Ho staccato un dito dopo l’altro dallo scoglio su cui stavo aggrappata con tutta me stessa. Pensavo di essermi messa comoda, invece mi sbagliavo. Si può resistere un giorno, forse uno in più. Io ho resistito tanto, troppo e l’ho capito solo quando il dolore è diventato cronico.

A ogni unghia che cedeva, anziché grattare stridente per restare aggrappata, seguiva una lacerazione, uno strappo. La fitta dolorosa invocava pace ma ho lasciato che piangesse fino a cicatrizzarsi e adesso sono un valle di tagli e cuciture, bruciante e viva.

Questa battaglia non sconfigge me, ma ciò che credevo di essere. Sognavo una vittoria a mani alzate sul traguardo, l’applauso di tanti burattini gaudenti, la pioggia d’oro e la luce splendente. Quanto mi sbagliavo. Inseguivo un sogno e mi sono rinchiusa dentro un incubo, in trappola nel gioco degli specchi e in ognuno vedevo un mostro.

Non aspettava me quel castello di regine, sono stata attirata da un miraggio e poi delusa e compiacente ho cercato la torre merlata. Desideravo quel che vedevo, ma ciò che vedevo era un inganno. E quando l’incantesimo si è spezzato, mi sono risvegliata aggrappata a una rocca, ai bordi di un precipizio. Sono scesa impaurita e scoraggiata, aggrappandomi alle fessure, senza equilibrio. Ogni minimo passo era uno sforzo immane.

Non mi restava che l’ultimo salto da affrontare, quello che più temevo. Quello che mi avrebbe resa più forte. Ma ho ceduto. Mi sono arresa. Sarei rimasta lì, abbarbicata a quello scoglio se un terremoto non mi avesse liberato dalle mie paure. Il precipizio era profondo e nero, ma potevo vincerlo.

Il castello di regine è diventato il nido dei fanti ingannatori, sulla mia barca su cui navigo per guarire, posso vedere l’onda che scaccia la nebbia incantatrice, per mostrare ciò che resta.

Per la prima volta non mi aspetto miracoli ma ricompense. Mi tengo salda alla mia forza e attraverso il varco, sicura che quel che sono è di più di quel che si vede.

Buon Anno a tutti.

Michela Santini