“Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank”, uscito nel 2012, è il secondo libro di racconti di Nathan Englander, lo scrittore ebreo americano di 54 anni (il suo primo libro di short stories, “Per alleviare insopportabili impulsi”, fu pubblicato in Italia nel 1999). “Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank”, il cui titolo parafrasa il “Di cosa parliamo quando parliamo di amore” di Carver, è composto di otto storie molto diverse tra di loro, sia per i temi affrontati che per lo stile della scrittura. Egli stesso si è dichiarato in diverse occasioni a volte un ebreo non osservante, altre semplicemente un ateo. In effetti, per quanto riguarda il primo caso, risultano più calzanti alcuni racconti, per il secondo trovano maggiore giustificazione altri. Del resto in “Tutto quello che so della mia famiglia dalla parte di mia madre” (il quinto racconto dell’antologia) spiega proprio il suo rapporto con la religione raccontando in 63 brevi capitoli (alcuni di due, tre righe, quasi degli aforismi) la storia della sua famiglia.

Nel primo racconto, quello che dà il titolo al libro, invece il tema della religione viene affrontato da due coppie di ebrei, una osservante l’altra no, che si ritrovano in California dopo tanti anni che si erano persi di vista, perché la prima coppia si era trasferita in Israele. L’incontro all’apparenza non è dei più felici, dato il diverso modo di porsi di fronte al tema della religione e visto che proprio questo tema è al centro delle loro conversazioni. Ma poi, complici l’alcool e gli spinelli di marijuana, i quattro riacquistano il senso della passata amicizia e spontaneo viene loro abbandonarsi al “gioco del gentile”, che in pratica consiste nel porsi la domanda su quanti e quali dei loro attuali amici potrebbero contare per ottenere un aiuto, in caso di un Olocausto americano. Ed ecco allora che nella narrazione viene fuori tutta la causticità dell’ebreo americano, già trovata in diversi libri di Malamud o Singer o Philip Roth (che peraltro al compimento del proprio 75° compleanno dichiarò, in un’intervista, di stimare molto il più giovane collega).

Un altro racconto in cui tale tema viene ripreso è “Peep show” dove un ebreo non ortodosso, noto avvocato di successo, dopo una giornata di lavoro e prima di raggiungere sua moglie a casa, decide di dedicare un’oretta a un porno shop dove, grazie all’inserimento di gettoni in apposite fessure, è possibile far sollevare verso l’alto alcune pareti che scoprono piccole stanze dove si può osservare e toccare fanciulle discinte all’uopo impiegate. Pur non essendo osservante, l’uomo è pur sempre un ebreo con il suo retaggio atavico e non aveva fatto i conti con la propria coscienza perché, quando introduce i vari gettoni e le pareti si sollevano, ai suoi occhi appaiono il primo rabbino, poi il secondo, poi il terzo, quindi la propria moglie, tutti in giarrettiera e in pose languide e ammiccanti, da costringerlo alla fuga. Quante volte ci è capitato di assistere ad analoghe manifestazioni di sensi di colpa in film di Woody Allen?

In “Come vendicammo i Bloom” leggiamo la storia di alcuni ragazzini ebrei che si allenano per fronteggiare un loro compagno cinese cui attribuiscono idee naziste solo perché appartenente a una razza diversa, confondendo i termini “razza” (cinese) e “religione” (ebraica).

In “Camp Sundown” il direttore di una casa di villeggiatura, dove vengono accolte persone anziane di religione ebraica, si trova a dover fare i conti con un gruppo di ospiti, che, essendo stati, durante l’Olocausto, prigionieri in un campo di concentramento dal quale erano riusciti a scampare alla morte, credono ora di riconoscere in un altro villeggiante uno dei guardiani nazisti di quel campo e chiedono quindi che ora venga fatta giustizia. Ma se il villeggiante non c’entra nulla e se il direttore non procede cosa può accadere? La causticità di Englander a questo punto diventa feroce se si legge quello che accadrà.

Negli altri tre racconti ci troviamo di fronte a storie completamente diverse che vengono trattate con uno stile sia malinconico, sia drammatico, sia elegiaco a seconda del tema trattato.

