Dal blog https://parolelibere.blog/2022/07/05/perche-il-gnl-non-e-una-soluzione/

Fonte: https://www.recommon.org

Pubblicato il 16 Giugno 2022 | di Elena Gerebizza

1) Che cosa è il GNL e perché per usarlo servono i rigassificatori?

Il GNL, o LNG in inglese, è il gas fossile liquefatto, cioè portato dalla forma gassosa alla forma liquida per poter essere trasportato in quantità superiori e in maggiore sicurezza via nave. Quindi, per essere trasportato via nave, il gas deve essere sottoposto a diversi processi industriali, che richiedono energia (fossile), producono emissioni, e aumentano il suo impatto sull’ambiente e sui cambiamenti climatici (come viene spiegato bene in questo breve video).

Per esempio, il gas che viene estratto nel Delta del Niger viaggia attraverso una rete di gasdotti fino ai terminal di esportazione. Quello più grande e conosciuto è il terminale di Bonny Island, controllato dalla Nigeria LNG, partecipata da Eni e già al centro di uno scandalo di corruzione internazionale. Qui un’intera isola è stata trasformata in un gigantesco impianto industriale, a danno delle comunità di pescatori che prima la abitavano e che ora si trovano strette tra inquinamento ambientale, milizie armate, povertà energetica – perché gas e petrolio estratti in Nigeria sono destinati al mercato globale, non per garantire accesso all’energia ai suoi abitanti – e cambiamenti climatici, che già affliggono le loro vite. Il gas viene così convogliato a un mega-impianto con sei unità produttive (trains, in inglese) e una settima in costruzione, dove viene compresso, liquefatto e caricato su navi gasiere, cioè navi adatte a trasportare per ciascun viaggio tra i 125.000 e i 150.000 m3 di gas liquefatto, mantenendolo a una temperatura di -162°C.

Bonny Island, Nigeria, foto —=XEON=—, CC BY 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by/3.0, via Wikimedia Commons

Il gas nigeriano arriva anche in Italia, in particolare a Livorno all’impianto OLT – Offshore LNG Toscana, controllato da Snam. Qui viene rigassificato, ovvero riscaldato e riportato in forma gassosa da un impianto a ciclo aperto, cioè tramite scambio termico con l’acqua del mare, e immesso in un gasdotto che dall’impianto OLT arriva fino all’impianto di Suese, nel comune di Collesalvetti. Da lì una centrale di pressurizzazione lo porta alla pressione adatta a poterlo immettere nella rete di distribuzione del gas italiana.

I terminal di liquefazione e quelli di rigassificazione possono essere situati su terra (di solito lungo la costa) o in mare. Questi possono essere costruiti su piattaforme simili a quelle per l’estrazione del petrolio e del gas offshore – come ad esempio l’Adriatic LNG, controllato dal gruppo statunitense ExxonMobil, che si trova al largo di Rovigo, oppure possono essere costruiti sopra navi gasiere riadattate a rigassificatori e depositi di stoccaggio di gas liquido, denominati FSRU – Floating Storage and Rigassification Unit – come ad esempio OLT – Offshore LNG Toscana, che si trova nel Mar Tirreno a 22 chilometri circa al largo di Livorno. Si tratta in ogni caso di navi ancorate in maniera fissa, e collegate alla terraferma con gasdotti attraverso cui appunto transita il gas che deve essere immesso nella rete di distribuzione.

Il grand plan del governo guidato da Mario Draghi contenuto nel Dpcm Energia punta tutto sull’aumento delle importazioni di gas liquido in Italia e sulla costruzione di 2 nuovi terminali FSRU da 5 miliardi di mc l’anno assegnata a Snam e supervisionata da due commissari ad hoc. Snam, assieme al governo, ha svolto nel mese di maggio degli incontri con le regioni interessate per decidere dove posizionare i due nuovi terminal GNL, che sono stati assegnati a inizio giugno alla Toscana e all’Emilia Romagna, con i presidenti delle due regioni come commissari.

Il tutto in assenza di consultazioni pubbliche: il governo decide, il governo fa, senza passaggi in Parlamento o nei consigli regionali, figuriamoci in quelli cittadini. Con l’emergenza guerra e il rilancio del gas liquido, la democrazia è letteralmente scomparsa dall’alfabeto delle istituzioni italiane.

2) Quanti rigassificatori ci sono in Italia?

