editorialeSono passati 79 anni da quel 25 aprile 1945, quando cominciò la ritirata dei tedeschi e dei soldati della Repubblica di Salò da Milano e Torino, dopo lo smantellamento della Linea Gotica, ad opera degli alleati e e delle lotte partigiane, segnando la fine del nazifascismo nel nostro Paese. Questa data venne poi istituzionalizzata e poco meno di un anno dopo, il 22 aprile del 1946, il governo provvisorio di Alcide De Gasperi stabilì per decreto che il 25 aprile di ogni anno sarebbe stata festa nazionale. La liberazione diventò la Liberazione. Volendo ripercorrere quei giorni, ci addentriamo in un periodo che ha visto venti mesi di lotte, a partire dall’8 settembre ’43, che ha visto migliaia di donne e uomini combattere strenuamente per la libertà, sotto il nome di Resistenza. Sono stati tanti i giovani che, da un giorno all’altro, si sono trasformati in partigiani imbracciando le armi e impegnandosi per costruire un nuovo futuro. Come ha scritto uno dei protagonisti di allora, Vittorio Foa, dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 prese forma “il proposito di ricostruire l’identità nazionale perduta”. Furono venti mesi di lotta e speranza, sofferenza e coraggio. Il 25 aprile è la data che segna una fine ma anche un inizio: la Costituzione, la Repubblica, la ricostruzione del Paese. Pochi mesi dopo quel 25 aprile, infatti, furono avviati i lavori per una nuova Costituzione che è frutto di un’Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale in concomitanza con il referendum indetto per il 2 giugno 1946 per determinare la forma di Governo a seguito della fine della seconda guerra mondiale. Per la prima volta in Italia partecipavano anche le donne a una consultazione politica nazionale che, con un largo voto popolare, decretò la fine della monarchia e la nascita della Repubblica. La Carta costituzionale fu progettata da una commissione ristretta di 75 membri dell’Assemblea Costituente, scelti con criterio proporzionale. Fu in quella sede che presero corpo i principi fondamentali e si definì l’intesa programmatica tra le diverse forze presenti. Il 22 dicembre 1947 il testo della Costituzione fu approvato con una maggioranza di più dell’85 percento dell’Assemblea ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948.

Oggi, tuttavia, sempre più spesso mi chiedo come venga vissuta questa pagina della nostra storia, una pagina così importante che ha sancito la resa dei conti con il fascismo dopo vent’anni di regime. Una Liberazione, che è stata una grande festa di popolo, quanto valore ha per i nostri giovani che vivono nel terzo millennio e si avvicinano alla storia considerandola solo una materia scolastica e non una narrazione reale e significativa?
Da Pietro Nenni a Teresa Mattei, da Ferruccio Parri a Paolo Emilio Taviani scorre una galleria di ricordi di partigiani diventati principali artefici della Liberazione. Tante poi sono le donne, il cui ruolo diventa determinante nella compagine della Resistenza italiana, che hanno dimostrato un coraggio eccezionale durante azioni di massa che si sono rivelate fonte di risultati importanti. Sono state settantamila, forse molte di più. Nella maggior parte dei casi, le partigiane hanno fatto le staffette: portavano cibo, armi, riviste, materiali di propaganda, rischiando la vita, torture e violenze sessuali. Erano donne disarmate, che non si potevano difendere e cercavano in tutti i modi di aiutare i partigiani: li nascondevano, li curavano, portavano loro i viveri nei nascondigli, si preoccupavano della loro sopravvivenza. Alcune di loro hanno partecipato direttamente alla lotta armata e ormai era riconosciuto il ruolo fondamentale delle staffette che, in seguito hanno ricevuto medaglie d’oro al valore per le loro azioni durante la resistenza: Irma Bandiera, Ines Bedeschi, Gina Borellini, Livia Bianchi, Carla Capponi, Cecilia Deganutti, Paola Del Din, Anna Maria Enriquez, Gabriella Degli Esposti Reverberi, Norma Pratelli Parenti, Tina Lorenzoni, Ancilla Marighetto, Clorinda Menguzzato, Irma Marchiani, Rita Rosani, Modesta Rossi Polletti, Virginia Tonelli, Vera Vassalle, Iris Versari, Joyce Lussu. Erano donne di ogni estrazione sociale, operaie, studentesse, casalinghe, insegnanti che, in città, come in campagna, organizzarono veri e propri corsi di preparazione politica e tecnica, di specializzazione per l’assistenza sanitaria, per la stampa dei giornali e dei fogli del Comitato di Liberazione Nazionale. La Resistenza, per queste donne, è stata la conquista di una consapevolezza di forte espressione politica e sociale, anche se nei libri di storia si parla poco della partecipazione delle donne alla Resistenza, nonostante il loro apporto sia stato determinante e può essere visto come un esempio edificante per le giovani donne di oggi, che, comunque, cercano di far valere diritti che rischiano sempre più di essere sopraffatti da una democrazia sempre più svuotata di significato. Interroghiamoci sul senso che ha la Liberazione del 25 aprile, in questa nostra società liquida, in cui l’incertezza ondeggia tra le masse e soprattutto colpisce i giovani, che dovrebbero rappresentare il futuro di un paese. Le fragilità e le insicurezze sono lesive per la costruzione di una propria identità e di una coscienza civile e, soprattutto, sono facilmente destinate ad essere influenzate da manipolazioni allettanti e mistificatorie. È dovere di ogni cittadino ritenere che il valore del 25 aprile non vada perduto; considerando la progressiva scomparsa dei testimoni viventi, ognuno di noi dovrebbe contribuire a tramandare le storie di chi ha difeso, nelle montagne, nelle carceri, nelle campagne, il valore della libertà. In quei luoghi della Resistenza ha preso corpo la nostra Costituzione, la fonte della libertà di cui godiamo oggi, la possibilità di rivendicare i propri ideali e di esprimere le proprie opinioni e anche di far sentire la propria voce, se vengono alienati dei diritti conquistati con il sacrificio. La conquista della libertà è un traguardo inestimabile e mai, come adesso, le parole di Pietro Calamandrei risultano di straordinaria importanza: “[…] la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai”.
La storia va raccontata perché si maturi la consapevolezza di non ripetere ancora le tragedie di un passato che è costato la vita di tanti esseri umani.
Maria Rosaria Teni