Il 26 settembre 1800 la principessa ereditaria Maria Clementina diede alla luce un erede al trono. Quando la mattina seguente il re venne a far visita al bambino, gli chiese, invece delle tradizionali “tre grazie” a cui aveva diritto, la vita della sfortunata Luisa Sanfelice. La richiesta era scritta su un pezzo di carta posto tra le fasce del bambino, così che il re potesse vederlo. Mentre il sovrano teneva in braccio il bambino, lodandone la bellezza e il vigore vide il foglio.
Il suo viso si rabbuiò, gettò il neonato sul letto urlando : “Qualsiasi cosa tranne questo” e lasciò rabbiosamente la stanza.

Il cuore di Ferdinando era indurito dall’odio e Maria Clementina fu l’unica che cercò di salvare dalla forca un “criminale di Stato” così temibile!

In giorno seguente la stessa nave che riportava in catene Luisa Sanfelice per andare incontro al suo inesorabile destino, recava a Napoli anche la notizia della nascita dell’erede e l’ordine di celebrarla con una settimana di festeggiamenti pubblici e luminarie. Ma i napoletani, che erano, e sono, sempre pronti a gioire, rimasero inorriditi dalla notizia che dopo quasi un anno dall’emanazione della sentenza, questa doveva essere effettivamente eseguita, nonostante l’indulto del 30 maggio che a lei, purtroppo, non venne applicato perché già condannata e con una pena solo momentaneamente sospesa.

“Tutti avevano compassione di lei”, si legge un manoscritto dell’epoca, “considerando le sue circostanze e la sua morte, per così dire, a sangue freddo”.
“Probabilmente le due esecuzioni che fecero più impressione furono la prima e l’ultima: quella di Caracciolo e quella di Luisa Sanfelice; e per la stessa ragione, per quell’elemento di fredda vendetta personale evidente in entrambi, e per il contrasto netto tra il carattere ben noto delle vittime e il loro destino, così chiaramente immeritato. “
(come scrisse Constance H D Giglioli)

Mentre altre persone coinvolte nella congiura, compreso quel Ferri che Luisa aveva voluto salvare condannando se stessa, erano state semplicemente esiliate.
l’11 settembre 1800 la Sanfelice fu condotta al patibolo. Venne giustiziata nella Piazza del Mercato in modo veramente brutale.
Issata sul patibolo dove l’aspettava il boia, offrì al sacerdote che l’accompagnava il suo gruzzolo di denaro dicendogli: “Non ho altro, ma può servire ai vostri poveri” e poi gli chiese: “Si soffre molto, padre, a farsi tagliare la testa?”

Mai domanda fu più tragica. Proprio mentre la scure si stava abbattendo sul suo collo, un soldato lasciò sfuggire accidentalmente un colpo di fucile che spaventò il boia. Questi lasciò cadere l’ascia che non colpì il bersaglio ma fracassò una spalla.
Provò altre due volte, senza riuscire a ucciderla. La folla a questa scena agghiacciante iniziò a rumoreggiare, mentre Luisa, ancora viva, si alzò urlando e corse. con la testa penzolante, a cercar riparo tra la gente. Il boia la raggiunse e la finì tagliandole la gola con un coltello. Aveva solo 36 anni.
Luisa è generalmente considerata la vittima innocente delle circostanze, quindi è diventata una figura leggendaria ampiamente rappresentata nella cultura popolare. Per esempio, lo scrittore francese Alexandre Dumas raccontò la sua storia nel suo romanzo “La San Felice” nel 1864.

Nel dipinto di Gioacchino TomaLuisa Sanfelice in carcere”, l’eroina è rappresentata in carcere in attesa della sentenza voluta dai Borboni nonostante affermi di essere incinta, mentre sta preparando un vestito per quel bambino che deve nascere.

A tal proposito, Atto Vannucci, storico, patriota e politico italiano, nella sua opera “I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848” parlò della gravidanza della Sanfelice e ne offrì una versione diversa. Secondo lui la donna era realmente incinta, fatto confermato anche dai medici di Palermo. Per cui “la Sanfelice fu chiusa in prigione a Palermo per aspettare il parto , e dopo quello salire al patibolo”. E alla fine il triste momento giunse: triste: diede alla luce un bambino e poi “la misera Sanfelice, mal sana, mandata in Napoli, ebbe il capo -reciso dal carnefice nella piazza infame del mercato, quando già per il perdono del 30 maggio , erano quei supplizi disusati”.

La leggenda narra che ogni anno nella notte tra il 10 e l’11 settembre il suo fantasma si aggiri tra Piazza del Mercato e le viuzze circostanti. Alcuni descrivono l’apparizione sanguinante con la testa penzolante e un’espressione di orrore sul volto, mentre altri come una bellissima donna alla ricerca del suo amato Andrea, l’unico che non l’avrebbe mai tradita consegnandola nelle mani dei suoi carnefici.

continua

Immagine: “Luisa Sanfelice in carcere” Gioacchino Toma, 1875