In Italia ci sono 3 rigassificatori, tutti funzionanti. Il più “antico” è Panigaglia GNL, vicino a La Spezia, di proprietà di Snam attraverso la controllata GNL Italia e costruito tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta del secolo scorso. Ci sono poi Adriatic LNG, vicino a Rovigo, di proprietà del gruppo statunitense Exxon Mobil attraverso la controllata ExxonMobil Italiana Gas, in funzione dal 2009. E OLT- Offshore LNG Toscana, una FSRU – Floating Storage and Regassification Unit ancorata a 22km al largo di Livorno, anche questo controllato da Snam (49,7%) e entrato in funzione nel 2014, dopo anni di ritardi nella costruzione e costi schizzati alle stelle.

Due su tre dei rigassificatori italiani sono ampiamente sotto-utilizzati: nel 2021, Panigaglia GNL e OLT hanno funzionato al 26% della loro capacità.


Tabella: Gas importato dai Terminal GNL controllati da Snam – Fonte: Snam 2022

Capacità installataImport 2021Import 1° trimestre 2022
Panigaglia GNL / GNL Italia3,5 bcm all’anno1 bcm0,12 bcm
OLT – Offshore LNG Toscana3,75 bcm all’anno1,35 bcm0,9 bcm

Il terzo, Adriatic LNG di Rovigo, è l’unico ad avere funzionato al 92% della capacità nel 2021. A marzo il MiTE ha approvato l’aumento della capacità del terminal a 9 miliardi di mc l’anno, aprendo la strada a un aumento delle importazioni di gas dal Qatar.

Il Terminale “FSRU Toscana”, foto Avallav, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Tra i motivi del sottoutilizzo, ci sono principalmente i costi molto più alti del gas trasportato via mare. Come spiegavamo già in questo articolo, negli ultimi quindici anni sono stati costruiti in Europa decine di terminali GNL, quasi interamente con risorse pubbliche provenienti dai budget dei governi, della Commissione europea e delle istituzioni finanziarie pubbliche, tra cui la Banca europea degli investimenti (Bei) e le agenzie di credito all’esportazione (in Italia la Sace). Per giustificare l’impiego di fondi pubblici per questi impianti, la Commissione europea e le società proponenti sostenevano che avrebbero garantito la possibilità di acquistare gas sul mercato spot (a breve termine) e che quindi i prezzi della materia prima si sarebbero abbassati facilitando l’accesso in Europa di gas che proveniva anche da altri continenti. Come abbiamo visto nell’ultimo anno, è successo esattamente l’opposto: spinte speculative – mosse da soggetti finanziari e non – hanno portato a aumenti nel prezzo del gas a livello globale. Aumenti che in Asia sono arrivati, nel 2021, fino al 500%. In Europa, il gas importato via gasdotto e con contratti di lungo termine è rimasto di gran lunga più conveniente, mentre i fornitori di gas liquido hanno preferito orientarsi verso il mercato asiatico (invece che verso quello europeo), cercando appunto di massimizzare i profitti.

Un’altra delle narrazioni che avevano sostenuto la costruzione dei nuovi terminal GNL (compreso in Italia, il rigassificatore di Livorno, l’unica FSRU attualmente costruita) era che in questo modo avremmo potuto diversificare le fonti di importazione del gas, aprendo il mercato europeo a forniture diverse da quelle russe. In realtà, come scrivevamo sempre qui, la Russia ha guadagnato quasi da subito una quota importante anche delle importazioni di gas trasportato via mare.

Come segnalato da IEEFA in un recente studio, inoltre, è sempre più diffuso il fenomeno del trans-shipment per cui terminal GNL come quello di Zeebrugge in Belgio vengono utilizzati per ricevere e rivendere gas liquido ad altri terminal GNL (nello specifico, gas russo che poi Zeebrugge rivende ad altri terminal GNL rendendo più complesso tracciare l’origine del gas). Il tutto ovviamente con rincari ulteriori sul prezzo, allungando la filiera del gas trasportato via nave, e le sue emissioni di metano in atmosfera, accelerando i cambiamenti climatici.

3) Se si dice addio al gas russo (40% import) dovremo puntare molto sul GNL? Da dove arriverà e quando?

Il primo Paese con cui l’Italia e gli altri paesi dell’UE si sono affrettati a negoziare nuove importazioni di gas liquido sono gli Stati Uniti. Da quando è stata lanciata una campagna di sostegno governativo all’estrazione di gas attraverso la tecnica del fracking1, gli Stati Uniti puntano a diventare primo esportatore di gas liquido su scala globale. Come si legge nella tabella sotto, già nel 2021 gli Stati Uniti erano il primo fornitore di GNL del rigassificatore di Livorno (38%), seguiti da Nigeria (18%) e Algeria (13%). Lo scorso maggio, qualche giorno prima dell’approvazione del Decreto Energia che rilancia il GNL, il presidente del Consiglio Mario Draghi è volato proprio a Washington.

