Ovvero, le cronache di un venditore di sangue

Prima che la letteratura cinese sia posta all’Indice dei libri proibiti, il ché succederà tra non molto, vista l’aria che tira, mi sono messo alla ricerca dei giovani classici di quel Paese dalla cultura millenaria, e mi sono imbattuto in Cronache di un venditore di sangue, di Yu Hua.

È una storia di povertà e dignità, che sarebbe piaciuta a Pasolini. Una storia di persone senza storia, sulle quali gli avvenimenti cadono inattesi e gelati come la pioggia in inverno, mentre loro cercano semplicemente di sopravvivere.

Un Lui e una Lei qualsiasi, in un villaggio cinese qualsiasi, negli anni Quaranta del secolo scorso, si sposano. Non per amore romantico, come lo conosciamo noi, fatto di musica e dolci trepidazioni. Il loro è un matrimonio pratico. Si sposano perché hanno lo stesso nome di famiglia, Xu, e questo farà risparmiare loro tempo e soldi nelle pratiche burocratiche. E qui si vede già il primo afflato pasoliniano: l’amore passa, la fame resta.

Lui lavora in una fabbrica, guadagna praticamente niente e, quando la famiglia ha bisogno (e succede spesso) è costretto a fare una cosa moralmente riprovevole: si reca all’ospedale e vende il suo sangue. Perché ciò sarebbe riprovevole non è dato sapere, ma la morale funziona così: quello che da noi oggi è riprovevole, domani diventa alla moda, oppure, altrove nel mondo, è di uso comune. Non c’è una ragione. È così e basta!

Lei, prima di sposarsi, era conosciuta nel villaggio come la Vergine delle Frittelle, perché appunto friggeva e vendeva quelle stesse da una finestrella della casa paterna. Essendo vergine, era tenuta a coprirsi le gambe, quindi la finestrella un po’ alta veniva giusta alla bisogna. Proprio attraverso la finestrella i due si intravedono; i rispettivi genitori allora si parlano, ciascuno con una frittella in mano, e ciascuno attento alla propria convenienza, e il matrimonio è combinato.

Quindi Lei si dedica alla serena e quotidiana costruzione della famiglia perché, per dirla con Harold Kohn, le case felici sono costruite con mattoni di pazienza. Lei vorrebbe che Lui la smettesse con quel traffico di sangue all’ospedale, perché, gli dice, ci sono cose disdicevoli che non si fanno. Lei preferirebbe, per risparmiare, togliere ad ogni pasto un cucchiaino di riso prima di buttarlo in pentola. Non se ne accorgerebbe nessuno e, alla fine dell’anno, la famiglia avrebbe un patrimonio di riso messo da parte, da vendersi in caso di necessità.

Lui quindi abbandona il traffico di sangue per amore di lei. Intanto nascono tre figli, i quali, per la stessa ragione di risparmio citata prima, portano lo stesso nome: Felix, e, per distinguerli, li si cita per numero in ordine di nascita: Felix Uno; Felix Due e Felix Tre. Insomma, una semplice famiglia eterosessuale, quindi assolutamente fuori dagli schemi. Un semplice amore di popolo che si sviluppa nelle difficoltà, nella pazienza e nella solidarietà.

Un giorno arrivano i comunisti, che sono sopportati nel villaggio con paziente distacco, come una delle tante cose moleste che capitano nella vita: i temporali, le grandinate o i funerali. Senonché, i comunisti portano l’usanza delle denunce pubbliche fatte in maniera anonima attraverso i cosiddetti „Tazebao“, che erano, appunto, manifesti appesi di notte in cui, anonimamente, chiunque poteva denunciare chiunque di qualsiasi cosa. Succedeva anche da noi negli anni Settanta.

Infatti una mattina gli abitanti del villaggio trovano un Tazebao di denuncia contro di lei, la ex Vergine delle frittelle, ora signora Xu. Secondo l’autore anonimo, la signora Xu aveva avuto in passato una relazione extraconiugale.

Qualcosa era effettivamente avvenuto. C’era stato un fugace incontro con un vicino d casa, ma velocissimo, quasi all’insaputa di lei. Comunque, sì, c’era stato e, da quella eiaculazione precocissima, era nato, appunto, Felix Uno. Il marito, il signor Xu, ne era a conoscenza, ma, restando le cose in famiglia, problemi zero. Poi non s’era trattato di un vero e proprio tradimento; piuttosto di un’acrobazia erotica entrando e uscendo dal corridoio. Insomma, la cosa poteva rimanere tra le mura di casa e Felix Uno poteva crescere sereno insieme ai suoi fratelli.

Ora invece la cosa diventava pubblica e lì cominciavano i guai. Fattostà che, una sera, si presentano alla porta alcuni membri del Partito, con tanto di uniforme e foglio di arresto. La prendono e la legano in piazza, esposta al pubblico ludibrio, con un cartello appeso al collo con la scritta Adultera, così, come monito generale contro la prostituzione, che in realtà è cosa diversa dall’adulterio, ma vabbé, vaglielo a spiegare… Nessuno ha il permesso di darle da mangiare, così, per non farle patire la fame, oltre l’umiliazione, lui viene di notte con una ciotola di riso. Dentro ci sono pezzetti di carne, le dice imboccandola, ma sono nascosti, perché se qualcuno mi scopre posso sempre dire che era solo riso!

Intanto il tempo passa. Ma il peggio non è ancora arrivato. Il peggio arriva qualche anno dopo quando Felix Uno, ormai adolescente, un giorno torna a casa pettoruto e incamiciato con la divisa nuova del partito. La persona che amo di più al mondo è il presidente Mao, dice, poi a molta distanza amo mio padre. Mia madre non la amo perché è una prostituta.

Inutile descrivere il dolore dei suoi genitori. La signora Hu morirà di lì a poco per lo schianto del cuore, mentre Felix Uno se ne andrà di casa per seguire il partito. Ma qui le cose cambiano, perché anche Felix Uno si ammala gravemente e deve essere ricoverato all’ospedale di Shanghai, a quattrocento chilometri di distanza. Il partito però non paga le cure mediche e allora ecco che suo padre, il signor Xu, vedovo Xu, si mette in marcia, con la unica tunica sulle spalle e con gli unici sandali ai piedi, fermandosi ad ogni ospedale lungo la strada per vendere il sangue e pagare così le spese di suo figlio, membro del partito.

La storia finisce qui. Non si parla di soldi, di intrighi o di eredità. Non ci sono le grandi questioni etiche. Si tratta della storia semplice di un semplice amore paterno che non conosce risentimento o rancore.

Mauro Montanari, Ph. D.