La celebre invocazione di Romeo sotto il balcone di Giulietta è un tesoro della letteratura che rivela la maestria di William Shakespeare nel trasfigurare un semplice momento in un’epopea di immagini e sentimenti. “Silenzio! Quale luce irrompe da quella finestra lassù?” non è solo un’esclamazione di stupore, ma l’inizio di un soliloquio che incarna il fulcro romantico del dramma “Romeo e Giulietta”.

Romeo, sovrappassionato e desideroso, vede in Giulietta non solo un’amata ma anche un sole che eclissa la luna con la sua bellezza. Questa metafora si espande nel contrasto tra la luce vivida e l’ombra invidiosa, tra l’audacia della giovinezza e la pallida gelosia. Le stelle stesse sono ridotte a semplici scintille di fronte alla lucentezza degli occhi di Giulietta. La natura risponde a questa irradiazione di amore, e gli uccelli potrebbero cantare credendo che il sole abbia dissipato l’oscurità della notte.

out of; (c) Royal Shakespeare Company Collection; Supplied by The Public Catalogue Foundation

Shakespeare con questa poesia offre una riflessione sulla natura effimera eppure eterna dell’amore giovanile. Romeo, nel suo discorso ardente, dimostra quanto la presenza di Giulietta trasformi il suo mondo, dandogli un nuovo significato e un nuovo ordine cosmico. In poche righe, l’autore ci porta dalla solennità del silenzio all’esuberanza di un amore che non conosce confini.

Questa poesia si lascia apprezzare per il suo ritmo e per la ricchezza delle immagini; è un frammento di dialogo che riecheggia il desiderio universale di vicinanza e unione con l’essere amato. In essa, Shakespeare riesce a catturare l’essenza del romanticismo e l’intensità emotiva che ancora oggi colpisce e commuove.

“Silenzio! Quale luce irrompe da quella finestra lassù?” di William Shakespeare

Silenzio! Quale luce irrompe da quella finestra lassù?
È l’oriente, e Giulietta è il sole.

Sorgi, vivido sole, e uccidi l’invidiosa luna,
malata già e pallida di pena
perché tu, sua ancella, di tanto la superi in bellezza.
Non essere la sua ancella, poiché la luna è invidiosa.

Il suo manto di vestale è già di un verde smorto,
e soltanto i pazzi lo indossano. Gettalo via.
È la mia donna; oh, è il mio amore!
se soltanto sapesse di esserlo.
Parla, pure non dice nulla. Come accade?

Parlano i suoi occhi; le risponderò.
No, sono troppo audace; non parla a me;
ma due stelle tra le più lucenti del cielo,
dovendo assentarsi, implorano i suoi occhi
di scintillare nelle loro sfere fino a che non ritornino.

E se davvero i suoi occhi fossero in cielo, e le stelle nel suo viso?
Lo splendore del suo volto svilirebbe allora le stelle
come fa di una torcia la luce del giorno; i suoi occhi in cielo
fluirebbero per l’aereo spazio così luminosi
che gli uccelli canterebbero, credendo finita la notte.

Guarda come posa la guancia sulla mano!
Oh, fossi un guanto su quella mano
e potessi sfiorarle la guancia!

Poesia da:

libreriamo.it

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