La regina Maria Carolina, che qualche anno prima aveva dichiarato che “avrebbe voluto essere Robespierre”, si servì dell’ amante di Nelson, Lady Hamilton, per indurlo a perpetrare la sua ignobile vendetta.
Nelson fece prigionieri i repubblicani sulla nave all’ancora nel golfo di Napoli, in attesa di ulteriori sviluppi.
All’inizio sembrava che Eleonora Pimentel fosse destinata all’esilio, ma non fu così
perché i suoi articoli anti-realisti e i suoi versi offensivi contro le abitudini sessuali della regina Maria Carolina le offrirono l’attesa occasione per vendicarsi.
Insieme ad alcuni compagni, le fu ordinato di sbarcare e venne trascinata nel carcere della Vicaria per poi essere condotta davanti al famigerato consigliere Speciale, il più intransigente dei giudici della Giunta. Del processo non si ha traccia, ma il 17 agosto venne pronunciata la sentenza di morte per impiccagione.

Facendo appello alla sua nobile nascita aveva chiesto invano di essere decapitata, ma questo privilegio non le fu concesso: un’impiccagione pubblica sarebbe stata esemplare per una nobildonna che aveva osato pronunciarsi contro la monarchia.

Il 20 agosto 1799 Eleonora Fonseca Pimentel, insieme ad altri sette rivoluzionari. fu portata nella Piazza del Mercato per essere giustiziata

L’impiccagione praticata all’epoca a Napoli, non era una morte facile. Le vittime salivano su una lunga scala, venivano bendati, le loro braccia venivano legate e il cappio sistemato intorno al collo. Poi il boia, seduto in cima alla forca le spingeva via mentre un aiutante, il tirapiedi, le afferrava per i piedi e si lasciava cadere nel vuoto con tutto il suo peso, dondolando lottando e combattendo con le vittime, mentre il boia, dalla cima saltava sulle spalle dei moribondi.

Una volta ammazzati i condannati, non restava quasi più nessuno a mantenere l’ordine nella piazza, per cui quei poveri cadaveri penzolanti venivano ferocemente oltraggiati.
L’ultimo desiderio di Eleonora fu solo una tazza di caffè. Era calma mentre andava al patibolo e aspettava il suo turno: proprio l’ultimo. Era vestita di scuro e le era persino stato negato un cordone con cui legare l’orlo della veste, perché non si aprisse mentre il suo corpo oscillava dalla forca.
Salì la scala senza vacillare, diede un mesto saluto ai cadaveri dei suoi amici che giacevano là sotto, alcuni dei quali avevano avuto la “fortuna” di essere decapitati.
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Le sue ultime parole furono in latino, una citazione dall’Eneide di Virgilio: “Forsan et haec olim meninisse juvabit”, che vuol dire: “Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”.

Mentre cadeva, le grida della gente divennero così forti da essere udite anche a un miglio di distanza, tante persone che si rallegrarono per la morte della donna che loro aveva lottato duramente per la parità anche dei loro diritti e si era adoperata per migliorare le loro condizioni.
Il suo corpo fu lasciato penzolare dal patibolo per un giorno, senza mutande, tra la folla sghignazzante, esposta a ogni scherzo e umiliazione.

Fu così che venne distrutta l’elegante e colta Eleonora Fonseca Pimentel.

Un certo Matthew Wade, le cui lettere a Lady Hamilton gettano una pessima luce sul carattere sia di lui che di lei, in quel periodo le scrisse con noncuranza: “La grande questione è, chi deve essere impiccato e chi decapitato, perché nessuno contesta che non meritino la morte, ma solo come prolungare il momento…” . Un’osservazione priva di ogni sensibilità, forse davvero consona all’animo di una dei paladini della crudeltà di Carolina.
Emma infatti, dopo l’esecuzione della patriota, si premurò di informare la Regina che Eleonora Fonseca Pimentel era stata “puntualmente impiccata al Mercato, la squallida piazza davanti alla Chiesa del Carmine, dopo aver bevuto una tazza di caffè e aver citato un verso di Orazio.”

Stendhal, nella sua opera “ Rome Naples et Florence” (1826), riportò una conversazione che ebbe sulla Rivoluzione napoletana e la sua macabra conclusione con un testimone oculare degli eventi, concludendo : “Ho avuto cura di sopprimere, nel corso di questa narrazione, tutti i dettagli più raccapriccianti. Robespierre, quali che siano i suoi difetti, ha almeno questo da dire a suo favore: non aveva una gran quantità di amici personali nel numero totale delle sue vittime. Chi è stato sacrificato, è stato sacrificato a un sistema, per quanto mal fondato; non per un meschino dispetto personale.”

Alla fine, cinquecento rivoluzionari furono esiliati, diverse migliaia imprigionati e 216 giustiziati. Pimentel fu l’unica donna impiccata per aver preso parte alla Repubblica Napoletana.

continua


Immagine: Giuseppe Boschetto – Eleonora Pimentel Fonseca condotta al patibolo -(https://www.cittametropolitana.na.it/quadri/-/asset_publisher/rI9MY1S0fvXU/content/fonseca-condotta-al-patibolo?_101_INSTANCE_rI9MY1S0fvXU_viewMode=view)