Pomeriggi perduti, Kolibris edizioni, 2019

// Era bella, sì / era bella la mia poesia / e non la ricordo. / (da Onirica, pag. 75)

La ricercata poetica di Michele Nigro esula da una qualunque omologazione, uguale solo a sé stessa è inscritta nella latitanza dell’ovvio – svincolata dalle gabbie modaiole o artificiose – in cui i dettagli diventano espanso interiore di solida grammatura intellettuale sorretta da un’interiorità potente e insieme disarmante, sofferente ma pronta a resistere, graffiante a tratti, significante di un’anamnesi esistenziale che passa dalle strade del quotidiano fino ad “ascendere per discendere” nell’animo umano.

Tra le centootto pagine del volume vi è la commistione degli elementi esperienziali umani e la mimesi elettiva, rigenerante, indispensabile al poeta che ne ha assorbito il carico e avverte il gemito fratturale del bacino emotivo:

Ora che so di questa
eredità di parole sparse
più dolce m’appare
all’orizzonte la morte
che non attendo.

Non temo l’oblio della carne,
compagno di strada
mi è il verso forte e ignoto
ai salotti laureati
nato da quel vivere
che per altri vita non è.

(L’eredità, pag. 41)

Pomeriggi perduti è la silloge edita da Kolibris nel 2019 ma la datazione è un optional irrilevante per quanto l’Autore sia riuscito a imprimere una dimensione atemporale ai luoghi e ai suoi visitatori, seppure spesso circoscritti, stanziali per dare una forma al calco.
Si concretizza così, in immagini antropiche – metaforiche senza eccessi, ma rivelatorie abbastanza – l’andare umano, come in quelle “processioni di provincia” con una mappatura geografica precisa ma sostenuta da elementi naturali di comune approdo: “Istanbul a mezzanotte”, “Palermo dal mare”, “Padova alle 5:30” o evocativacon le “nere rocce salate” nelle Cinque Terre di G. G. Byron, l’ebbrezza vitale di Teomondo Scrofalo o, di contro, un agognato Epitaffio per E. Lee Masters  e “l’irrisolta” esistenza di G. G. Màrquez.

Osservare le orme lasciate, guardar(si) indietro – fuori/dentro – da protagonista o acuto osservatore (mai da comparsa), senza preconcetti sul domani, allertato però dal vissuto in cui il rimpianto è soppiantato dalla vividezza del ricordo addomesticato dal tempo. Perché ieri è già stato ed è possibile affrontarlo, tirarne onestamente le somme, una sorta di schedario per non dimenticare sé stessi.
// Siamo tutto quello / che viviamo, / e la carne / in silenzio / lo sa. / (Palestra di vita, pag. 72)

Il titolo della raccolta è sintomatico, è di per sé un bagaglio vintage in cui gli abiti sono stati custoditi, ripiegati con cura per non stropicciarli, e in cui contenitore e contenuto divengono vasi comunicanti da cui M. Nigro attinge dati esperienziali tramutati in liriche vitali, omettendo ogni fronzolo che possa defocalizzare la potenza del verso, asciutto, esaustivo anche quando srotola brevi andanti narrativi dal solido impianto compositivo.
Il “pomeriggio” è successivo al mezzogiorno e antecedente al tramonto, è la via di mezzo, fuga o salvezza ma un passaggio obbligato tra chiaroscuri per affrontare le ombre della notte. “Perduto” è invece tutto ciò che più non ci appartiene, per inevitabilità – panta rei – od omissione – mea culpa.
E se nella scelta lessicale l’Autore ha preferito la forma debole del participio, “perduti” piuttosto che quella forte “persi”, sarà perché “nulla si distrugge ma tutto si trasforma” continuando ad appartenerci, o forse per concederci un’altra opportunità al che il passato non sia stato vano ma calcifichi l’ossatura per affrontare il post meridiem.

“Perduto è tutto il tempo che in amare non si spende” (Torquato Tasso – Dramma pastorale)

