle scuse che tutti usano”, dichiarai a me stesso una mattina quando la vidi entrare. “Sono una coppia, non mi ci intrometto. Ma chi ti ha dato il diritto di fare questo?

Vivendo a soli dieci passi di distanza dalla sua via, sentii finalmente l’urgenza di prendere posizione. Non vedevo mai la coppia, ma gli echi delle sofferenze della donna risuonavano profondamente dentro di me, quando passavo davanti alla sua casa o quando veniva a rifugiarsi da me. Le minacce di violenza, il controllo esercitato su ogni suo movimento e il pericolo imminente che sentivo affrontava divennero impossibili da ignorare.

Decisi di parlare contro l’indifferenza prevalente. Con ogni grido e ogni minaccia, la determinazione mi cresceva sempre di più. Le parole divennero un grido di ribellione, “Ehi, ehi, ehi, oh, cosa c’è che non va qui?

Lei si aprì, mi raccontò gli abusi, le violenze. Il suo racconto non aveva neppure l’umidità delle lacrime, perché di piangere non ne aveva più la voglia. Mi disse tutto e mi disse che fu la prima volta che ne parlava così apertamente.

Per molti giorni tornava come se fossi diventato un suo complice e divenni un simbolo di resistenza contro la violenza normalizzata che le veniva inflitta alle.

Una mattina si presentò con due grosse valigie, non ancora ben chiuse. Aveva un sorriso sul viso, il compagno l’aveva letteralmente sbattuta via da casa e lei era felice. “Non so dove andare, posso lasciare quei miei bagagli mentre trovo una sistemazione dove cominciare la mia libertà?

Tornò alcuni giorni dopo, mi mandò solo un messaggio per dirmi che tutto andava bene, che si sentiva bene e che sarebbe tornata a giorni a riprendersi la sua roba.

Un anno dopo ripassò al locale, sembrava più giovane, era curata, non aveva più il viso cupo, prese una bella pasta con le vongole e un bicchiere di vino bianco e sorrideva. Raccontava di alcuni show che aveva visto nel West End, non accennò minimamente al suo passato e io feci la stessa cosa. Andando via, mi abbracciò e mi disse: “Grazie di tutto, sei stato più importante di quanto tu possa anche solo minimamente immaginare.”

Perché vi ho detto tutto questo? Perché volevo tentare d’ispirare il cambiamento, esortando la società, voi che leggete, a liberarsi dalle catene dell’indifferenza e a sfidare le scuse che perpetuavano il ciclo di abusi. Un racconto, una storia come tante, finita bene, che vuole portare con sé un messaggio potente: nessuno dovrebbe voltare le spalle alle sofferenze altrui, e la vera forza risiede nel prendere posizione contro l’ingiustizia. Specie dei più deboli. In particolar modo delle donne.