Ne “Il lettore” si narra di uno scrittore, un tempo molto famoso, che scriveva un libro ogni dieci anni. Lo troviamo che gira con la sua auto buona parte della provincia americana per raggiungere ogni giorno un luogo diverso dove dovrà tenere dei reading del suo ultimo libro. Ma dieci anni sono tanti e i suoi affezionati lettori sembrano svaniti nel nulla o, più semplicemente, sono cambiate molte cose e, quello che dieci anni prima era territorio di successo, ora è diventato altra cosa. Così le librerie e i pub che erano stati prenotati per i reading, e che pur sono ancora disposti a ricevere lo scrittore, ora sono disertati dagli ipotetici lettori che si immaginava dovessero accorrere copiosi. Tranne uno che avvicina lo scrittore nel primo pub dove questi si presenta e, complimentandosi con lui, pretende di assistere alla lettura promessa. Cosa che lo scrittore accetta ma che sarà costretto ad accettare anche il giorno dopo e per tutte le altre date fissate per i vari reading, visto che quell’unico lettore lo seguirà di città in città, pretendendo tutte le sere di assistere alle previste letture e continuando a complimentarsi con lui che, oltre a dover interiorizzare il fatto di essere ormai uno scrittore demodé è anche assillato da un “aficionado” che, con la sua presenza, gli fa pesare ancora di più questa sua condizione.

In “Frutta gratis per giovani vedove” si narra di un uomo che era scampato miracolosamente all’Olocausto e che durante la guerra dei sei giorni in Israele aveva ucciso quattro nemici egiziani: per questo motivo il padrone di un negozio di frutta e verdura gli fornisce gratuitamente i prodotti che gli vengono chiesti e obbliga il figlio a fare altrettanto.

Nel racconto centrale, che è anche il più lungo e uno dei più belli, “Le colline sorelle”, si parla dell’insediamento di due famiglie in due case abbandonate su una collina quando si stava costituendo lo Stato di Israele. Una notte le due donne, proprietarie delle case, rimangono da sole perché i loro mariti con i figli sono andati a valle a combattere contro i Palestinesi. La figlia di una delle due è affetta da una grave forma febbrile e rischia la morte: questo, secondo una leggenda, avviene perché la madre deve aver commesso in passato un peccato e, per essere salvata, la bambina dovrebbe essere venduta dalla stessa madre a un’altra donna. La vicina della madre “colpevole” non vuole accettare quella che per lei è una semplice superstizione ma alla fine, per amicizia verso la richiedente che è disperata, accetta e le paga una somma irrisoria, puramente simbolica, e “acquista” la bambina che rimane con lei tutta la notte. Al mattino successivo, la bambina è completamente guarita e viene restituita alla madre legittima. A distanza di anni la donna che aveva acquistato la bambina rimane completamente sola perché le muoiono in guerra sia il marito che i suoi tre figli maschi. A questo punto vuole riavere la bambina che aveva “comprato” e che ora è diventata una giovinetta molto legata alla sua madre naturale. Alla fine saranno i giudici di un tribunale a stabilire l’appartenenza della giovinetta, se alla madre naturale o a quella che l’aveva “comprata”. Molto interessanti sono le argomentazioni portate avanti dalla donna che reclama il rispetto della “vendita” avvenuta anni prima: nel lettore vengono spontanei i riferimenti sia a Salomone che al personaggio di Shylock da “Il mercante di Venezia” di Shakespeare. Qui Englander racconta usando uno stile realistico e si mostra distaccato dalla sofferenza dimostrata dalla madre naturale e dalla giovinetta che non vogliono accettare il responso emesso dai giudici che l’affidano a quella che ora diventerà una madre acquisita a tutti gli effetti. Ma la storia non finisce qui, perché l’accadimento successivo, che al lettore occidentale può addirittura apparire incredibile, ha in realtà una giustificazione logica e che meglio che negli altri racconti fa capire la psicologia e il pensiero di un ebreo osservante.

La cosa più interessante di questa raccolta di racconti è che Englander non prende mai posizioni ben definite, né mostra di partecipare per un personaggio piuttosto che per un altro: egli rappresenta delle situazione in cui essi vengono coinvolti in azioni che sottendono a una problematica il cui giudizio, qualora ce ne fosse da esprimere uno, è affidato al lettore.

Rispetto al precedente libro di racconti del 1999, questo è forse meno brillante e innovativo, tuttavia dimostra una maggiore maturità di scrittura, senza contare che il libro ha un grosso valore letterario almeno per l’esistenza di tre fra i racconti citati.

Il libro vinse in USA il Frank O’Connor Short Story Award Internazionale.

(Casa Editrice Einaudi, Collana Supercorali, 2012, pp. 208, prezzo € 19,00)