Moretti & Vitali Editore – pp 168 – aprile 2023
€ 14,00



Attraverso un uso lavoratissimo e sorvegliato -nonostante l’intimo fuoco emozionale- della parola poetica, Raffaela Fazio, preferendo la complessità e il metodo della perenne interrogazione, rifiuta la scontata prassi cognitiva dell’oppositività, per esplorare i legami fra il visibile e l’invisibile, la gioia e il dolore, la concretezza dei dati reali e l’immaginazione al di là dei recinti definitori.

La ricerca poetico-filosofica accade, oltre che nei territori dell’esperieza autobiografica e del proprio teatro psichico, in quelli della letteratura, dell’arte, e del cinema, della scienza, ampiamente frequentati da simboli, ipotesi, deliri e deragliamenti del linguaggio, da immagini liminari fra il regno delle cose oggettive e quello delle cose sognate, strumenti tecnici, come l’analogia o i match cuts. Come a dire che, se la realtà (Musatti, esergo, III sezione) “te la sei fatta tu stessa”, alla sua costruzione e/o visione contribuisce l’accumulo dei dati culturali, così che qualsiasi oggetto o esperienza o percezione sensoriale sono, nel momento stesso in cui vengono raffigurati, già trasfigurati.

La silloge si sviluppa secondo una trama di echi e corrispondenze, che rivelano come la parola poetica sia concepita dell’autrice come metodo investigativo di raccolta di indizi e segnali, nel tentativo di imitare il flusso del pensiero che dal mondo interiore si proietta in quello esterno e viceversa tra rimbalzi semantici, flessibilità delle risposte e germinazioni inattese di segni e suoni che cucino insieme, per esempio, l’ipotesi del Worm hole (come luogo in cui lo spazio-tempo si ripiega su se stesso per espandersi nel futuro), la memoria individuale (concepita come una sorta di resurrezione testimoniata dalle parole che proiettano i ricordi nel tempo a venire) e la Storia, come si legge nel bellissimo testo (pag. 126) intitolato “Toledot”. Il termine, come si legge nelle note della stessa autrice, significa ‘generazioni’, non esistendo nella lingua ebraica un equivalente a ‘Storia’: “il popolo che veglia/ più di altri la memoria/ non ha una parola che racchiuda/ la storia del passato./ La coniuga al futuro/ ne dice il potere di dar vita”. È questo, in buona sostanza, l’approdo a cui perviene l’autrice: la fede nella perennità della vita, nonostante non si conosca il vuoto, il nulla, il non-luogo, nonostante la trafittura della nostalgia per chi è stato sottratto ai sensi insieme alla consapevolezza che è il desiderio a spostare i viventi sulla linea del tempo, determinandoli a vivere – e non è vano ricordare che ‘desiderio’ trae il suo senso della distanza siderale, dal vuoto-.

Credo, infine, che sia il dolore il perno attorno a cui si sviluppa il poetare di Raffaela Fazio, in cerca del contravveleno, di un patto di alleanza fra gli estremi del nascere e del finire, alla maniera del poeta latino Lucrezio, o dell’imperatore Marco Aurelio (esergo, IV sezione), del filosofo Lucio Anneo Seneca (esergo, V sezione), cosa che evidenzia un atteggiamento di profonda moralità che a volte si coagula in asserzioni epigrammatiche, specialmente nei testi ispirati al diario di Etty Hillesum, che sembrano sintezzare la consegna ultima di un poetare di tale impatto etico-filosofico da trans-formarci, secondo il suo etimo che, tra l’altro, fa riferimento alla parte transpsichica dell’uomo.

Franca Alaimo
22 aprile 2023

Franca Alaimo, poeta, scrittrice, saggista