La storia finanziaria recente dell’Italia si è rivelata una lunga battaglia contro il crescente fardello del debito pubblico. Nell’arco di trent’anni, il paese ha visto il proprio debito lievitare in maniera vertiginosa, con previsioni che, per il 2025, lo vedono superare il tetto psicologico dei 3 mila miliardi di euro. Il cammino dell’Italia verso questa montagna di debito ha radici profonde, affondando le sue origini nelle politiche sociali degli anni Settanta e nell’espansione fiscale degli anni Ottanta.

Il rapporto debito/PIL del Bel Paese ha raggiunto livelli allarmanti. Nonostante una leggera discesa nei recenti anni, l’effetto temporaneo del Superbonus, che ha contribuito a contenere il rapporto debito/PIL, si è ormai esaurito, lasciando intravedere un futuro di risalita. Dal 2024 in poi, i numeri sono destinati a peggiorare, con una traiettoria ascendente che ci porterà nel 2025 oltre la soglia critica, fino a raggiungere un rapporto debito/PIL del 139,8% nel 2026. Solo a partire dal 2027 si prevede una discesa, secondo quanto riportato nel Documento di Economia e Finanza (DEF).

Le istituzioni finanziarie internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale, prospettano uno scenario ancor meno confortante, senza intravedere una svolta almeno fino al 2029. In questo contesto, le parole del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, dai meetings di primavera a Washington, suonano come un monito e un impegno: “Stiamo lavorando sulla sostenibilità del debito”, dichiara, sottolineando come la stabilità del debito pubblico sia strettamente legata alla capacità di generare crescita.

Il debito italiano, in un’analisi retrospettiva, ha visto la sua impennata già a partire dall’inizio degli anni Settanta, con riforme sociali quali quelle delle baby pensioni, e senza una corrispettiva crescita delle entrate. Gli anni Ottanta, spesso citati come l’epoca della “spesa allegra”, hanno solo amplificato una situazione già tesa, con le decisioni del Tesoro e della Banca d’Italia che hanno marcato la definitiva corsa al debito.

Il Trattato di Maastricht degli anni Novanta e la successiva adesione all’euro hanno imposto all’Italia una stretta di cintura fiscale senza precedenti. Gli sforzi dei governi di quel decennio, tra manovre draconiane e privatizzazioni, hanno cercato di riassestare le finanze nazionali, ma la montagna del debito si è rivelata troppo alta per essere scalata in breve tempo.

Oggi, la crisi del debito si protrae come una catena che trascina l’economia italiana, nonostante gli interventi straordinari del periodo COVID-19. I fondi stanziati per il NextGenEU e le misure come il Superbonus hanno contribuito a sostenere il sistema in tempi di crisi, ma hanno incrementato l’onere del debito. Ora, l’Italia si trova di fronte all’impellente necessità di una strategia efficace che promuova una crescita stabile e sostenibile, riducendo la spesa e incentivando gli investimenti.

È essenziale che il Governo ponga in atto una solida spending review e che il PIL torni a crescere con costanza. Il Paese si trova di fronte alla sfida di trasformare l’utopia di oggi nella realtà di domani, magari con l’ausilio del PnRR. Bruxelles osserva, in attesa di vedere come l’Italia affronterà il nuovo Patto di Stabilità e quali misure adotterà per alleggerire il peso di un debito che sembra aver assunto un carattere strutturalmente fisiologico più che patologico.