E in Pomeriggi perduti l’amore è profuso nelle sue tante sembianze – presenza/ mancanza / latitanza / perdita – seppure mai apertamente citato ma dichiarato in forma intima ed elaborata, sostenuto da figure retoriche e parabole sentimentali, con autonomia e compattezza sintattica a cementare sintagmi pervasivi e incisivi. Genuino nel decoro espositivo in cui non vi è nulla di querulo o lamentoso tra i versi pronubi di emotività, intatti, senza ammaccature sviolinanti o stonature discordanti. Perché ciò che si è amato non si dimentica, si preserva, si tramanda alla memoria (“non è perso ma perduto”):
// Le mani stanche di mia madre / che curavano i lembi / di famiglie ormai disperse / non lavorano più d’ago / per un domani incerto. / Nuove cuciture / su stoffe consunte / come passaggi d’epoca / segnati da assenze. /
(Opere sparse nel tempo, pag. 52)
E ancora amore per la vita, quella che si srotola tra le strade e le voci dei mercati o al Caffè degli albanesi, o quella che si ingurgita a litri e si rigurgita nei club privè, o che lasciamo andar via:
I giovani baci rubati / nel museo della follia // –  // La folle folla in movimento // della città che guariva /
(Evocazioni, pag. 31)
o la vita che appartiene alla morte, declamata in versi di una bellezza e intensità sconvolgente, pensieri che disintegrano anche la vacuità del presente, in cui la redenzione giunge da un semplice sorriso:
// Non ci importerà più di niente / perché niente saremo. / Forse vivi, forse no / in ogni caso non lo scopriremo. // Finalmente / sorridendo, senza sapere come / ci dimenticheremo / sui marciapiedi dell’universo.
(Il momento perfetto, pag. 37)
E ancora l’amore per la vita offesa e bistrattata dal vivere di apparenze: // C’è gente che è vestita bene / solo da morta, / e allora lei morì… /
o la vita strappata all’onestà della morte perché la morte ci abita da sempre, non ci depriva di nulla – “l’amor fati” nietzscheano  – ma non si può morire “ammazzati”, così come in quelle pagine del libro cadute in terra un po’ per caso o come Neruda assassinato (Spade cilene, pag. 43).
“Ammazzare” è profanare la sacralità della vita e in questa silloge la spiritualità aleggia tra i versi crudi, amari, disillusi, provocatori, mimetizzata non abbastanza da non poter riconoscere il sacro e il profano a confronto, condizioni tra cui si barcamena l’umanità e su cui i versi del nostro Autore non si ergono a giudice ma a testimonianza del processo imprescindibile.
Dum vivimus, vivamus.

Una evidente poetica matura, adulta – dal magma emotivo il cui ribollire provoca smottamenti alle coscienze – una pŏēsis contemporanea forte dell’anarchia del pensiero critico, sorretta dai tratti somatici di vaste conoscenze letterarie in cui la parola ha l’esattezza del bisturi, nessuno sviamento o inutilità linguistica, con la scelta del lemma naturalmente accurata, adusa alla ricercatezza endogena piuttosto che a stilemi pirotecnici.
// Se lesiono / marmi barocchi / riscopro la fede / nell’invisibile./
(Informosfera, pag. 86)

Pomeriggi perduti è mancanza esistenziale che ancora può essere colmata: “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno? Di che?” (M. Luzi).
È quel varco aperto tra il recinto di filo spinato, un passaggio in cui solo l’uomo, individuo, può essere artefice della propria liberazione.
Ma lo sfinimento incalza, la stanchezza del troppo, sovrabbondante nulla è fisiologica e il Nostro cerca riparo dalla psicosi, agognando l’inverno:
// che zittisce / come severo maestro / i dolori infreddoliti del mondo. /
Il gelo, il freddo, citati spesso nella presente raccolta e il timore, lecito, che nulla possa cambiare se: “quel riconoscersi dolceamaro sia stata solo una tregua.”

Echoes
(occupiamo lo spazio dei morti)

Persistono echi
rianimati da memorie
di vissute gesta,
vecchie mura impregnate
di lontane esistenze
non seguite da storie scritte
chitarre scordate
vapori di cucina
le risa avvinate.

Polvere e ossa di avi
nitide gioventù scomparse
fotografia sulle scale del tempo
da creatori di attimi,
attraversano ancora
con sbiadite forze
i movimenti attuali.

Ombre scivolano
leggere e bambine
sui passamano tarlati,
al di là delle datate lapidi
dove siete tutti?

 
Maria Teresa Infante
24 agosto 2022

Michele Nigro nasce nel 1971 in provincia di Napoli, vive a Battipaglia (SA) dal 1978. Si diletta nella scrittura di racconti, poesie, brevi saggi, articoli per giornali e riviste. Ha diretto la rivista letteraria Nugae – scritti autografi fino al 2009. In passato ha partecipato a numerosi concorsi letterari ed è presente con suoi scritti in antologie e periodici. È del 2016 la sua prima raccolta poetica – che ama definire “raccolta di formazione” – intitolata Nessuno nasce pulito (edizioni nugae 2.0). Ha pubblicato Esperimenti, raccolta di racconti; il mini-saggio La bistecca di Matrix; nel 2013 la prima edizione del racconto lungo Call Center, nel 2018 la seconda edizione Call Center – reloaded e la raccolta Poesie minori. Pensieri minimi.
Nel 2019, per i tipi delle Edizioni Kolibris pubblica Pomeriggi perduti e nel 2020 il volume 2 della raccolta Poesie minori. Pensieri minimi.