AUTUNNO, di Vincenzo Cardarelli

recensione di Elvio Bombonato – Alessandria

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AUTUNNO    (1931)

Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d’agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti,
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest’autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.

TEMPO CHE MUTA

Come varia il colore
delle stagioni,
così gli umori e i pensieri degli uomini.
Tutto nel mondo è mutevole tempo.
Ed ecco, è già il pallido,
sepolcrale autunno,
quando pur ieri imperava
la rigogliosa quasi eterna estate.

Poeta delle stagioni e dei mesi, Cardarelli, come Pascoli, predilige l’autunno.        

Tranne la prima parola replicante il titolo, la lirica è divisa in due periodi sintattici, con ORA, quello in punta di verso, che segna anaforicamente il mutamento di prospettiva.

La prima parte infatti descrive l’autunno della natura, la seconda quello della vita umana. Ma la natura – “Già” –  è antropomorfica, umanizzata: “brivido”: per freddo in arrivo, ambiguità semantica; le dittologie “torrenziali e piangenti”; “nuda e triste”: spoglia e malinconica; “sole smarrito” ossimoro (poi Montale “sole freddoloso”).

Calchi leopardiani: “il lor tempo migliore”, “il tempo mio primo”, “lungamente”.  Il ritmo, lento e pacato, in virtù della sintassi piana e fluida, collabora al significato: la nostra vita, terminata la giovinezza, volge alla maturità,  rappresentata dall’autunno. Il tempo trascorre inesorabile verso l’inverno. La seconda poesia, successiva, sempre di Cardarelli, è la spiegazione della prima.

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