Il libro “Limonov” dello scrittore francese Emmanuel Carrère, specializzato in biografie e sceneggiature, figlio di Hélène Carrère d’Encausse, esperta di Storia russa, e deve proprio agli studi di sua madre, la sua passione per la Russia e, in questo caso, alla decisione di dedicare una biografia al discusso personaggio del libro in parola. Fu pubblicato in Francia nel 2011, e l’anno successivo in Italia nella traduzione di Francesco Bergamasco.

Eduard Limonov è lo pseudonimo di Eduard Veniaminovich Savenko, è nato nel ’43 nella regione di Novgorod, ma cresciuto in Ucraina, a Char’kov, dove ha “debuttato” con i suoi primi crimini e anche scritto le sue prime poesie considerate d’avanguardia, durante il regime di Breznev. Carrère ne ha scritto la biografia, autorizzata dallo stesso Libonov, personaggio amato o odiato dal popolo russo a seconda delle idee politiche che hai.

La sua storia è ben condensata proprio nelle prime pagine del libro di Carrère che riporto: “Limonov, (…), è stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare una carogna: io sospendo il giudizio. Comunque (…), ho pensato che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov , non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale”

Il libro si apre con l’arrivo di Carrère a Mosca per scrivere un articolo sulla morte di Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa nel 2006, avversaria dichiarata della politica di Putin. In quella occasione lo scrittore conobbe Limonov e gli chiese il permesso per scriverne la biografia. Che in realtà diventerà poi la storia della Russia dal termine della seconda guerra mondiale al 2006, con tutti gli sconvolgimenti che ci sono stati in un Paese dalle forti contraddizioni e che ancora oggi sta vivendo: da una parte la povertà più nera che fa rimpiangere il vecchio regime di Lenin, se non addirittura di Stalin (e di cui Limonov si fa propugnatore), dall’altra la nascita dei nuovi ricchi che sopportano Putin il quale cerca di mantenere gli equilibri adottando una politica da molti ritenuta di menzogne. Del resto è lo stesso Putin che viene citato da Carrère quando riporta le sue parole “Nessuno ha il diritto di dire a centocinquanta milioni di persone che settant’anni della loro vita , della vita dei loro genitori e dei loro nonni, che ciò che hanno creduto, per cui hanno lottato e si sono sacrificati, l’aria stessa che respiravano, nessuno ha il diritto di dire che tutto questo è stato una merda. Il comunismo ha fatto delle cose orribili, d’accordo, ma non era uguale al nazismo. L’equivalenza tra i due, che gli intellettuali occidentali danno ormai per scontata, è un’infamia. Il comunismo è stato qualcosa di grande, di eroico, di bello, qualcosa che gli dava fiducia. Il comunismo aveva in sé una parte di innocenza, e nel mondo spietato che è venuto dopo tutti lo associano confusamente alla propria infanzia, a ciò che commuove quando riaffiorano i ricordi dell’infanzia”

Eduard Limonov si definisce comunista ma in realtà identifica tale termine con un movimento da lui stesso creato e che si rivela essere in realtà molto vicino a quello dei naziskin. Personaggio “sopportato” dal regime di Putin perché continua ad avere degli estimatori, che però diventano sempre meno, tanto che i suoi libri oggi sono meno cercati nelle librerie e lui stesso scrive più volentieri sulle riviste gossippare, perché meglio remunerative. Ha fondato un movimento chiamato “Strategia 31” dal numero dell’articolo della Costituzione che garantisce il diritto di manifestare e ogni 31 del mese (per i mesi di 31 giorni) il suo gruppo si riunisce in una piazza di Mosca, circondata da poliziotti, per manifestare contro il regime.

Carrère segue molto affascinato le vicende del protagonista del suo libro, e questo si intravede fra le righe, malgrado lui ami dichiarare che non vuole esprimere giudizi. Il libro è diviso in due parti: quella in cui si narra di Eduard Limonov a New York e a Parigi, e l’altra che coincide con il suo ritorno in Russia.

A New York, dopo essere fuggito dall’allora Unione Sovietica, vive nella miseria, umili lavori in uno squallido hotel, esperienze sessuali sia etero che omo, risse e rapine. Carrère scrive che in quegli anni (1975 -1990) in USA i dissidenti sovietici erano considerati con i risaputi luoghi comuni: barbuti, malvestiti, che vivevano in appartamenti poco più che fatiscenti, colmi di libri, e che passavano le notti intere a parlare della salvezza del mondo. Tuttavia Eduard riesce a vivere una vita più decorosa, diventa guardiano della villa e cameriere di un miliardario che si compiace di fare il democratico, e che vive per buona parte dell’anno lontano da casa, con il risultato che Eduard , può godersi magione e cameriera, comincia a scrivere delle sue esperienze e della sua vita in generale, su nulla tacendo. Così quando ha la fortuna di incontrare Evtuscenko, altro grande poeta dissidente russo, pur non stimandolo, riesce a fargli leggere il suo libro “Edicka” che viene poi passato all’editore californiano più famoso della beat generation, Ferlinghetti, che ne rimane colpito. Ma ancora più colpito ne rimarrà il collega-editore francese Jean-Jacques Pauvert, già famoso per romanzi come “Histoire d’O”, che vorrà Eduard a Parigi e “Edicka” venne pubblicato con il titolo nuovo “ Il poeta russo preferisce i grandi negri”, dove, occorre dirlo?, la parte più succosa è rappresentata dall’uso che il protagonista faceva del suo deretano con negri occasionali. Dal 1980 Eduard rimane a Parigi fino al 1989, quando le cose in Russia sono cambiate e gli esuli ne potevano far ritorno. Tra nostalgia e voglia di fare cose nuove, il nostro ritorna a Crac’kov da cui era fuggito nel ’75. Torna con la fama del grande scrittore e i suoi libri vengono tutti pubblicati mantenendo i titoli originali, ma siccome la Russia per estensione e numero di abitanti non è la Francia, le tirature sono altissime, ma non bastano mai, perché i nuovi russi sono conquistati da queste letture un po’ punk, un po’ fuori da ogni regola, insomma nuove. Siamo nel momenti in cui tutto sembra possibile, specialmente se circola il denaro, e questo comincia a circolare e c’è una gran fame di novità e di cose insolite.

