Una volta un sensitivo chiromante e cartomante gli aveva detto che sarebbe morto ascoltando la sua canzone preferita. Lui aveva riso abbondantemente e stoltamente, ma era giovane, aveva 20 anni e si credeva padrone del mondo o quantomeno della propria sorte. Erano passati trenta anni e adesso era un barbone. Era molto trasandato. Si lavava male e molto di rado. Era alcolizzato. Con le elemosina comprava il vino in cartone al supermercato. Stava tutto il giorno nei pressi della stazione. Aveva deciso di vivere in quella cittadina. Poteva mangiare alla Caritas. Quella cittadina era tranquilla e mai nessuno fino ad allora gli aveva fatto del male. Nessuno lo aveva mai importunato. Le forze dell’ordine lo avevano sempre aiutato. Fare il barbone era stata una sua scelta di vita. Era commerciante un tempo. Un piccolo commerciante. Aveva anche una ragazza con cui aveva litigato. Si erano lasciati di comune accordo. Erano incompatibili caratterialmente. Era stata quella delusione sentimentale il suo punto di non ritorno. Si era lasciato andare. Per gli abiti non c’era problema. Di abiti usati ce n’era a volontà. La gente li lasciava in una campana e più spesso fuori dalla campana verde di plastica per la raccolta dei rifiuti. Però quegli abiti spesso non venivano riciclati ma rubati da tante persone che ne avevano bisogno e lui era tra questi. Insomma in qualche modo riusciva a cavarsela. Ma poi rubare quando si aveva bisogno era un vero furto? Si lavava sempre alla meglio peggio nel bagno pubblico della stazione. Il problema era l’inverno. Rischiava di crepare dal freddo talvolta quando venivano le gelate, i picchi di freddo, le temperature sotto zero. 

Quella sera Marco era andato a prendere sotto casa la sua nuova ragazza Ilaria con la macchina nuova. La stava pagando a rate. L’aveva acquistata appena era stato assunto in una ferramenta. Ormai era indipendente economicamente, anche se continuava a vivere con sua madre, una vedova ancora piacente. Suo padre non l’aveva mai conosciuto. Era andato via poco dopo la sua nascita. Non sapeva esattamente cosa avesse preso dal padre o meno. Era arrivato a destinazione.  Era impaziente. Aveva suonato il clacson. Ilaria si faceva attendere. Era in ritardo e lui doveva pazientare. Arrivò dopo un quarto d’ora. Era tutta truccata. Era molto bella. Gli disse che doveva andare a prendere una coppia di amici, Giulio e Serena. C’era traffico. Era sabato sera e tutti venivano in quella cittadina di mare, tutti i residenti dei paesi limitrofi. Dopo mezz’ora erano tutti, tutti e quattro e decisero il da farsi. Stabilirono di andare al Mc Donald. Con dieci euro a testa cenarono. Dissero tra di loro che in fondo ora si mangiava bene anche nelle paninoteche e che le patatine fritte con la maionese erano davvero buone. Andarono sul lungomare, a quell’ora sovraffollato. Quindi si recarono sulla spiaggia libera. Si tolsero le scarpe e si misero a correre a perdifiato. Era sera. Sulla battigia trovarono il barbone. Decisero di divertirsi un poco con lui. Marco gli disse con tono sarcastico: “ehi, vecchio bastardo ubriacone. Ti tira ancora? Qui ci sono due belle signorine. Dimostralo. Fai vedere ciò che hai”. 

Il barbone rispose a tono: “non me ne importa più di queste cose. Il sesso è sopravvalutato. Pensaci tu alle signorine. Io ho altro da fare.”

“certo lo vedo. Tu devi ubriacarti. Ma perché non te ne vai in una grande città? Lì ci sono tanti barboni come te. Qui stiamo attenti al pubblico decoro.”

“la grande città corrompe gli animi. Qui posso fare una vita sana.”

“sei anche un filosofo di vita. Sei solo un brutto fallito di merda. Ora ti daremo una lezione.” 

Detto fatto. I due ragazzi iniziarono ad aggredirlo. Lo caricarono. Lo riempirono di botte. Il barbone cascò. Loro non si fermarono. Furono calci e pugni. I due ragazzi erano palestrati e erano esperti di arti marziali. Ebbero facilmente il sopravvento su quell’uomo esile e malandato. Un pestaggio in piena regola. L’uomo chiedeva perdono, supplicava di smettere, li pregava di farla finita con la violenza ma loro continuavano. Nel frattempo dal bar più vicino, a circa trecento metri, si udiva la radio a volume alto che trasmetteva la sua canzone preferita. La mattanza durò dieci minuti. Vero furore, vera violenza cieca! L’uomo giaceva esanime. Nessuno aveva sentito le urla di dolore. C’era un grande baccano. Era inverno e sulla battigia c’erano solo loro. Nessuno aveva visto. Nessuno aveva sentito. Non c’erano occhi ed orecchi indiscreti. Non c’erano telecamere. Erano in una botte di ferro. I ragazzi iniziarono a fuggire. Erano a quattrocento metri dalla macchina nuova fiammante. Andarono in discoteca a divertirsi come loro solito. Solo la mattina dopo leggendo il giornale Marco seppe che il barbone era morto. Una volta che sua madre ebbe letto il giornale scoppiò a piangere a dirotto. Qualche giorno dopo trovò il coraggio di dire a Marco che quel barbone era suo padre. Il ragazzo si chiese se di sua madre avrebbe potuto fidarsi, se si era accorta di qualcosa, se aveva intuito qualcosa. Solo allora si  ricordò di una vecchia tragedia vista in teatro qualche anno fa. Era stata la sua insegnante di italiano a portarli in teatro. Solo allora si ricordò di Edipo.