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Qual è stato il punto di partenza per la creazione di “Gioco mortale”? C’è stata un’ispirazione specifica o un evento che ha scatenato l’idea di questo giallo?
Quando ho iniziato a scrivere “Gioco mortale” la storia era completamente diversa. Anche i personaggi erano molto diversi. Alcuni sono spariti e altri sono stati trascinati dentro a forza perché mi piacevano troppo per lasciarli fuori. Dell’idea originale è rimasto ben poco. Il protagonista, che però è cresciuto, cambiando radicalmente dal punto di vista psicologico, il suo socio e un altro personaggio importante del romanzo. Un altro dettaglio che non è variato è l’idea che gli investigatori dovessero decifrare il misterioso messaggio lasciato dal killer, anche se il contenuto stesso dei biglietti e il loro significato ha subito notevoli modifiche. E infine sono cambiate in maniera radicale le motivazioni che hanno spinto l’antagonista a organizzare il gioco al massacro descritto nel romanzo. Non vi è stata, in realtà, un’ispirazione specifica, né un evento che ha dato vita all’idea centrale del mio romanzo. Diciamo che per prima cosa è “arrivato” il protagonista e intorno a lui, sono apparsi gli altri personaggi e poi via via si è andata delineando la storia.

Il protagonista, Ray Hayes, è un detective con un passato tormentato. Quali elementi della sua personalità hai trovato più interessanti da esplorare durante la scrittura del romanzo?
Uno degli aspetti più interessanti e, al tempo stesso, più dolorosi anche per me che ho dovuto affrontare ed esplorare è stato il rapporto che Ray ha con il suo passato, con la ferita non ancora rimarginata che porta nell’anima come molti suoi concittadini: la tragedia dell’11 settembre, che ha cambiato la vita di molti, sconvolgendone l’equilibrio psicologico. Ray è un sopravvissuto al crollo. Era lì quel giorno ed è scampato al crollo della Torre Sud per una pura casualità. Ha visto la morte in faccia, ha perso amici e colleghi sotto le macerie delle Twin Tower e non si è mai perdonato di essere ancora vivo. Questi aspetti psicologici sono stati la sfida al tempo stesso più difficile e affascinante delle mie ricerche.

L’ambientazione a New York nel 2011. Come hai lavorato sulla creazione di questo scenario e quale importanza ha avuto nella tua narrazione?
La scelta dell’anno, il 2011, per ambientare la storia è stata quasi obbligata. Ray, al tempo del romanzo, doveva avere intorno ai trent’anni ma essere già in servizio all’epoca dell’attacco alle Torri Gemelle. Alla fine, dopo diverse modifiche che hanno spostato l’anno di svolgimento del romanzo in avanti e indietro nel tempo, il 2011 è stato il miglior compromesso.

Ci sono influenze o riferimenti letterari che hai considerato mentre scrivevi il gioco mortale?
A influenzare il mio stile di scrittura ci sono stati tanti autori dalla lettura dei quali ho imparato tanto. Il mio primo grande maestro è stato Michael Connelly dal quale ho, per così dire, ereditato lo stile asciutto e diretto. E all’interno del romanzo ci sono pure degli omaggi all’autore americano: si scopre che l’autore preferito di Ray è proprio Michael Connelly, del quale ha l’intera bibliografia. Inoltre alcuni dei nomi dei personaggi di “Gioco mortale” sono ispirati ad alcuni personaggi di Connelly. Quello degli omaggi al mondo della scrittura, della musica e del cinema sono il mio personale modo di dire grazie agli artisti che hanno segnato la mia vita.

Come hai affrontato la costruzione delle dinamiche relazionali all’interno del tuo romanzo tra i vari personaggi?
Come ho già detto, ancor prima di “pensare” alla storia, è arrivata l’ispirazione per il personaggio che doveva avere un background da cui costruire il suo “essere uomo”. Per questo motivo, prima di mettermi materialmente a scrivere, ho pensato a tutto ciò che era il personaggio e soprattutto che era stato. Ho “ricostruito” il suo passato a partire dalla sua infanzia e ancora prima, incasellando alcuni eventi importanti anche nella vita e nell’esperienza dei genitori e soprattutto del padre, modello ispiratore e mentore di Ray. In questa fase preparatoria di ricostruzione, ho fissato alcuni degli eventi che vengono citati anche nel romanzo, tra i quali, appunto i fatti avvenuti l’11 settembre. E insieme a questi ho cercato di costruire e rendere realistici i rapporti interpersonali tra il protagonista e i personaggi che gli orbitano intorno, sia dal punto di vista professionale che da quello privato. Ho cercato di costruire un passato in cui scelte ed eventi hanno influito su ciò che è diventato dopo e che rappresentano il motore del suo modo di essere e di comportarsi con gli altri e con la propria interiorità. Nonostante però questa fase preparatoria, con il tempo, il personaggio è “cresciuto” in maniera autonoma, come se avesse capacità decisionali su cui io non avevo nessun potere né voce in capitolo. Rispetto a com’era all’inizio, nelle prime stesure del romanzo, Ray è cambiato molto. È diventato più duro, più rude e più testardo. Ma anche più deciso e, allo stesso tempo, più indeciso e insicuro in certi ambiti. È diventato un uomo con pregi e, soprattutto, difetti. Con punti di forza e di debolezza. Un personaggio tridimensionale che è stato apprezzato e amato da molti al pari di quanto lo apprezzo e lo amo io.

