Ogni dialettica domanda/risposta disegna un punto in un percorso, ne illumina un tratto; non conclude, ma apre a sviluppi forse ancora ignoti. In questo spirito ringrazio Flavio Almerighi che ha accettato di avviare un colloquio sulla sua poesia.
Tra i suoi libri: Qui è lontano (Tempo al libro 2010), Storm Petrel (Xenos Books, 2017, trad. inglese di Procellaria, Fermenti 2013), Caleranno i vandali (Samuele Editore, 2016,), Lettere (Macabor editore 2021)
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Ciao Flavio
La tua parola scardina l’umano, ne mette a nudo la passione. Dentro l’eleganza sofisticata del verso e la sua immediata efficacia, permettimi di dire che è una poesia brusca, a tratti violenta; piomba sul vissuto, travolgendo spazi e tempi, con la pressione di un’esigenza assoluta e priva di fronzoli, capace come poche di inchiodare un mondo in un solo verso. Ha la forza di impatto di un’ascia sul tronco delle molte parole: dalla tua scelta espressiva si sprigiona una forza evocativa che cattura il lettore.
Entro, per così dire, a gamba tesa in quelli che mi sembrano i suoi gangli vitali
Come ti collochi rispetto al detto nihil humanum mihi alienum puto? C’è qualcosa dell’uomo rispetto al quale, in poesia, prendi le distanze?
- No, a parte l’ipocrisia di certi mondi e taluni circoli. Per il resto elaboro tutto quanto mi passi dal cuore, raramente ragiono su cosa o su cosa non. Lascio la poesia imbellettata ad altri, sempre che la mia possa essere poesia.
Il tuo cuore è il lasciapassare di un bisogno mai sazio di ricordo e di giustizia. Quasi fosse perseguitato dalla domanda: “e tu dov’eri?” Questa necessità di esserci potrebbe nascondere nella poesia di denuncia una di tentazione di onnipresenza?
- Francamente lascio i generi a chi li sa distinguere, di solito si dice di me che faccio poesia di denuncia, poesia civile, che sono antilirico e bim bum bam. Ribadisco la necessità di tirar fuori tutto quanto, o quasi, mi passi per il cuore senza banalità di genere o bisogno di onnipresenza. A volte mi rendo conto di scrivere tanto, troppo, prima o poi passerà anche questo.
E’ per questo quindi che la tua poesia non abdica mai all’umano: vi leggo, con ammirazione, un forte richiamo a un senso oggettivo di colpa da cui nessuno può chiamarsi fuori senza diventare un latitante dell’umano.
- La poesia non è accademia, quella la lasciamo ai letterati compiaciuti e spesso compiacenti. Ai mediocri che si scambiano le buone recensioni per poter continuare a coltivare l’illusione di stare a galla. La poesia fa parte dell’animo umano e non può abdicare da esso, altrimenti diventa quello che ho spiegato sopra.
Se, denunciando, mettendo a nudo, il poeta è un testimone, lo è di una “verità”. Il rapporto con la verità poetica configura compiti etici. Esiste, eventualmente, un modo tutto proprio alla poesia di assolverli senza cadere in omelie mascherate?
- Esiste sì, la poesia non è mai la riproduzione della realtà altrimenti non sarebbe poesia.
Hai asserito: <<elaboro tutto quanto mi passi dal cuore, raramente ragiono su cosa o su cosa non>> in questo senso, la tua resta una poesia libera: va verso qualcosa o qualcuno che da fuori si fa presente. E’ qui in gioco una certa esperienza della trascendenza?
- A volte sì.
Una poesia libera è una continua provocazione per chi sa leggere. Come si pone l’uomo Flavio tra libertà e provocazione?
- L’uomo Flavio, come tutti gli altri uomini e donne, è un impasto di umori, prevaricato e prevaricatore. E non è affatto un gioco il “sentire”.
<<non è affatto un gioco il “sentire”>>. Ti prendi sul serio quando scrivi?
- Mi prendo pochissimo sul serio, per mia fortuna non sono un poeta.
Rifuggi dagli accompagnamenti musicali e delle immagini: perché?
- La poesia è parola nuda, non ha bisogno di imbellettarsi.
Dal punto di vista della modalità espressiva hai dei punti di riferimento?
- Sì, Pasquale Panella, Dario Bellezza, Guillaume Apollinaire, Mario Luzi, Amelia Rosselli giusto per citare i più fondamentali per me.
E’ possibile rintracciare nella tua scrittura poetica una sorta di originalissimo confessionalismo?
- No
La poesia, a tuo avviso, può essere un punto di incontro e di mediazione della distanza tra virtuale e reale.
- No, la poesia non è e non deve essere un mezzo per nessun motivo. Attorno alla poesia ci si ritrova, per sua stessa genesi non è reale né virtuale.
La parola è qualcosa di vivo. E’ cambiato il tuo modo di far poesia dagli inizi ad oggi? E se sì, cosa è rimasto della tua poesia d’origine?
- Ovviamente col tempo ci si evolve, si raggiunge un apice, poi si sparisce. Sulla mia poesia d’origine preferirei stendere un velo pietoso.
<<Si raggiunge un apice, poi si sparisce>>: una frase molto forte. Puoi chiarirne ulteriormente il senso?
- Fa parte delle cose in ogni vita, quando inizi a ripeterti o a cercare versi che non facciano parte dell’ispirazione personale, inizi a sparire.
Grazie Flavio per la tua disponibilità e la lucida precisione con cui hai risposto alle mie domande
ringrazio Lucia Triolo per l’intervista molto gradita
L’ha ripubblicato su almerighie ha commentato:
Ringrazio Lucia Triolo per l’intervista
Grazie a te, Flavio, per l’occasione di riflessione che le tue risposte costituiscono
….un’intervista mirata, e molto interessante, nella quale Flavio lascia trapelare, con molta spontaneità, le proprie considerazioni sulla poetica intesa come crociata del pensiero.
Complimenti anche a Lucia per l’analisi accurata e la spiccata sensibilità..
grazie a te Silvia