Nel vasto orizzonte
del proprio percorso
tutto torna.
Alla sorgente di ciò
che accade si determina
l’assoluto nell’agire vero
e autentico dell’essere.
E l’anima è del suo ricordo
reminiscenza e impronta,
seme che evoca il passato
e i suoi turbamenti.
Ma quel ricordo si trattiene nel sogno
come certezza di accadimento
e, al di là del bene e del male,
come premonizione di un volere,
di un desiderio che si accosta
allo spasimo, alla proiezione di sé
e alla propensione verso l’altro.
Centro dell’universo è la reciprocità,
unica strada per connettere paralleli.
Tutto torna.
Anche quei vuoti
in cui tutto pare omogeneo e distante
e l’eleganza dei fatti
sembra dettata dalla giustizia universale.
Pure quei momenti di sconforto,
in cui senti un’elevato senso di fuga,
rimangono interrotti
dall’incoerenza delle azioni
e da un’indole che va
contro la giustizia delle cose
e contro quella predestinazione
che incombe sul capo.
Vi è una forza di obbligo
che rimane accostata all’umiltà
e all’accontentarsi.
La vita è una strategia incomprensibile
il cui senso è difficile da cogliere.
Vi è un margine di azione
in cui l’essere può esprimersi
senza subire,
la cui grandezza dipende
dalla dimensione personale
al di là di quel limite
in cui l’essere umano
demolisce l’esistenza di un dettame,
che pur nella tentata coerenza o lealtà
ne continua ad affossare l’indole di bontà.
Ma, dunque, quale strada si dovrà intraprendere,
quale ostacolo si dovrà superare
se non quello che ci si addice,
quello che l’anima
qui e ora custodisce.
Eppure è forse solo
un amore dimenticato
o semplicemente
il buio che ci sovrasta,
quella macchia di oscurità
che avvolge le prime ore della vita
a condurci verso quella intimità
che ci riduce al nulla
e ci rende polvere di mistero.
Siamo ciò che torna
nel mestiere della nostra anima.