Mary Oliver, con “Giorno d’estate”, riesce a catturare l’essenza stessa dell’osservazione e del meravigliamento. La sua poesia non è soltanto una meditazione sulla natura e sulla creazione, ma un invito a riflettere sull’importanza del presente, sulla sacralità del quotidiano e sul valore dell’attimo.

Il poema inizia con domande universali sull’origine del mondo e dei suoi abitanti, per poi ridurre il focus sull’apparentemente insignificante – una cavalletta. Questa cavalletta, descritta con cura minuziosa e affetto palpabile, diventa il simbolo di una vita che merita attenzione e ammirazione, nonostante o proprio a causa della sua ordinarietà. Oliver trasforma un incontro casuale con un insetto in un momento di profonda riflessione e connessione.

Oliver ammette la sua incertezza su cosa sia una preghiera, suggerendo che forse la preghiera è meno un atto formale e più un’esperienza di profonda consapevolezza e contemplazione. La sua descrizione di “prestare attenzione”, “cadere nell’erba” e “starmene beatamente in ozio” evoca un senso di pace interiore che sfida il frenetico fare che spesso occupa le nostre vite.

Il culmine della poesia è una domanda provocatoria sul significato e lo scopo della vita. Oliver ci ricorda che il tempo è limitato e che ogni vita, compresa la nostra, è “unica, selvaggia e preziosa”. L’invito a considerare cosa faremo del nostro tempo sulla terra è potente e commovente, un promemoria a vivere pienamente, a onorare ogni momento e ad abbracciare l’esistenza con meraviglia e gratitudine.

“Giorno d’estate” non è solo un poema, è un inno alla vita e un monito a non dare per scontato neanche il più piccolo dei suoi doni. In un mondo che spesso valuta l’importanza delle cose in termini di grandezza e rumore, Oliver sussurra che c’è infinita bellezza nel piccolo e nel silenzioso, e che forse la più grande preghiera è semplicemente quella di essere presenti.

“Giorno d’estate”, di Mary Oliver
Chi ha fatto il mondo?
Chi ha fatto il cigno e l’orso bruno?
Chi ha fatto la cavalletta?
Questa cavalletta, intendo, — quella che è saltata fuori dall’erba, che sta mangiandomi lo zucchero in mano, che muove le mandibole avanti e indietro invece che in su e in giù — e si guarda attorno con i suoi occhi enormi e complicati.
Ora solleva le zampine chiare e si pulisce il muso, con cura.
Ora apre le ali di scatto e vola via.
Non so esattamente che cosa sia una preghiera;
so prestare attenzione, so cadere nell’erba,
inginocchiarmi nell’erba,
so starmene beatamente in ozio, so andare a zonzo nei prati,
è quel che oggi ho fatto tutto il giorno.
Dimmi, che altro avrei dovuto fare?
Non è vero che tutto muore prima o poi, fin troppo presto?
Dimmi, che cosa pensi di fare
della tua unica, selvaggia e preziosa vita?