Come si costruisce l’ideologia totalitaria, di Mauro Montanari.

Siamo al Prado, di fronte alla monografia del Goya chiamata Los desastres de la guerra, che illustra con immagini angoscianti la guerra civile spagnola e l’occupazione delle truppe napoleoniche tra il 1807 e il 1814. Nella panchina antistante alcuni ragazzi biondi, presumibilmente olandesi in visita scolastica, sono completamente assorbiti dai loro telefonini. Non ce n’è uno, dico uno, che alzi gli occhi, neanche per sbaglio. Eppure il tema è di tragica attualità, ma niente, non glie ne potrebbe fregar di meno.

Ora, io qui non faccio moralismo d’accatto. Mi chiedo soltanto cosa sia successo nella testa di quei ragazzi per far sì che la loro realtà parallela diventi tanto più interessante della realtà reale, e se ci sia davvero una differenza tra la loro generazione e la mia. Ovvero, perché quei ragazzi non vedono la somiglianza tra le grafiche di Goya e la loro vita, come io, con chiarezza impressionante, ci vedo la somiglianza con la mia?

E qui non so rispondere e devo chiedere aiuto a chi ne sa più di me, nella fattispecie Mattias Desmet, che insegna Psicologia clinica all’università di Gand e che ha scritto un libro che io consiglierei, La psychologie du totalitarisme.

Bene. Fermo restando che la realtà noi ce la costruiamo nella nostra testa, interpretando e unendo i punti che i nostri sensi ci segnalano, senza la minima garanzia che quello che percepiamo sia reale; fermo restando questo, dicevo, Desmet fa un’osservazione interessante. La differenza, dice, tra la sua (e la mia) generazione e quella attuale dei Millennials, riguarda la maniera di leggere. Noi avevamo per conoscere il mondo solo dei libri. Un libro è fatto di una raccolta di pagine. Quando io sono ad una determinata pagina, posso sfogliare indietro e vedere l’antefatto, oppure posso proseguire e vedere le conseguenze del fatto stesso. Nel libro, cioè, c’è una storia con un inizio e una fine, che si muove da sinistra verso destra in direzione del futuro o al contrario in direzione del passato. Così funziona anche la nostra scuola, la quale, Dio sia lodato, storicizza, cioè abitua lo scolaro e lo studente ad individuare le cause e gli effetti.

Il webete fonda invece la sua conoscenza sul telefonino, il quale scorre dall’alto verso il basso e viceversa, e gli propone una serie di immagini senza collegamento tra loro. Nella sua cognizione della realtà, manca un passato e quindi anche un futuro. Gli manca, cioè, la relazione tra causa ed effetto, pertanto tutto diventa ai suoi occhi casuale, esattamente come le immagini che gli arrivano sul telefonino da Facebook o da TikTok. La sua realtà è un fortuito, colorato e dilatato Adesso. Non c’è altro.

Un tale piatto e slabbrato Adesso, ha bisogno però di un punto fisso, altrimenti non è sostenibile. Il punto fisso, archimedico del webete è il moralismo. Per il webete, la realtà diventa un quadro in bianco e nero e l’umanità si divide in buoni (noi) e cattivi (gli altri), e ciò senza che gli passi per l’anticamera del cervello che, dall’altra parte della barricata, anche gli altri dividono l’umanità in buoni (loro) e cattivi (noi).

In questo desolato quadro, si capisce anche da dove arriva la Cancel Culture. Se il passato non si adatta al presente moralista che noi vogliamo, lo cancelliamo, chissenefrega, non ne abbiamo bisogno. Wagner era un nazista? Via! Nietzsche era una nazista? Via! Leopardi era uno sfigato? Via! Foscolo era un playboy del cazzo e non abbastanza woke? Via!  

E qui ritorniamo ai ragazzi del Prado e alla loro relazione con il Goya appeso sulle loro teste, il quale, facendo parte appunto del passato, non ha niente a che vedere con loro. Anzi, grazie che non lo cancellano, perché se solo scoprissero che un giorno magari ha trattato male sua nonna o ha mangiato l’agnello al forno, anche lui, via!

E la guerra in Ucraina? Quella è cominciata nel  febbraio 2022. E prima cosa c’era? Bohh? E quali effetti può avere ? Bohh! E che relazione c’è con la guerra litografata da Goya? Bohh! La guerra è solo una serie di immagini che arrivano disordinate sul telefonino, senza un prima  e senza un dopo, così come arrivano, appunto, i video di Tik Tok.  

Per il webete è tutto. Lui alza appena lo sguardo. Si limita a inviare via social qualche invettiva all’indirizzo dei cattivi e a riceverne dagli stessi, in attesa che TikTok cambi gli scenari e gli faccia vivere una nuova avventura. Alla parete, può esserci appeso quello che ti pare, perché la realtà vera, come la vede lui, passa altrove.

Mauro Montanari, Ph. D. Nella foto Francisco De Goya, Los desastres de la guerra, Museo del Prado.