A cura di Luciana Benotto

Finché i piedi ci portano” è un romanzo uscito nel 1955, da cui furono tratti ben due film. Narra la fuga di un soldato tedesco prigioniero di guerra in un gulag dove è stato condannato a scontare ai lavori forzati venticinque lunghi anni, lavorando in una miniera di piombo situata a Capo Dezhnev, il punto più orientale della Siberia sullo stretto di Bering.

Pur avendo fatto parte dell’esercito tedesco col grado di ufficiale, Clemens Forell, il protagonista, nel romanzo non rappresenta il “cattivo”, bensì lo sconfitto catturato dai russi, l’uomo inerme come tutti gli altri prigionieri del campo, di fronte alle crudeltà dei custodi, alla fame per le scarse e scadenti razioni, alle future conseguenze da avvelenamento da piombo, all’obbligo di vivere quasi sempre nella miniera, che per fortuna è calda rispetto al gelo esterno, sempre però col desiderio di rivedere la luce solare, così avara a quella latitudine.

La volontà di sopravvivere lo spinge a fuggire, perché vuole tornare nella sua poetica Baviera; la prima volta viene riacciuffato e pestato a sangue, la seconda invece ci riesce, e qui inizia la sua incredibile e faticosissima avventura che lo vedrà percorrere nell’arco di tre anni (dal 1945 al 1947, e non come vi è scritto nel romanzo nel ’52) ben 14.000 chilometri attraverso il gelo siberiano, la tundra, la taiga, il deserto della Mongolia, sino a giungere in Iran dove riuscirà a farsi rimpatriare. Nel viaggio incontrerà molteplici pericoli e dei poco di buono, ma anche gente che, pur timorosa delle terribili e ferree disposizioni staliniste, gli darà una mano a sopravvivere e a ritornare ma casa, dove giungerà fisicamente deperito.

Cornelius Rost

Quando lo scrittore Josef Martin Bauer seppe di questa fuga rocambolesca dall’editore di Monaco Franz Ehrenwith, dove Rost lavorava come tipografo e dal quale era stato redarguito per aver rovinato diverse copertine, tanto che per non essere licenziato gli aveva rivelato di essere divenuto daltonico a causa del piombo che era stato costretto ad estrarre dalla miniera del gulag, Bauer desiderò conoscerlo. Affascinato dalla vicenda lo scrittore la volle trascrivere, dando però al protagonista un nome e un grado militare di fantasia. Il vero Clemens Forell si chiamava in realtà Cornelius Rost, ed era un soldato semplice austriaco “arruolato” per via della guerra. Non volendo al ritorno far sapere al KGB che era riuscito a tornare in patria, tenne segreta la sua identità, cosa che fu scritta nel contratto con la casa editrice, perché viveva nel terrore di essere scoperto e ammazzato; e questa sua identità venne svelata solo vent’anni dopo la sua morte dal figlio dell’editore, che ne parlò col giornalista Arthur Dittlmann il quale fece delle ricerche per realizzare un documentario radiofonico nel quale giunse alla conclusione che ciò che aveva raccontato Rost non fosse vero.

Lo scrittore: Josef Martin Bauer

Dove sta la verità ci si chiese all’epoca? Qualunque essa sia, io l’ho trovato un romanzo dal quale non ci si riesce a staccare, e che ben narra la situazione dei gulag sovietici, un libro che insegna che i soprusi, le sevizie, la fame, la paura, la voglia di sopravvivere a ogni costo, sono uguali in tutti gli uomini, di qualsiasi nazionalità essi siano e in qualsiasi carcere orrendo essi si trovino. È un libro che dà speranza. Da leggere senza pregiudizi di parte.

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