La più antica tradizione ellenica raffigura il poeta come un essere soprannaturale, in stretto rapporto con la divinità che lo ispira. Tra le genti antiche la poesia fu ricchezza d’immaginazione e canto, e ritmo, e attraeva, e affascinava, e commuoveva, poiché eccitava nello stesso momento la fantasia ed il sentimento. Ed i poeti apparivano circonfusi di un’aureola di sacralità. Per gli antichi la poesia era dono divino ed il vate era profeta-poeta. Egli parlava perché riceveva l’ispirazione, come se una potenza sovrumana lo insufflasse, secondo l’opinione, anzi la convinzione, diffusa di quei tempi. Pertanto, questo termine di uso corrente, “ispirazione” , richiama alla memoria quelle epoche remote in cui si credeva che il poeta ottenesse la sua facoltà poetica da una divinità che gliela infondeva. La poesia antica nasceva dal medesimo stupito fantasticare di un pensiero primitivo e ingenuo, che si lasciava avvincere dalla meraviglia davanti ad una natura incomprensibile e a tutti quei fenomeni, apparentemente inspiegabili, che potevano atterrire o riempire di estatica ammirazione. Così anche per Democrito la poesia è essenzialmente ispirazione. Dice infatti: “tutto ciò che il poeta scrive con entusiasmo e divina ispirazione è certamente molto bello”. Parlando di Omero dice che “ egli poté comporre poemi così magnifici e vari, perché aveva sortito una natura ispirata”.
In latino poesia si dice “Carmen” proprio perché veniva cantata accompagnandosi con degli strumenti nelle funzioni religiose o durante i banchetti.
Questi dieci versi dell’Odissea ci presentano un banchetto. In questo momento è Ulisse che si rivolge ad Alcinoo, re dei Feaci, e gli dice che questo è per lui il momento più bello, il momento in cui gli sembra di raggiungere la felicità: cioè ora che si è riuniti in un convito mentre il popolo è in pace e con il vino e con il canto di un aedo ci si ricrea lo spirito che, non più legato alla preoccupazione del sostentamento del corpo, può dedicarsi ad altro. Il vino e la musica dell’aedo hanno qui un significato quasi simbolico, di elevazione spirituale, appunto, dell’uomo. La poesia cantata dall’aedo assume una connotazione quasi soprannaturale attraverso le parole di Ulisse: “simile nella voce agl’immortali”

NAPOLI

A lui rispose il paziente Ulisse:
“Possente Alcinoo, fra i mortali insigne,
cosa bella è ascoltare un gran cantore,
simile, nella voce, agl’immortali;
non v’è, per me, più amabile diletto
d’allor che tutto il popolo s’allieta
e i convitati, nella sala assisi
un presso all’altro, ascoltano l’aedo
e le mense si stendono dinanzi
ben ricolme di pani e di vivande
e il coppiere dall’urne attinge il vino
e lo viene mescendo entro le coppe:
non v’è, per me, più amabile diletto”.

*Ecco che nell’antica Grecia tutto assume un altro significato rispetto ai tempi medioevali. La poesia accompagnava il cibo mettendo pace e gioia negli animi. La ricchezza del banchetto e la melodia dei versi erano un mezzo per elevare lo spirito, non certo un peccato da condannare.