(articolo di Valeria Bianchi Mian)

Il 27 aprile dedicherò lo spazio-tempo della trasmissione che conduco su Radio Morpheus il martedì sera alle 20,00 – rubrica L’ALTRO IN NOI, PSICOLOGIA VIVA IN ANIMA MUNDI – al tema che ho trattato nel mio primo romanzo.

IL SENSO DI COLPA.

Un tema enorme, lo so. Il senso di colpa è soprattutto un sentimento. Quello che la collega criminologa Elena Modesta Rossi, durante una serata condotta insieme qualche tempo fa, aveva definito “turbamento che ci attanaglia quando siamo chiamati ad operare scelte che possono incidere negativamente sulla vita altrui o che screditano le regole morali comuni”.

Facciamo un esempio.

Un evento della nostra quotidianità attiva il famigerato senso di colpa, anzi ri-attiva, ed ecco che noi proviamo emozioni ben note, annesse e connesse a questo stato d’animo, senza magari ricordarci che l’origine della possibilità di sentire la colpa ha radici nel passato. Il nostro passato, individuale, e quel ‘tempo altro’ che ci collega a un terreno più antico, collettivo.

Ciò che proviamo nel qui e ora riattualizza delusioni, infelicità, paure e rabbie che arrivano da lontano. Ci si può recriminare di non ricambiare un sentimento d’amore, di aver deluso le altrui aspettative, di aver approfittato della disponibilità di qualcuno. C’è chi non si perdona di aver commesso un reato e chi si sente in colpa semplicemente per essere felice.

“Non è colpa mia” è stato il mio primo noir e ancora oggi mi dà ispirazioni e spunti per riflettere. L’ho pubblicato con Golem Edizioni nel 2018. La storia si snoda nei meandri del suddetto senso di colpa, accennando alla distinzione dello stesso in ‘deontologico’ e ‘altruistico’, due modi operandi che attivano aree del cervello diverse: la corteccia del cingolo anteriore, il primo; la corteccia del cingolo posteriore, il secondo.

Nel mito, il senso di colpa richiama l’immagine di un macigno, un masso che il povero Sisifo, re fondatore di Corinto, trasporta in continuazione dalla base alla cima del monte. Lo fa per cercare di realizzare una ipotesi di espiazione. Lo fa sperando di liberarsi, mentre invece vive in una realtà di schiavitù comandata da Ade, ed è una punizione che subisce a causa delle nefandezze che ha compiuto. La libertà di Sisifo è solo una vana speranza, perché resta irrealizzabile il ritorno alla leggerezza. Il peso della colpa è sempre lì, e ogni volta occorre ricominciare da capo. Su per il monte, con il suo sasso. Ogni volta. Sisifo è un monarca briccone, un tipo dalle mille idee e iniziative finalizzate a ingannare e sfruttare il prossimo. L’ha fatta in barba anche a Persefone, intenerendola tanto da farsi lasciare tre giorni fuori dall’oltretomba per andare a casa dalla propria vedova, guardandosi poi bene dal tornare e dal rispettare il patto. Lui non conosce pentimento.

Forse, se si parla di colpa, nel pentimento occorre vedere uno spiraglio di superamento della stessa?

C’è anche un altro termine che mi piace associare alla colpa, oltre a ‘pentimento’. Mi piace ‘riscatto’. E mi piace anche ‘vendetta’. Ma per lei, per la Nemesi del caso, vi invito a leggere il romanzo.

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