Anche la strategia europea RePower EU fa riferimento a un accordo per il rilancio delle esportazioni di GNL dagli Stati Uniti all’Unione europea: nel 2021, l’Ue ha ricevuto il 23% dell’export di GNL statunitense, ovvero circa 22 miliardi di metri cubi di gas liquido. L’obiettivo dell’Ue è aumentare le importazioni di gas liquido di almeno 15 miliardi di metri cubi nel 2022, e di 50 miliardi di metri cubi all’anno almeno fino al 2030, principalmente dagli Stati Uniti e in collaborazione con altri partner internazionali. Tra questi, Egitto e Israele, con cui l’Ue ha appena firmato un Memorandum of Understanding per l’importazione di gas liquido dall’Est Mediterraneo. Gli altri potenziali fornitori che la diplomazia italiana ha incontrato per discutere di nuove importazioni sono tutti paesi in cui l’Eni ha interessi a dir poco importanti. Non a caso proprio l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi ha accompagnato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani a incontrare i loro corrispettivi in Algeria, Egitto, Repubblica del Congo, Angola. Infine il Qatar, con cui Draghi ha rafforzato le relazioni già a marzo, e principale fornitore del terminal Adriatic LNG di Rovigo. Di questi, solo l’Algeria, e forse il Qatar, potrebbero aumentare nel breve termine le esportazioni di gas (via gasdotto Transmed o via nave con direzione Panigaglia GNL). Gli altri paesi sono tutti in procinto di costruire nuovi terminal per l’esportazione di gas liquido, ma ci vorranno anni prima che i lavori siano completati. Sempre al netto di problemi tecnici e conflitti nei territori interessati, alimentati proprio dal business del gas.

In particolare, l’est del Mediterraneo è già un’area dove le esplorazioni di gas in mare stanno già mettendo in crisi i fragili equilibri geopolitici. E le tensioni non potranno che aumentare nei prossimi anni: parliamo di uno dei bacini di idrocarburi tra i più grandi ancora da esplorare, in cui ad oggi sono stati rinvenuti 1,425 miliardi di metri cubi (BCM), che hanno alterato i già fragili equilibri geopolitici dell’area, rinverdendo il conflitto Grecia-Cipro-Turchia, creando problemi anche sull’asse Ankara-Tel Aviv-Cairo, come se la lezione Russia Ucraina non fosse servita da monito.

L’Italia importa gas dal Qatar per 6,5 miliardi di metri cubi (bcm) l’anno con un contratto a lungo termine sottoscritto da Edison. Una quota poco maggiore del 10% del totale delle importazioni di gas dall’estero e che, a seguito delle già citate visite istituzionali nel Paese del Golfo lo scorso marzo, sembra destinata ad aumentare.


Tabella: Da dove viene il gas liquido importato in Italia nel 2021? (Fonte: Snam 2022)

20211° trimestre 2022
Panigaglia GNL/ GNL ItaliaAlgeriaAlgeria
OLT – Offshore LNG ToscanaUS (38%), Nigeria (18%), Algeria (13%), Trinidad (13%), Qatar (6%), Egitto (6%) e Reload EU (6%)US (60%), Guinea (20%), Egitto (10%), Nigeria (10%)

4) Quanto ci costerà la corsa al GNL?

Come abbiamo visto sopra, la filiera del GNL, il gas trasportato via nave, è molto più lunga di quello trasportato via tubo. Quindi i costi di produzione e trasporto, ma anche i costi ambientali e climatici, sono più alti. Nel caso il gas sia estratto con il fracking, questi aumentano ancora. Ma, come sappiamo, i governi possono intervenire con diversi tipi di sussidi “nascosti” all’industria fossile per contenere i costi di produzione, remunerare gli investimenti per le infrastrutture, calmierare i prezzi pagati dai consumatori finali, facilitare approcci creativi alla riduzione delle emissioni (ad esempio, l’offsetting e il “net zero”2). Quindi quanto ci costerà davvero la corsa al GNL dipende da molti fattori, incluso da come i governi e la Commissione europea sosterranno materialmente questa scelta folle dal punto di vista sociale, ambientale e climatico. Ma in generale quando si parla di costi, la tendenza è di guardare al prezzo del gas sul mercato, evitando di guardare alle forme di sussidio pubblico, più o meno nascoste, alla sua filiera.