Ma Eduard non è uno che sta con “le mani in mano”, non dimentica la sua matrice poetico-politica, deve emergere di più, non può “campare di rendita”. E così, mentre la gente cominciava a godersi la libertà, lui sputava sentenze contro Gorbaciov, considerato un pupazzo che si preoccupava di rappresentare la Russia all’Estero come un Paese in grande ripresa e soprattutto non si parlava più di gulag e comunismo sovietico. Provata pena per il tipo di morte da lui giudicata “eroica” di Ceacescu e consorte in Romania, la meta di Edouard sono poi i Balcani, stringe amicizia con Milosevic in Serbia e con Karadzic in Bosnia e lo troviamo a bombardare Sarajevo.

Passa a Parigi, vive la travagliata storia d’amore con Natascia, una ninfomane che sparisce per giorni e quando torna a casa è lercia negli abiti e nel corpo, ubriaca e con addosso l’odore di tutti gli uomini con cui è stata. La sua malattia si chiama ninfomania ma Eduard ne è innamorato e l’aiuterà sempre fino al momento in cui, anni dopo, a Mosca, lei sparisce del tutto con un altro uomo.

Molte sono le donne che si accompagnano a lui, più lui invecchia, più sono giovani le sue amanti, anche minorenni. Dopo altre puntate tra i Balcani, torna a Mosca definitivamente e fonda il partito nazional-bolscevico che assume come bandiera il simbolo nazista con la croce uncinata sostituita dalla falce e il martello. Nel frattempo Gorbaciov è stato sostituto da El’cin che viene eletto per due volte. E’ famoso per il suo alcoolismo che lo mette in ridicolo specialmente all’estero. Non riesce a terminare il suo mandato a causa delle precarie condizioni di salute. Il suo posto viene preso da Putin che verrà eletto per due mandati di fila.

Eduard passa sempre di più all’estrema opposizione, fino ad agognare la formazione di un nuovo partito stalinista. Nel 2001 viene imprigionato a Lefortovo, uno delle carceri di massima sicurezza. Tutti i prigionieri sono completamente isolati gli uni dagli altri, vivono in una cella provvista di televisore, possono leggere e lui si guadagna il rispetto dei secondini perché non crea nessun problema e passa le giornate in letture impegnative. Quando dopo 14 mesi viene liberato, riprende la vita di prima. Anziano nel corpo ma non nello spirito, lo vediamo nel 2007 in compagnia di Carrère che ce lo descrive che sta ristrutturando una dacia russa, dove andrà a vivere con una moglie di trent’anni più giovane e un figlio di otto mesi. Alla domanda di Carrère se conosce l’Asia, risponde: “No, non la conosco, non ci sono mai stato. Ma già da bambino ho visto delle fotografie: quelle scattate da mia madre nel lungo viaggio durante il quale mio padre si è occupato di me con affetto maldestro – all’epoca i padri non avevano l’abitudine di occuparsi dei figli piccoli. Erano foto che mi angosciavano e mi facevano sognare. Rappresentavano per me l’assoluta lontananza”.

Di tutti i luoghi del mondo, continua Eduard, l”’Asia centrale è quella in cui si trova meglio. In città come Samarcanda o Barnaul. Città schiantate dal sole, polverose, lente, violente. Laggiù, all’ombra delle moschee, sono le alte mura merlate, ci sono dei mendicanti. Un sacco di mendicanti. Sono vecchi emaciati, con i volti cotti dal sole, senza denti, spesso senza occhi. Portano una tunica e un turbante anneriti dalla sporcizia, ai loro piedi è steso un pezzo di velluto, su cui aspettano che qualcuno getti qualche monetina, e quando qualche monetina cade non ringraziano. Non si sa quale sia stata la loro vita, ma si sa che finiranno nella fossa comune. Sono senza età, senza beni, ammesso che ne abbiano mai avuti – è già tanto se hanno ancora un nome. Hanno mollato tutti gli ormeggi. Sono dei relitti. Sono dei re.”

L’ultima volta in cui Carrère incontra Limonov è a Mosca nel 2009. La moglie lo ha lasciato dopo la nascita di un secondo figlio. Continua a organizzare una manifestazione di protesta l’ultimo giorno dei mesi di 31 giorni, durante le quali viene arrestato.

Aldilà di quelle che possono essere le idee politiche, il libro si fa apprezzare sia come saggio per le spiegazioni che uno scrittore occidentale offre sulla situazione social-politica di un paese contraddittorio come la Russia, sia come libro di narrativa per le varie vicende che narra in maniera pressoché romanzesca. Manca il processo di identificazione tra lettore e protagonista, che viene tratteggiato come figura non sempre positiva ma anzi contraddittoria, forse perché figlio genuino del suo paese d’origine. Ma questo può essere un bene perché spesso le identificazioni con i personaggi rischiano di affrontare l’opera non con occhio critico ma di parte.

Il libro è disponibile nel catalogo Adelphi, collana economica “Gli Adelphi”, pp. 356, € 13,00. (foto 1) Disponibile anche nella ristampa della prima emissione, collana “Fabula”, € 19,00 (foto 2)

(Carlo Tomeo)