Hai avuto esperienze personali o professionali che hanno influito sulla tua capacità di creare una storia così avvincente?
Una delle decisioni che ho preso ancor prima di iniziare a pensare a qualsiasi dettaglio è stata quella di prendere le distanze dall’intero mondo che mi accingevo a creare. Non volevo che qualcuno potesse leggere tra le righe qualcosa di me. Per questo ho scelto, con consapevolezza, di ambientare la storia dall’altra parte del mondo e di scegliere un personaggio maschile come protagonista. Non volevo che esperienze personali e professionali potessero entrare in un mondo che doveva essere totalmente diverso da quello in cui vivevo la mia vita reale. E all’inizio effettivamente è stato così. Poi il personaggio, come già detto, è cresciuto, è cambiato, iniziando ad avere alcune caratteristiche che accomunano il mio modo di essere e di pensare al suo. O forse, come certe volte mi piace pensare, sono io che ho iniziato ad assomigliare a lui. Alla fine il mio obiettivo non era più creare un mondo diametralmente opposto al mio, ma raccontare la storia che avrei voluto leggere, né più né meno.

Come hai gestito la ricerca e la documentazione necessarie per garantire la credibilità delle dinamiche investigative nel tuo romanzo?
I miei punti di riferimento nella documentazione necessaria per garantire una credibilità alle dinamiche investigative sono stati i siti istituzionali del sistema giudiziario americano, come il sito della polizia di New York, grande fonte di ispirazione e punto fermo da cui partire ogni volta che andavo a mettere un tassello alla storia che andava delineandosi. E poi gli studi scientifici delle scienze forensi. Ho approfondito argomenti medici e tecnici spaziando dalla balistica alla medicina legale. Ho approfondito argomenti legati alle armi da fuoco, sia dal punto di vista tecnico (come sono fatte, come funzionano) a tutto ciò che l’uso di tali strumenti può causare (come la classificazione delle ferite in relazioni alla distanza e alla posizione delle persone coinvolte). Ho studiato ogni aspetto, anche nei casi in cui alcuni degli aspetti tecnici che ho approfondito, sono emersi in piccola parte nel testo pubblicato. Ho potuto sperimentare che scrivere un romanzo non è solo mettersi al computer e raccontare la storia che ti gira in testa. Scrivere è soprattutto studio, approfondimento. E lavoro. Tanto duro lavoro. Ma è un lavoro che, nel mio caso, ho affrontato con passione, una passione che mi ha spinto a superare ostacoli che sembravano insormontabili. E alla fine ce l’ho fatta, perché l’ho voluto, con forza e desiderio.
Infine, senza svelare il finale, cosa ti auguri che i lettori portino con sé dopo aver terminato la lettura del tuo romanzo?
Non ho la pretesa di lasciare qualche insegnamento né una morale. Il mio unico desiderio è che il lettore passi un paio d’ore (forse qualcosa in più, visto la lunghezza del romanzo) spensierate e che resti con la soddisfazione di aver fatto un viaggio avvincente accanto ai miei personaggi, vivendo e soffrendo con loro. Spero che l’attenzione, la cura, l’amore e la passione che ho messo in ogni singolo dettaglio possa arrivare al lettore. E spero anche che alcuni degli ideali che muovono i personaggi, specialmente quelli principali, ideali nei quali credo anch’io, possano emergere, perché l’umanità è fatta per collaborare. Non si può fare nulla senza l’appoggio delle persone che ci stanno accanto. Nessun uomo può bastare a se stesso. La vita è fatta di collaborazione, di lavoro in team e di fiducia. E questi sono alcuni degli aspetti che ho cercato di mettere in evidenza.