L’ESERCIZIO DELLA SATIRA ATTRAVERSO LA METRICA DELLA FILASTROCCA 

Ambarabà ciccì coccò,

tre megere e un gigolò, 

che studiavano le stelle, pantegane e pipistrelli.   

Esperte di rancore non risparmiavano neppure il Redentore. 

Dimmi befana, befanella, chi di noi è la più bella?

Sono io la megera del reame, sono astuta e pianto grane. 

Tu vivi tra magici dirupi, capobranco sei dei lupi.

Sei spietata, hai il cuore avaro, sei predatrice e somigli al lupo mannaro.  

L’altra, invece, ha parlantina e veleno nella vena,

di voi due è l’emissario e ha il sorriso della iena.

Aggressiva spesso sclera ad ogni sbalzo d’atmosfera.

Solo io ci devo stare in casa d’altri a comandare.  

C’è tanta neve e la funivia, buttali fuori o io vado via. 

Ti avevo detto sui banchi di scuola,  

la visibilità è per una volta sola!  

La pressione è salita alle stelle, 

sono irritate le sentinelle.

Disamore e violenza sono brutte matrici, 

scuole e madri allo sbando, pessime educatrici!    

Non accanitevi con le minacce in volo,

siate grate al Signore e baciate il suolo:

cattiveria e dispetti si trasformano in dolo.

Illustri megere fatevi una risata       

e risparmiate alle vittime la violenza privata. 

Strano davvero, votate al male

le ”menti grugnate” hanno le ore contate. 

La megera velata sembra un ministro, 

con tutti si mette alla stregua di Cristo.

”Paziente rimango sul mio divano,  

preparo l’esca che abbocchi all’amo: 

andrò ad acciuffarli fino a Milano.

Per tutti gli altri distendo l’arco

e con le frecce li aspetto al varco”. 

Spremute le amiche come un limone, cita Dio come testimone.

La parola è, e rimane, una liturgia, 

a chi il nostro operato disturba, può andare via.

Tutti viviamo sotto lo stesso tetto, 

per sole abbiamo una stella e nessun lucchetto.

Per il reo e per il vile,

venia chiediamo con una lezione di stile.   

Cara megera, la ”pressione” è come e scale, 

se tu le scendi, c’è chi le sale!   

  MARIA TERESA LIUZZO