Secondo un’inchiesta de Il Sole 24 Ore, a dicembre 2021 quando i prezzi del gas erano già alti, ma ancora non così alti come nei primi mesi della guerra, il GNL a stelle e strisce costava fino al 50% in più di quello russo. A patto che il governo italiano riesca a firmare dei contratti pluriennali di importazione via nave a buon prezzo, per calmierare i rialzi futuri del gas sul mercato spot, parliamo di forniture che saranno stabilmente ai prezzi di questi ultimi mesi, se non a prezzi più alti. Questo, come abbiamo visto, avrà un impatto diretto sui prezzi dell’energia offerti ai consumatori finali, ma anche sull’inflazione come stiamo già vedendo in queste settimane.

Tornando al tema dei sussidi, come definito nel Dpcm Energia di maggio, i nuovi terminal FSRU che il governo italiano ha deciso di costruire, commissionandoli a Snam, verranno realizzati secondo le regole del mercato regolamentato: saranno quindi infrastrutture che Snam viene chiamata a costruire dal governo italiano, che garantirà la remunerazione dell’investimento a Snam in quanto infrastrutture “strategiche”.

Il rischio dell’investimento per Snam sarà così praticamente nullo, e potrà garantire dividendi ai propri azionisti nonostante si tratti di infrastrutture per il trasporto e l’importazione di gas costruite “fuori tempo massimo”, che vincoleranno il nostro paese e la nostra economia all’uso del gas per i prossimi decenni, mettendo a rischio gli obiettivi di decarbonizzazione definiti dall’Ue prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Non da ultimo il pacchetto Fit for 55, presentato dalla Commissione europea nel 2021, e di recente approvato dal Parlamento europeo.

5) Chi ci guadagna davvero?

Una partita a perdere, insomma, in cui Snam non rischia nulla, ma noi tutte e tutti rischiamo nella “migliore” delle ipotesi – ovvero che Snam riesca a trovare le FSRU e le navi gasiere, a iniziare i lavori per riadattarle, e che il governo si assicuri forniture di gas “insanguinato” dai governi autoritari visitati negli ultimi mesi – di trovarci il prossimo inverno a non poter pagare bollette decisamente troppo alte. Oppure ancora, di vedere mettere in atto altre misure tremendamente regressive, come il bonus benzina, pagato dai datori di lavoro (senza distinzione tra imprese familiari o corporations) ai propri dipendenti (senza distinzione per fasce di reddito). Un bonus orientato solo a chi usa la macchina quindi, con uno sgravio fiscale al datore di lavoro da parte dello Stato. In tempi di cambiamenti climatici, povertà energetica e ingiustizia sociale crescente, non poteva esserci esempio più calzante di come le risorse pubbliche sono orientate solamente a una parte minoritaria della popolazione. La narrazione sull’emergenza e la necessità di trovare subito alternative alle forniture di gas dalla Russia ha così normalizzato una scelta tutt’altro che obbligata, facendoci credere che puntare sul GNL, costruire ben 4 nuove FSRU nei prossimi anni (due sarebbero in Sardegna) e dare luce verde a Eni per espandere ulteriormente le esplorazioni e estrazioni di gas in Mozambico, in Egitto, a Cipro, in Algeria, in Repubblica del Congo siano passi necessari e indiscutibili. Eni ne esce gloriosa salvatrice del destino energetico del nostro Paese, rafforzando nell’immaginario collettivo l’idea che il gas estratto sia gas che utilizzeremo noi, e dimenticando ancora una volta che non sarà così. Snam continuerà il suo progetto di usare il gas per la (non) transizione energetica, massimizzando i profitti, distribuendo lauti dividendi ai suoi azionisti e riducendo al minimo i rischi. Anche per investimenti che sono delle vere e proprie bombe climatiche, con conseguenze ambientali e sociali assolutamente sottostimate. Noi tutte e tutti pagheremo il costo di questa scelta.


Note

1 Il fracking o fratturazione idraulica dei terreni è una tecnica che viene utilizzata per l’estrazione del gas di scisto con l’ausilio di acqua e sostanze chimiche. La grossa potenza del getto dell’acqua, assieme a soluzioni chimiche, permette la frattura di strati di sottosuolo e la separazione del gas fossile dalle rocce di scisto in cui è imprigionato. La tecnica crea grossi danni alle falde acquifere e micro-scosse telluriche, e diffuse proteste da parte delle comunità direttamente colpite ma anche dal movimento per la giustizia climatica e sociale statunitense e globale.

2 Per capire come Eni utilizza la narrazione su net-zero per continuare con il business as usual: https://www.recommon.org/cosa-si-nasconde-dietro-interesse-eni-per-le-foreste/