“Colline di Carta” di Silvia Perosino è una meditazione profonda e poetica sul rapporto tra l’uomo e il paesaggio che lo circonda, un’opera che intreccia la geografia del Monferrato con le esperienze umane che si svolgono tra le sue colline. Con una prosa lirica e immagini evocative, Perosino esplora come il territorio può modellare le persone tanto quanto esse modellano esso.

Il libro si apre con una riflessione sull’identità che si fonde con la terra: i contadini lavorano il suolo fino a diventare uno con esso, i loro volti e le loro mani segnati dalla stessa materia che coltivano. Questa fusione tra l’umano e il terreno si riflette nell’autrice stessa, che descrive il suo sentire profondo di essere “inevitabilmente collina”, una con la terra in cui ha messo radici.

Le “Colline di Carta” sono metafore del vivere in un paesaggio che si snoda su e giù, ricco di curve e di declivi che ricordano le forme del corpo femminile, presentato in modo tale da evocare una sensualità naturale e terrena. Questa terra è vista non solo come madre accogliente ma anche come amante complice, un paesaggio che invita ad essere esplorato e vissuto appieno.

Il titolo dell’opera riflette due aspetti chiave: il collinare come caratteristica dominante del paesaggio e la “carta” come metafora del libro stesso, suggerendo che ogni lettura è un viaggio, una scoperta che si svolge fra le pagine fino alla loro conclusione, che segna la fine di un percorso emotivo e mentale.

Attraverso “Colline di Carta”, Perosino offre non solo un ritratto dettagliato e amorevole del suo ambiente nativo, ma anche un’esplorazione più ampia su come i luoghi formano la nostra identità, i nostri ricordi e le nostre storie. È un invito a considerare come il nostro ambiente ci plasmi e come, a nostra volta, noi lasciamo un’impronta su di esso.

Questo libro è quindi un’opera essenziale per chiunque sia interessato alla letteratura che esplora il legame intrinseco tra terra e testo, tra paesaggio e narrativa. Perosino ci guida attraverso un paesaggio che è allo stesso tempo reale e metaforico, dimostrando che la terra che calpestiamo è sempre intessuta nei racconti che viviamo e raccontiamo.

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