L’arte di offendere, seconda parte. Il cretino come evento sociale. Di Mauro Montanari, Bologna.

Lo avevo promesso, di avventurarmi nella seconda parte dell’Arte di offendere, uscita un mesetto fa, e lo faccio adesso. Qui parliamo del cretino come evento sociale. Comincio col citare un antico proverbio cinese, pregno di saggezza: se un cane abbaia ad un’ombra, mille cani la fanno diventare realtà.

In questi ultimi anni abbiamo visto come in tanti si facciano portatori volontari, in piazza come nel Web, dell’Ideologia dominante al momento (oggi il Woke guerrafondaio, ieri il nazionalismo guerrafondaio, ieri l’altro l’ideologia dell’eroismo rurale, sempre guerrafondaio). La tecnica è costantemente quella di urlare, ripetendo in massa gli stessi slogan, in modo che, urlandoli, essi si facciano sempre più simili alla realtà. La quale realtà è, come sappiamo già da Schopenhauer, una rappresentazione della nostra coscienza, e quindi modificabile a seconda di chi ne ha le chiavi. Chi può aprire lo sportellino della nostra testa e depositarvi un messaggio, potrà essere sicuro che quello stesso messaggio verrà propagato gratuitamente, all’infinito e con pochissime variazioni. Un miracolo della manipolazione. Lo slogan che gli è stato fornito attraverso lo sportellino aperto nella sua testa, è proprio lo strumento a disposizione del cretino per sentirsi parte attiva di un grande e gradevole Tutto Urlante.

Qui mi occupo proprio di spiegare cosa succede nella testa dell’urlatore di slogan, una volta richiuso lo sportellino. L’attrezzo che utilizzerò (scusandomi per le troppe citazioni) è la celebre Teoria della stupidità del parroco tedesco Dietrich Bonhoffer, morto in un campo di concentramento nazista nel 1945.

Bonhoffer trovava una relazione certa tra la stupidità e la appartenenza ad un branco. Non i cattivi sono da temere, bensì i cretini, sosteneva. Ciò perché, mentre con i cattivi puoi discutere, contro di essi puoi lottare; contro i cretini non hai argomenti. Un cretino tratterà le tue ragioni comunque come superflue o marginali, perché un cretino discute sempre al di sopra o al di sotto di te, mai sullo stesso piano. Questo ti metterà certamente in difficoltà, perché, razionalmente, tu puoi portare i fatti e le prove che vuoi, ma comunque invano. Un cretino non crede né ai fatti né alle prove contrarie, perché, appunto, è coperto e protetto dalla opinione comune del suo branco, che è anche la sua prova dei fatti. Voglio dire, lui ti porterà la prova contraria attraverso uno slogan, e il discorso finisce qui, anche perché da qui comincerà la solidarietà urlante degli altri cretini come lui.  

Proprio per questo un cretino si esprime a slogan, che sono appunto la pietra angolare dell’ideologia del branco. Per questo, inoltre, un cretino si copre con il numero (noi siamo tanti, voi siete pochi). Ma intendiamoci: un cretino non è cattivo, al contrario! E qui riprendo Bonhoffer. Il fatto è che non ha scelta. Senza i suoi slogan, la sua identità cadrebbe come una pera marcia dall’albero. Il suo senso di sé, la sua autostima, che già sono bassini, si sgonfierebbero ancora di più come un palloncino bucato. Senza il sostegno del suo branco e dei direttori del coro, non sarebbe nessuno, per questo lui ci crede. Non è cattivo; è, soltanto, appunto, un cretino. E proprio da qui viene la sua pericolosità, non solo per gli altri, ma anche per se stesso, perché non è infrequente vedere un cretino che marcia urlando per la sua stessa distruzione.

Ma allora, quali sono i vantaggi dell’essere un cretino? Semplice: il senso di protezione e di sicurezza. Che non è poco, perché questo fa di un cretino una persona mediamente contenta. Il gruppo, guidato dai suoi capi, lo protegge, lo giustifica e lo libera da ogni sforzo. Nel suo abbaiare comune a tanti altri come lui, le ombre diventano realtà, e lui non ha bisogno di altro per essere felice.

Mauro Montanari, Ph. D.