La febbre delIO

GIULIA BOCCHIO RACCONTA “LA FEBBRE DELL’IO”

A cura di Pier Carlo Lava – Alessandria today

La Febbre dell’io ( Il Ponte Vecchio ) è il quarto libro dell’autrice Giulia Bocchio.

Come l’editore Roberto Casalini ha scritto di suo pugno nell’introduzione all’opera, La Febbre dell’io è un romanzo neo-gotico di assoluta modernità per quel che riguarda il panorama letterario italiano di oggi. Punto focale i personaggi, immersi in una storia assai inedita.

Giulia, ben trovata. Quali erano le tue intenzioni quando hai iniziato a scrivere questo libro?

Quando inizi a scrivere un romanzo ci sono due tipi di intenzioni: una strettamente narrativa, legata allo stile, alla forma, al messaggio estetico ed emozionale (anche morale se vogliamo)  che vuoi trasmettere al lettore. L’altra intenzione è legata ai personaggi che crei, sono loro il vero cuore di una storia. Almeno per me.

Non ho messo questi personaggi al servizio di una trama generale, non ho pensato a una grande storia nella quale farli annaspare, ho fatto in modo che fossero loro a generare quella storia. E così, attraverso le loro attitudini è nato questo romanzo, La Febbre dell’Io, ovvero la loro vicenda umana. Ma questo è solo un modo, se una persona è davvero creativa vale quasi tutto.

E il titolo com’è nato invece?

È nato abbastanza naturalmente, anzi a dire la verità è nato prima del romanzo stesso! Febbri era il titolo che avevo dato a un saggio scritto all’università, era un testo abbastanza farraginoso, la materia era sociologia. L’assunto allora era che la febbre, intesa come reazione e risposta di un organismo in seguito a processi endogeni o esogeni, fosse comunque una risposta positiva, segno di vita, di resistenza, di volontà. Il saggio l’ho poi abbandonato, ma parte del concetto invece l’ho conservato. Quella febbre è diventata la febbre dell’io profondo dei miei personaggi e perché no, dei miei lettori.

Il tuo romanzo è stato definito “un neo-gotico di grande modernità”. È così?

Non ho scritto questo romanzo pensando a un genere in particolare, è una caratteristica non voluta e che in realtà mi ha fatto notare chi lo ha letto. Di sicuro amo la letteratura gotica, che è fatta di romanticismo ed orrore, basti pensare a Il Monaco di Lewis. E da questo punto di vista i miei personaggi sono dei veri esperti, incarnano questi attributi! 

Mi piaceva quel continuo alternarsi di erotismo e terrore, lirismo e lascivia, ambientazioni notturne, quadri ambigui e personaggi portatori di caratteristiche anormali. Chi leggerà il romanzo avrà modo di conoscere un certo… Magenta.

Raccontaci allora di questi personaggi, tu hai pubblicato diverse foto sui social, immagini simboliche che sembrarono descriverli. Mi ha colpito Camillo, accostato alla figura di una Madonna che piange…

Sono tutte immagini evocative, che in qualche modo li descrivono, ma è pura simbologia. Camillo, che è un giovane uomo, viene immortalato in un’immagine sacra, femminile. Questo perché il personaggio è fatto di sguardi, i suoi occhi e le espressioni del suo viso raccontano un dolore, una pietà speciale ma anche un’anomalia, un comportamento strano. Le statue delle Madonne che piangono vivono esattamente questa scissione: miracolo o bluff? Ecco cosa intendo.

E invece in cosa si differenzia Augusto Bollani, il protagonista, dal classico cliché dell’“artista maledetto”?

Augusto Bollani è un personaggio che fa diventare “maledetti” gli altri. È un uomo che si serve del suo fascino in maniera macabra, non gli importano i luoghi comuni, né i soliti cliché. È un tizio abbastanza disturbato ma è lui a instillare in chi lo circonda l’ombra del dubbio, dell’ambiguo, come forma di seduzione.

È un artista, un pittore, che ridisegna la realtà non solo sulla tela, ma anche nelle logoranti relazioni umane che intrattiene. E ha un rapporto piuttosto malsano con l’arte stessa, che è spesso la sua grande giustificazione, ma non è un “maledetto” canonico, non fa per lui. Lo sono più coloro che lo circondano.

Quali sono gli scrittori che leggi con piacere oggi? O più in generali quelli che hanno avuto più effetto su di te e sulla tua formazione?

La mia formazione è legata ai classici italiani e francesi, li ho amati nella stessa maniera in cui li ho studiati. I classici, la filosofia e la poesia sono una solida base per chi ama scrivere, che tu lo voglia o no, sono “I grandi maestri”, per citare un autore che apprezzo molto, ovvero Thomas Bernhard.

Ma in generale leggo di tutto, solo per fare alcuni esempi di quanto è variegato il mio gusto: apprezzo l’opera di Sciascia, lucido e impegnato, poi il Medioevo di Barbero e Laura Mancinelli, Carver, Antonio Aniante che ahimè probabilmente non conosce nessuno, ho scritto la mia tesi di laurea triennale sulla sua opera, poi Nabokov con la sua Lolita, Balzac, E.A. Poe. Trovo interessante anche la biografia di Attila scritta da Giuseppe Zecchini.

Ma l’autore che più di tutti incarna il mio ideale di scrittura è senza dubbio David Foster Wallace, ho  letto praticamente tutta la sua produzione e lo trovo geniale: è un Émile Zola con la potenza di Dante e tutto il disperato virtuosismo di Paganini. Il suo racconto “John Billy” è una delle cose più folgoranti che abbia mai letto, così come “Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso” oppure “Questa è l’acqua”. Ma potrei continuare!

Un’ultima domanda: pubblicare ai tempi del Coronavirus, opportunità o azzardo?

Opportunità. Un libro è sempre un’opportunità. E questo può essere il periodo giusto per leggere, per dedicare più tempo a se stessi o a quel libro lasciato sullo scaffale da tempo. Certo, la distribuzione è rallentata ma internet è un buon aiuto e garantisce un acquisto alternativo alla libreria. Ma conto di poter organizzare presto una presentazione dal vivo!