Pubblicata la raccolta poetica dal titolo “Liriche scelte” di Alfredo Alessio Conti, con prefazioni di
Enzo Concardi, Floriano Romboli, Gabriella Veschi, nella prestigiosa collana “Analisi Poetica
Sovranazionale del terzo millennio”, Guido Miano Editore, Milano 2024.
Nel groviglio esistenziale vissuto dal poeta si alternano, intrecciano e sovrappongono concetti
filosofici, psicologici, spirituali che, tuttavia, non rimangono tali, cioè astratti, ma s’incarnano nella
sua esistenza segnando stimmate e proiettando speranze. La terminologia che può definire la
condizione umana qui tratteggiata si sintetizza, individualmente e universalmente, in nuclei
problematici aperti e profondi: solitudine e isolamento; nulla e vuoto; male di vivere e inanità;
bipolarismi e contraddizioni come morte e rinascita, sogno e realtà, dolore e desiderio, attesa e fine. Si
tratta di tematiche, stati d’animo, pensieri che albergano in larga parte della letteratura europea del
Novecento e di questo primo scorcio del Duemila, segno della crisi dell’essere che angustia le giornate
dell’uomo occidentale.
Si possono rintracciare richiami di tali assunti in alcune liriche di Conti, che sono talora originati
culturalmente – per esemplificare – da ispirazioni bibliche, socratiche, ungarettiane. Nel primo caso
troviamo nella poesia Perché si è i versi finali che recitano: «…perché si è polvere / e in polvere / si
tornerà», con chiaro riferimento al passaggio dell’Antico Testamento (Genesi 3, 19) nel quale Dio
condanna l’uomo al suo destino, dopo il peccato originale.
Di indubbia ispirazione al pensiero socratico è la lirica Il tuo domani, che si apre proprio con il
famoso motto greco ‘gnōthi seautón’: «Conosci te stesso / e abbi cura di te / raggiungerai l’anima /
nella sua profondità / e saprai chi sei / chi dovrai raggiungere / il domani / che verrà». Così risulta
agevole riconoscere nell’epigrafica Esistenza, una condivisione con l’immagine simbolica della foglia
ungarettiana: «Nel respiro del vento / vivo / come foglia d’autunno». […].

ENZO CONCARDI


Il sentimento amoroso è un tema affrontato dai letterati di tutti i tempi nelle sue molteplici sfumature
e riveste una fondamentale importanza anche nella poesia di Alfredo Alessio Conti; nei testi che
seguono audaci metafore, unite ad innovative scelte lessicali e ad un complesso apparato retorico
permeano i componimenti di una struggente malinconia, suscitata dalla lontananza dell’amata: «Nella
tua assenza / mi perdo / dolce amore mio / ti vedo in ogni dove / nella dura pietra / nelle gocce di
pioggia / nel volo di farfalle / nel canto degli usignoli / nel prato fiorito / nella stella cadente / e
piango» (Piango). I versi scaturiscono da intense emozioni di fronte al reale pericolo di una
insopportabile perdita, avvertita come doloroso emblema della precarietà umana: «L’ho sepolto lì / in

quel piccolo cimitero di montagna / il desiderio d’incontrarti / su quelle vette impervie / ad osservare il
cielo / e il mondo da lassù…» (Non sono più).
La donna è l’interlocutrice privilegiata del discorso poetico, organizzato intorno a stati d’animo
antitetici, nel vibrante ondeggiare del ritmo: la solitudine e la nostalgia per una dolorosa separazione si
alternano all’appagante gioia dei momenti trascorsi insieme, a sottolineare la precaria dimensione del
soggetto lirico, sospeso tra presenza e assenza, tra l’eco memoriale di stagioni felici e il vuoto
dell’abbandono: «Ho pettinato il prato / come se fossero i tuoi capelli / morbidi al tatto / del mio
ricordo / sfumato dal dolore / dalla tua mancanza / siamo stati sdraiati qui / ad osservare le stelle / a
lasciarci baciare dal sole / con le nostre mani unite / dal sorriso dell’amore / ed ora che son solo /
m’aggrappo alla terra» (Ho pettinato il prato). […].

GABRIELLA VESCHI


Nelle liriche d’ispirazione religiosa di Alfredo Alessio Conti è ricorrente l’idea dell’esistenza
individuale come itinerario, come cammino: «Il Poeta se ne va / ramingo / nell’anima nel cuore nelle
membra…» (È un ritrovarsi). Nell’àmbito di tale raffigurazione metaforica se ne pone in risalto la
frequente incertezza, si sottolinea il procedere esitante fra il passo spedito e l’imbarazzante, talora
penoso zoppicamento: «Cammino zoppicando / o zoppicando cammino / peregrinando / nell’attesa
della sentenza / che (…) giungerà zoppicando o camminando» (Zoppicando o camminando).
Incontrare Dio durante il “viaggio della vita” significa assicurare a quest’ultimo una direzione
inequivoca e gratificante, conferirgli un preciso scopo etico-ideale («…Non serve a nulla / la nostra
esistenza / se non si crede / alla vita interiore / alla nostra anima / umana», Cercatore), arricchirlo del
valido sostegno di una Presenza amorosa, che corrobora e guida: «Quello che mi aspetta / va al di là
dei miei pensieri / e come il canto d’usignolo / passerà / la primavera dei miei giorni. / Rosseggia
l’alba / e Dio / mi ha già preso per mano» (Mi ha preso per mano). D’altronde l’autore riconosce quale
tratto specifico dell’uomo una condizione d’attesa («…Laggiù, Lassù…/ci attende / una nuova / vita»,
Nuova vita, cors. mio, come dopo) destinata ad essere appagata soltanto dalla rivelazione di un Essere
superiore, il quale, mentre prefigura un orizzonte salvifico («…Nell’attesa / dell’onda / salvatrice /
credo / in un Dio / misericordioso», Credo), “incarna” l’antitesi illuminante e chiarificatrice
rappresentata dalla fede a petto dell’oscurità avvilente e penosa dell’esperienza umana abbandonata a sé
stessa, soffocata dai proprî insuperabili limiti: «…Nel tuo silenzioso silenzio / rimani retto nei tuoi
pensieri / osservando il nulla del creato / nel cielo buio dell’esistenza. / Scruti le stelle / oltre il nero cielo
e lassù / intravvedi il logos generato / risposta ad ogni domanda» (Logos). […].